Il dono eccelso che di giorno in giorno
e d'anno in anno da te attesi, o vita
(e per esso, lo sai, mi fu dolcezza
anche il pianto), non venne: ancor non venne.
Ad ogni alba che spunta io dico: "È oggi":
ad ogni giorno che tramonta io dico:
"Sarà domani". Scorre intanto il fiume
del mio sangue vermiglio alla sua foce:
e forse il dono che puoi darmi, il solo
che valga, o vita, è questo sangue: questo
fluir segreto nelle vene, e battere
dei polsi, e luce aver dagli occhi; e amarti
unicamente perché sei la vita.
Sui campi e sulle strade
silenziosa e lieve
volteggiando, la neve
cade.
Danza la falda bianca
nell'ampio ciel scherzosa,
poi sul terren si posa,
stanca.
In mille immote forme
sui tetti e sui camini
sui cippi e sui giardini,
dorme.
Tutto d'intorno è pace,
chiuso in un oblìo profondo,
indifferente il mondo
tace.
Se de la patria il giovanile e fresco
disio sale al mio cor come un incenso,
tutta bianca nel sole io ti ripenso,
piazza di San Francesco.
Cresce fra le tue pietre, o solitaria,
tranquilla l'erba come in cimitero.
- Sole e silenzio. _ Un passo - un tremar nero
d'ali fendenti l'aria.
Ed eran quel silenzio e quella pace
che in te bevevo a sorsi larghi e puri;
e il bacio amavo su' tuoi vecchi muri
de l'edera tenace.
L'antico tempio, presso l'ospedale,
svolgea sue linee semplici e divine.
Per due bifore in alto, snelle e fine,
rideva il ciel d'opale.
L'antico tempio avea canti e colori
d'una soavita' che ancor mi trema
dentro. - O speranze, o poesia suprema
degli anni miei migliori!...
Gravi note de l'organo, salenti
agli archi de le volte longobarde,
su l'alte mura tremolar di tarde
stelle e fluir di venti!...
Come un suggello mistico al pensiero
da voi mi venne - e forse ho sempre
amate per voi le grigie case abbandonate
ove dorme il mistero,
i muschi densi a pie' de l'erme, i quieti
cortili pieni di sole e di verde,
i portici dei chiostri ove si perde
l'anima dei poeti;
i tristi luoghi ruinanti in pace
ove sol parla il soffio de le cose,
dei sogni morti e del morte rose,
e tutto il resto tace.
Eppure è bella, anima mia, la vita: non fosse che pei giorni in cui le foglie giocano a quale per la prima spunti sui rami; e tu le vedi, così tenere e trasparenti, che ti s'apron l'ali nel rimirarle. Come puoi del mondo tante cose sapere, e non sapere come fa la fogliuzza a tornar verde entro la scorza, ad affacciarsi, e tutta nova ridere al sol che la richiama? La strada lunga che t'importa, e l'essere strappata alla speranza che più cara ti fu, tradita da chi più fedele credesti, se goder sempre t'è dato di questa gioia? E tu la sai ben certa nel giusto tempo: ché non fu mai l'anno senza vicenda di stagioni, e mai fu senza fronda il giovinetto aprile.
Nel paese di mia madre v'è un campo quadrato, cinto di gelsi.
Di là da quel campo altri campi quadrati, cinti di gelsi.
Roggie scorrenti vi sono, fra alti argini, dritte, e non si sa dove vanno a finire.
La terra s'allarga a misura del cielo, e non si sa dove vada a finire.
Nel paese di mia madre v'han ponti di nebbia, che il vento solleva da placidi fiumi:
varca il sogno quei ponti di nebbia, mentre le rive si stellan di lumi.
Pioppi e betulle di tremula fronda accompagnan de l'acque il fluire:
quando nè rami s'impigliano gli astri, in quella pace vorrei morire.
Nel paese di mia madre un basso tugurio sonnecchia sul limite della risaia,
e ronzano mosche lucenti, ghiotte, intorno a un ammasso di concio.
Possanza di morte, possanza di vita, nell'odore del concio: ne gode
la terra dall'humus profondo, sotto la vampa d'agosto che immobile sta.
Nel paese di mia madre, quando il tramonto s'insaguina obliquio sui prati,
vien da presso, vien da lontano una canzone di lunga via:
la disser gli alari alle cune, gli aratri alle marre, le biche all'aie fiorite di lucciole,
vecchia canzone di gente lombarda: "La Violetta la vaaa la vaaaa... "