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Il tramonto
Camminavo lungo il sentiero sterrato, ai miei fianchi steccati di legno e filo spinato davano ordine geometrico alla vastità dei campi che mi circondava, ai frutteti che si susseguivano, distinti dai sottili fili di ferro sospesi tra picchetti lignei.
Era luglio, il sole del tramonto colorava tutto in maniera fantastica e surreale.
Nella silenziosa solitudine mille figure, mille persone, mi sorgevano accanto, in mezzo ai faggi ed ai papaveri; il ritmico scroscio del ruscello si confondeva con i tuoni e le grida che tumultuavano dentro di me.
Poi fui di nuovo solo.
E la luce era sempre la stessa, lo stesso tenue tepore effondeva dal piccolo specchio d'acqua, dalle bacche che sporgevano sul ciglio della strada.
Sì, era sempre tutto uguale, tutto lo stesso : la radura dell'antica chiesa, col profumo di erba rasata; la distesa di granturco che frusciava oscillando al venticello; il dirupo scosceso, che conduce fra le pietre del torrente dal greto secco.
Per un lungo istante ebbi la sensazione che anche io fossi sempre io.
Avevo divorato la strada, quella lunga e tormentata strada che si inerpica, tornante dopo tornante, tagliando l'Appennino; quella strada che fa da ponte tra il mio presente, il mio passato ed il mio futuro; tra la mia vita ed i miei ideali. Quella lunghissima strada che è troppo isolata, silenziosa e poco frequentata per non cedere alla tentazione di impossessarmene, di sentirla totalmente mia.
Il tempo, no: non aveva senso, non aveva valore; non mi sentivo addosso i mesi e gli anni trascorsi.
Era ancora di luglio, come la prima volta che c'ero arrivato.
Arrivare una sera d'estate in un luogo così amato; un luogo in cui non si hanno radici, ma con cui si ha ormai un rapporto così intenso da sentirselo abbarbicato addosso, da scoprirsi un legame insolvibile : è una sensazione strana; è come ritrovarsi il primo giorno di ogni nuovo anno scolastico; è come riscendere alla spiaggia la prima volta dopo un lungo inverno.
Guardavo gli strapiombi rocciosi ai fianchi delle cime, poi i sentieri erbosi su cui andava smorzandosi il luccichìo del sole : e non vedevo la mia faccia e i miei abiti; non mi chiedevo se avessi la barba rasa e la camicia stirata.
Tante volte avevo calpestato quel sentiero; tante volte i pensieri mi avevano accompagnato in mezzo a quella stessa fanghiglia: e d'incanto mi ero trovato accanto tanta gente; forse i miei migliori amici, quelli che scherzavano insieme a me alla fermata dell'autobus presso la scuola. Forse qualche ragazzina dall'aspetto spaurito e trasognato, all'apparenza colma di trasporto poetico, che sapesse donare il suo entusiasmo a questo mondo di luna piena.
Tante volte avevo preparato questo incontro.
Poi invece ero rimasto a dormire presso la neve accumulata tra i sassi calcarei, intrappolato dalle favole e da Lagrange, dalla inguaribile fantasia e dalle travi in cemento armato, aspettando quel ritorno, che di sicuro doveva prima o poi avvenire.
Adesso, invece, gli autobus avevano cambiato percorso; la strada della scuola non mi riconosceva più, con la fiammante Renault 18 ed i capelli corti ed ordinati.
E le bambine erano cresciute, ora giravano con pacchetti di Marlboro ben evidenziati nel taschino, e al posto delle camicette a quadri ostentavano provocanti bikini sulle spiagge tirreniche.
Ed io non guardavo l'orologio: seguivo ancora quel sentiero, continuando ad andare incontro al mio momento.
Tutto avrebbe poi proceduto regolarmente, come sempre : settembre avrebbe progressivamente trasformato i colori, sfumandoli in una malinconia intensa e dolcissima; poi le prime nevi avrebbero coperto sofficemente i campi gelati, ed il fumo dei comignoli si sarebbe mescolato al rosso vivo e fervente delle stufe elettriche; e poi aprile avrebbe riportato l'esplosione della fioritura, ed i fianchi della mia strada si sarebbero rivestiti del rosa festoso dei peschi.
E allora, per scendere con la compagna il sentiero lastricato di foglie secche, tra la chiesetta medievale ed il fiume nervoso, cosa cambiava se lei fosse la bambina emotiva carica di fantasia o la vacua stellina delle discoteche di provincia?
Fu per questo che la tacita solitudine di quella stradina mi fece sentire meno solo.
Forse mi fece riscoprire sensazioni che pensavo smarrite. Ora sì che avrei voluto avere uno specchio; ora ero sicuro che mi sarei rivisto come prima, come sempre : rispecchiavo me stesso in quel palcoscenico, in quella natura ciclicamente immutabile ed incorruttibile.
Erano trascorsi ormai tanti anni dalle interminabili sere di quel luglio infuocato : lasciati gli squassi secchi delle palline del biliardino all'osteria, ci si ritrovava tutti intorno al fuoco, davanti alla tenda, si divideva il vino e, tra danze sfrenate e canti sguaiati, si scrutavano le sagome scure ed appena percepibili dei monti, la luna splendente sulla sella; e ci nascevano mille idee per l'indomani, si programmavano nuove imprese per l'avvenire, giovandoci della saldezza di quella nostra unione, che ci appariva inscindibile.
Avevo molti anni in meno, allora, ero un adolescente che affrontava il mondo carico di illusioni; non mi ponevo limiti; nutrivo una fiducia quasi cieca nella gente che mi circondava e credevo fermamente in un grande futuro, nella certezza che mille imprese e mille successi mi si apprestavano.
E come potevo ora riconoscermi in quei momenti, scoprire in me lo stesso ragazzo sognatore di allora?
Forse era solo l'incanto del luogo, la coincidenza delle sensazioni immutate che tuttora mi suggerivano le creste rocciose ed i campi sconfinati.
Camminare lungo i viali della mia città avrebbe suscitato mille impressioni diverse : avrei riscontrato in ogni immagine il peso del tempo trascorso; avrei incrociato una moltitudine di facce anonime e sconosciute; avrei intravisto i miei amici di allora, gelidi e seri, con mogli e figli, con la divisa da militare, con le cravatte ben allacciate sotto le giacche beige.
E le bambine della scuola media, come allora, briose e vistose, nel grottesco contrasto dei quattordici anni, che mescola rossetti e sigarette ai calzettoni bianchi ed ai grembiulini celesti, le occhiate cariche di malizia ai timidi pianti ingenui: ma sarebbero stati diversi i loro visi, le loro identità; ci sarebbe stato il trapasso generazionale, e le fanciulline che mi sorridevano allora sarebbero ora apparse come distinte studentesse rigidamente fidanzate a casa, o allegre reginette dei bar di periferia.
No, qui era tutto diverso; troppo diverso. I cavalli scalpicciavano sull'erba falciata, il fuoco crepitava come allora, maestoso, sembrava quasi invitarci di nuovo a spogliarsi e scatenarsi in danze orgiastiche; a tornare di nuovo a credere nel domani.
Camminavo lungo quel sentiero, mentre il tramonto sempre più avanzante accendeva una striscia di fiamma a ridosso dei picchi : il mio tramonto... Forse solo un preludio della sera.
La sera, placida e immensa, violentata dai falò rossastri accesi dai contadini sui colli, a fianco dei sentieri : traevano un brivido, quei falò sotto la luna, mi richiamavano alla mente vecchi scrittori : altri uomini tormentati.
Erano come improvvisi lampi nel buio, quasi presuntuose sfide allo sconfinato potere della notte. E, come una lugubre nenia, i guaìti lamentosi dei cani si propagavano nell'aria, accompagnando i misteriosi suoni e battiti che echeggiavano dal ventre lontano della montagna : ritmici colpi tenebrosi, forse eredità di antiche leggende, che narravano di caverne sotterranee e di mitici folletti.
Mille segreti si celavano lassù, oltre le strade bianche, nel silenzio delle mulattiere e dei sentieri erbosi dell'alta montagna. Segreti potenzialmente alla portata di tutti, ma che soltanto noi, con pochi altri privilegiati, riuscivamo a carpire. Noi che ci inoltravamo lassù, tra le pietre e gli scarni cespugli, alla ricerca di segreti forse più grandi, perchè sentivamo che la montagna ci chiamava, come la nostra vita; e quella vita dovevamo viverla, dovevamo scoprire ogni prodigio che essa poteva svelarci, le sensazioni che nessuno sarà mai capace di descrivere a parole, e che pochissimi hanno avuto il privilegio di vivere.
Sul campo di granturco erano sorti tutti quei fantasmi, tutte quelle figure : erano tutti i personaggi, i protagonisti della mia vita. E qui potevo finalmente plasmarli e mascherarli a mio piacimento, spogliarli dall'involucro di corruttibilità costituito dal tempo e dalle situazioni contingenti.
Qui potevo sposare la moretta che danzava al juke-box del bar, o far l'amore in mezzo all'erba con la ragazzetta dai capelli rosso fiamma, far eleggere il mio amico al consiglio d'istituto del liceo oppure vincere il premio Nobel per la letteratura; scalare le montagne cariche di neve, compiere mille imprese epiche nella bufera e poi riscendere, con gli occhi infuocati, e fermarmi placato ad assaporare un piatto di minestra bollente...
Non c'è più scissione tra realtà e fantasia, dove il tramonto di luglio dipinge un campo di granturco...
La mia vita : il ponticello che conduce dentro il paese, sovrastando il piccolo fosso celato da due scarpate di rovi; il lento fiotto d'acqua tra i ciottoli fangosi, il fetore denso, ma familiare e gradevole, del porcile; i miei amici di ieri e di oggi... di sempre.
Tornavo ad imboccare la strada in discesa : rapidamente e melanconicamente, perdevo pian piano alle spalle i tornanti rocciosi, le quiete mandrie ed i campi di papaveri.
Tornavo al luglio della canicola e degli amori rapidi e passeggeri, quello che fa scivolare via la sabbia ardente fra le dita, così come scivola via ogni situazione della vita. Ma sapevo che, lassù, tutto restava uguale, ad aspettarmi forse per nuove stagioni, per riscoprire l'incanto immutato di quel campo di granturco in una eterna primavera.
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Paola il 13/06/2014 14:47
Bello!! Complimenti di nuovo! 😃😃
- Scrittura pulita, scorrevole. Il racconto si legge senza nessuna fatica e per un racconto autobiografico non é pregio da poco.

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