Una bambina torna dalla casa di una vicina alla quale era appena morta, in modo tragico la figlioletta di otto anni.
"Perché sei andata?", le domanda il padre.
"Per consolare la mamma".
"E che potevi fare, tu così piccola, per consolarla?".
"Le sono salita in grembo e ho pianto con lei".
Se accanto a te c'è qualcuno che soffre, piangi con lui. Se c'è qualcuno che è felice, ridi con lui.
L'amore vede e guarda, ode e ascolta. Amare è partecipare, completamente, con tutto l'essere. Chi ama scopre in sé infinite risorse di consolazione e compartecipazione. Siamo angeli con una ala sola: possiamo volare solo se ci teniamo abbracciati.
Siamo a Londra. In una vasta e tumultuosa via alberata di Londra. Strepito di cavalli e di carrozze, vociare di mercanti e di strilloni. Trambusto di uomini e di mezzi. Chi corre perché ha fretta. Chi passeggia. Un po' di tutto. Un via vai continuo. Ma ecco... quel signore che si è fermato. Pare in ascolto. Ma di che? Trattiene per un braccio l'amico e gli sussurra: "Senti? C'è un grillo!". L'amico lo guarda stralunato: com'è possibile sentire il cri-cri di un grillo in quel mondo di rumori? "Ma cosa dice, professore? Un grillo?!". E il signore, che si è fermato, come guidato da un radar, si accosta lentamente a un minuscolo ciuffo d'erba ai piedi di un albero. Con delicatezza sposta steli e dice: "Eccolo!". L'amico si curva. È davvero un piccolo grillo. Stupore per il fatto del grillo a Londra. Ma doppio stupore per averlo sentito. D'accordo. Per avvertire certe "voci", occorre grande capacità d'ascolto. E quel signore ce l'aveva. Era il grande entomologo francese Jean Henry Fabre. E la sua grande capacità di ascolto era rivolta in modo specifico al mondo degli insetti. "Ma come ha fatto a sentire il grillo in tutto questo chiasso?" domanda l'amico al signor Fabre, mentre riprendono il cammino. "Perché voglio bene a quelle piccole creature. Tutti sentono le voci che amano, anche se sono debolissime. Vuoi che proviamo?"… Il signor Fabre si ferma. Estrae dal borsellino una sterlina d'oro e la lascia cadere a terra. È un piccolo din, ma una decina di persone che camminano sul marciapiede si voltano di scatto a fissare la moneta.
"Hai visto" dice il signor Fabre, "Queste persone amano il denaro e ne percepiscono il suono, anche tra lo strepito più chiassoso".
Tre donne andarono alla fontana per attingere acqua. Presso la fontana, su una panca di pietra, sedeva un uomo anziano che le osservava in silenzio ed ascoltava i loro discorsi.
Le donne lodavano i rispettivi figli.
"Mio figlio", diceva la prima, "è così svelto ed agile che nessuno gli sta alla pari".
"Mio figlio", sosteneva la seconda, "canta come un usignolo. Non c'è nessuno al mondo che possa vantare una voce bella come la sua".
"E tu, che cosa dici di tuo figlio?", chiesero alla terza, che rimaneva in silenzio.
"Non so che cosa dire di mio figlio", rispose la donna. "È un bravo ragazzo, come ce ne sono tanti. Non sa fare niente di speciale...".
Quando le anfore furono piene, le tre donne ripresero la via di casa. Il vecchio le seguì per un pezzo di strada. Le anfore erano pesanti, le braccia delle donne stentavano a reggerle.
Ad un certo punto si fermarono per far riposare le povere schiene doloranti.
Vennero loro incontro tre giovani. Il primo improvvisò uno spettacolo: appoggiava le mani a terra e faceva la ruota con i piedi per aria, poi inanellava un salto mortale dopo l'altro.
Le donne lo guardavano estasiate: "Che giovane abile!".
Il secondo giovane intonò una canzone. Aveva una voce splendida che ricamava armonie nell'aria come un usignolo.
Le donne lo ascoltavano con le lacrime agli occhi: "È un angelo!".
Il terzo giovane si diresse verso sua madre, prese la pesante anfora e si mise a portarla, camminando accanto a lei.
Le donne si rivolsero al vecchio: "Allora che cosa dici dei nostri figli?".
"Figli?", esclamò meravigliato il vecchio. "Io ho visto un figlio solo!".
"Li riconoscerete dai loro frutti" (Matteo 7, 16).
"Rabbì, che cosa pensi del denaro?" chiese un giovane al maestro.
"Guarda dalla finestra", disse il maestro," cosa vedi?".
"Vedo una donna con un bambino, una carrozza trainata da due cavalli e un contadino che va al mercato".
"Bene. Adesso guarda nello specchio. Che cosa vedi?".
"Che cosa vuoi che veda rabbì? Me stesso, naturalmente".
"Ora pensa: la finestra è fatta di vetro e anche lo specchio è fatto di vetro. Basta un sottilissimo strato d'argento sul vetro e l'uomo vede solo se stesso".
Siamo circondati da persone che hanno trasformato in specchi le loro finestre. Credono di guardare fuori e continuano a contemplare se stessi.
Non permettere che la finestra del tuo cuore diventi uno specchio.
I campi erano arsi e screpolati dalla mancanza di pioggia.
Le foglie pallide e ingiallite pendevano penosamente dai rami.
L'erba era sparita dai prati.
La gente era tesa e nervosa, mentre scrutava il cielo di cristallo blu cobalto.
Le settimane si succedevano sempre più infuocate.
Da mesi non cadeva una vera pioggia.
Il parroco del paese organizzò un'ora speciale di preghiera nella piazza davanti alla chiesa per implorare la grazia della pioggia.
All'ora stabilita la piazza era gremita di gente ansiosa, ma piena di speranza.
Molti avevano portato oggetti che testimoniavano la loro fede.
Il parroco guardava ammirato le Bibbie, le croci, i rosari.
Ma non riusciva a distogliere gli occhi da una bambina seduta compostamente in prima fila.
Sulle ginocchia aveva un ombrello rosso.
Il più vecchio si chiamava Frank e aveva vent'anni. Il più giovane era Ted e ne aveva diciotto. Erano sempre insieme, amicissimi fin dalle elementari. Insieme decisero di arruolarsi nell'esercito. Partendo promisero a se stessi e ai genitori che avrebbero avuto
cura l'uno dell'altro. Furono fortunati e finirono nello stesso battaglione.
Quel battaglione fu mandato in guerra. Una guerra terribile tra le sabbie infuocate del deserto. Per qualche tempo Frank e Ted rimasero negli accampamenti protetti dall'aviazione. Poi una sera venne l'ordine di avanzare in territorio nemico. I soldati avanzarono per tutta la notte, sotto la minaccia di un fuoco infernale.
Al mattino il battaglione si radunò in un villaggio. Ma Tal non c'era. Frank lo cercò dappertutto, tra i feriti, fra i morti. Trovò il suo nome nell'elenco dei dispersi.
Si presentò al comandante.
'Chiedo il permesso di andare a riprendere il mio amico', disse.
'È troppo pericoloso', rispose il comandante. 'Ho già perso il tuo amico. Perderei anche te. Là fuori stanno sparando'.
Frank partì ugualmente. Dopo alcune ore trovò Ted ferito mortalmente. Se lo caricò sulle spalle. Ma una scheggia lo colpì. Si trascinò ugualmente finò al campo.
'Valeva la pena morire per salvare un morto?', gli gridò il comandante.
'Si' sussurrò, 'perché prima di morire, Ted mi ha detto: Frank, sapevo che saresti venuto'.
Questo diremo a Dio in quel momento: 'Sapevo che saresti venuto'.
L'aeroporto di una città dell 'Estremo Oriente venne investito da un furioso temporale.
I passeggeri attraversarono di corsa la pista per salire su un DC3 pronto al decollo per un volo interno.
Un missionario, bagnato fradicio, riuscì a trovare un posto comodo accanto a un finestrino.
Una graziosa hostess aiutava gli altri passeggeri a sistemarsi.
Il decollo era prossimo e un uomo dell'equipaggio chiuse il pesante portello dell'aereo.
Improvvisamente si vide un uomo che correva verso l'aereo, riparandosi come poteva, con un impermeabile.
Il ritardatario bussò energicamente alla porta dell'aereo, chiedendo di entrare.
L'hostess gli spiegò a segni che era troppo tardi. L'uomo raddoppiò i colpi contro lo sportello dell'aereo.
L'hostess cercò di convincerlo a desistere. "Non si può... E tardi... Dobbiamo partire", cercava di farsi capire a segni dall'oblò.
Niente da fare: l'uomo insisteva e chiedeva di entrare. Alla fine, l'hostess cedette e aprì lo sportello.
Tese la mano e aiutò il passeggero ritardatario a issarsi nell'interno.
E rimase a bocca aperta. Quell'uomo era il pilota dell'aereo.
Attento! Non lasciare a terra il pilota della tua vita.