La bandiera va al paesaggio immondo, e il nostro gergo soffoca il tamburo.
"Nei centri alimenteremo la più cinica prostituzione. Massacreremo le rivolte logiche.
"Ai paesi pepati e stemperati! - al servizio dei più mostruosi sfruttamenti industriali o militari.
"Arrivederci qui, o non importa dove. Coscritti della buona volontà, avremo una filosofia feroce; ignoranti per la scienza, espertissimi per il benessere; crepi il mondo che va. È la vera marcia. Avanti, via!".
Ritorna
Alla nera forca, amabile moncone,
danzano, danzano i paladini,
i magri paladini del demonio,
gli scheletri dei Saladini!
Messer Belzebù tira per la cravatta
i suoi piccoli neri fantocci che fan smorfie al cielo,
e picchiandoli in fronte con la ciabatta
li fa danzare sulle note d'un vecchio Natale!
E i fantocci scioccati intrecciano i loro gracili braccini,
come neri organi i petti squarciati
che un tempo stringevano dolci donzelle
cozzano a lungo in un amore immondo.
Urrà per i gai danzatori che non hanno più pancia!
Possono fare giravolte, perché il palco è così grande!
Op! Che non si sappia se è danza o battaglia!
Belzebù irato coi suoi violini raglia!
O duri talloni, non usate mai sandali!
Quasi tutti han tolto la camicia di pelle!
Il resto non impaccia si guarda senza schifo.
Sui crani la neve posa un candido cappello:
la cornacchia è un pennacchio sulle incrinate teste,
un brano di carne trema sul mento scarno:
si direbbe vorticante nelle oscure resse
di prodi, rigide armature di cartone.
Urrà! La tramontana soffia al gran ballo degli scheletri!
La forca nera mugola come un organo di ferro!
E i lupi rispondono da foreste violette:
all'orizzonte il cielo è d'un rosso inferno...
Olà, scuotete quei funebri capitani
che sgranano sornioni tra le dita spezzate
un rosario d'amore sulle vertebre pallide:
questo non è un monastero, o trapassati!
Oh! Ecco, nel mezzo della danza macabra
nel cielo rosso un folle scheletro avanza
di slancio, e come un cavallo impenna:
e, poiché al collo la corda è stretta,
raggrinza le dita sul femore che scricchiola
con grida simili a ghigni
e come un acrobata che rientra nella sua baracca
rimbalza nel ballo al canto delle ossa.
Alla nera forca, amabile moncone,
danzano, danzano i paladini,
i magri paladini del demonio,
gli scheletri dei Saladini!
Palazzo delle Tuileries, verso il 10 agosto [17]92.
Il braccio su un enorme martello, tremendo
d'ebbrezza e d'imponenza, vasta la fronte, ridente
come una tromba di bronzo, con tutta la sua bocca,
spogliando il grassone con sguardo feroce
il fabbro parlava a Luigi Sedici, un giorno
che il popolo era lì, a stringersi intorno
mentre sui fregi dorati spandeva le sporche vesti.
Ora il buon Re, ritto sul suo ventre, era pallido,
pallido come un vinto trascinato alla forca,
e sottomesso come un cane non si ribellava
perché il fabbro marrano dalle enormi spalle
gli diceva parole antiche, cose assai strambe,
da agguantarlo dritto in fronte, così!
«Tu lo sai bene, Signor mio, cantavamo tra la la
e spingevamo i buoi attraverso gli altrui solchi:
il canonico al sole sgranava padrenostri
su rosari brillanti guarniti di monete d'oro.
Il Signore a cavallo passava, al suono del corno,
ed uno con la corda, l'altro col nerbo
ci sferzavano - Ebeti come occhi di vacca
i nostri occhi non davano più lacrime: così tiravamo
avanti, e quando avevamo arato tutto il paese
quando avevamo lasciato in questa nera terra
un po' delle nostre carni... eccola la ricompensa:
incendiavano le nostre topaie di notte, facevano
dei nostri piccoli un dolce assai ben cotto.
... «Oh, non mi compiango. T'ho detto le mie fandonie,
che restino fra noi. Puoi anche contraddirmi.
Non è forse una gioia vedere, al mese di Giugno
nei granai entrare dei carri di fieno
così grandi? Sentire l'odore di ciò che cresce
nell'orto, quando piove, dall'erba rossastra?
Vedere le biade, le biade e le spighe colme di grano
e capire che ci porteranno tanto pane?
Oh, di più gran lena andremmo al forno che s'infuoca
cantando con gioia e battendo l'incudine,
se fossimo certi di poterne avere un po'
- siamo uomini, in fondo - di quei doni di Dio!
- Ma ecco, è sempre la solita vecchia storia!
«Lo so a memoria! Non posso più crederci,
quando ho due buone mani, un
Bambine che si vendono sui marciapiedi.
Bambini con la mano tesa al semaforo.
Cani abbandonati.
Uomini con le tette che si esibiscono sotto i lampioni.
Uomini senza palle che vendono droga all'angolo.
Bambini nei cassonetti e immondizie per la strada.
Scippi, rapine e risse.
Ragazzini che fumano e sputano sui muri.
Vestiti tutti uguali e pensieri tutti uguali.
Ubriaconi alla guida che vanno a tutta birra.
Pensavo che lavando il parabrezza della mia auto
tutto questo sarebbe sparito.
Poiché discendevo i Fiumi impassibili,
mi sentii non più guidato dai bardotti:
Pellirossa urlanti li avevan presi per bersaglio
e inchiodati nudi a pali variopinti.
Ero indifferente a tutti gli equipaggi,
portatore di grano fiammingo e cotone inglese
Quándo coi miei bardotti finirono i clamori
i Fiumi mi lasciarono discendere dove volevo.
Nei furiosi sciabordii delle maree
l'altro inverno, più sordo d'un cervello di fanciullo,
ho corso! E le Penisole salpate
non subirono mai caos così trionfanti.
La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli.
Più leggero d'un sughero ho danzato tra i flutti
che si dicono eterni involucri delle vittime,
per dieci notti, senza rimpiangere l'occhio insulso dei fari!
Più dolce che ai fanciulli la polpa delle mele mature,
l'acqua verde penetrò il mio scafo d'abete
e dalle macchie di vini azzurrastri e di vomito
mi lavò, disperdendo àncora e timone.
E da allora mi sono immerso nel Poema
del Mare, infuso d'astri, e lattescente,
divorando i verdiazzurri dove, flottaglia
pallida e rapida, un pensoso annegato talvolta discende;
dove, tingendo di colpo l'azzurrità, deliri
e lenti ritmi sotto il giorno rutilante,
più forti dell'alcol, più vasti delle nostre lire,
fermentano gli amari rossori dell'amore!
Conosco i cieli che esplodono in lampi, e le trombe
e le risacche e le correnti: conosco la sera
e l'Alba esaltata come uno stormo di colombe,
e talvolta ho visto ciò che l'uomo crede di vedere!
Ho visto il sole basso, macchiato di mistici orrori, illuminare lunghi filamenti di viola,
che parevano attori in antichi drammi,
i flutti scroscianti in lontananza i loro tremiti di persiane!
Ho sognato la verde notte dalle nevi abbagliate,
bacio che sale lento agli occhi dei mari,
la circolazione di linfe inaudite,
e il giallo risveglio e blu dei fosfori cantori! [...]
Ho visto fermentare enormi stagni, reti
dove marcisce tra i giunchi un Leviatano!
Crolli d'acque
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