Si tende tutto l'essere in un urlo
di desiderio. Voglio la parola
lancinante, assoluta, che cancelli
scialbature di sempre.
Quella freccia che infilza dritta il cuore
mentre sorride l'Angelo, tremenda
voglio quella parola (la pronuncia
l'Angelo, ma oltre una vetrata) -
l'ha sentita Teresa? Ogni parola
al di qua della freccia è un'eresia.
È assoluta la rosa se si fonde
alla tua pelle - e le spine sul cuore.
Parigi dorme. Un enorme silenzio
è sceso ad occupare ogni interstizio
di tegole e di muri. Gatti e uccelli
tacciono. Sono io di sentinella.
Agosto senza clacson. Sopravvivo
unica, forse. Tengo fra le braccia
come Sainte Geneviève la mia città
che spunta dal mantello, in fondo al quadro.
Luna succosa da mangiare a spicchi,
asprodocle limone,
palla di neve sulla pelle ardente -
nessun uomo così saprà baciare -
Non ti amerò di più, non ti amerò di meno,
sono lassù una luna senza quarti.
Il lume splende intatto nel sereno,
non ti amerò di meno, non ti amerò di più.
M'inselvo nell'odore di mia madre
(purtroppo è ancora un sogno). Sono nata
o mi rannicchio in lei? Ci starei sempre
(forse pensavo) rinunziando a nascere.
E tu che c'entri, tu sfida vivente
di una vita ben viva? La memoria
di te ha lunghe ali e si proietta
avida, oltre le lande del passato.
Mi culla la corolla del papavero,
il mio sonno è lunghissimo. La strada
si agita laggiù da quattro ore.
Solo un tuo squillo potrebbe svegliarmi.
Non mi somiglia quest'inerzia, sono
da quando amo, tutt'altra persona.
Mi culli a lungo, mi culli il papavero,
se sarà lungo il mio sogno di te.