Ne da te, dolce amico, udrò più il verso
E la mesta armonia che lo governa,
Nne più nel cor mi parlera lo spirito
Delle tue vergini Muse e dell'amore,
Unico spirito a mia vita raminga,
Qual fia ristoro a di perduti un sasso
Che distingua le mie dalle infinite
Ossa che in terra e in mar semina morte
Vero e ben, Pindemonte! Anche la Speme
Ultima Dea, fugge i sepolcri; involve
Tutte cose l'obblio nella sua notte;
E una forza operosa le affatica
Di moto in moto; e l'uommo e le sue tombe
E l'estreme sembianze e le reliquie
Dalla terra e del ciel traveste il tempo
Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentil anni caduto.
La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.
Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quiete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.
Forse perche' della fatal quiete
tu sei l'immago, a me si cara vieni,
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
E tu ne' carmi avrai perenne vita
Sponda che Arno saluta in suo cammino
Partendo la città che del latino
Nome accogliea finor l'ombra fuggita.
Già dal tuo ponte all'onda impaurita
Il papale furore e il ghibellino
Mescean gran sangue, ove oggi al pellegrino
Del fero vate la magion s'addita.
Per me cara, felice, inclita riva
Ove sovente i piè leggiadri mosse
Colei che vera al portarnento Diva
In me volgeva sue luci beate,
Mentr'io sentia dai crini d'oro commosse
Spirar ambrosia l'aure innamorate.
Così gl'interi giorni in lungo incerto
Sonno gemo! ma poi quando la bruna
Notte gli astri nel ciel chiama e la luna,
E il freddo aer di mute ombre è converto;
Dove selvoso è il piano e più deserto
Allor lento io vagando, ad una ad una
Palpo le Piaghe onde la rea fortuna
E amore, e il mondo hanno il mio core aperto.
Stanco mi appoggio or al troncon d'un pino,
Ed or prostrato ove strepitan l'onde,
Con le speranze mie parlo e deliro.
Ma per te le mortali ire e il destino
Spesso obbliando, a te, donna, io sospiro:
Luce degli occhi miei chi mi t'asconde?