Un cielo così puro
un vento così leggero
non so più dove sono
dove ero.
O gaggìa nuda,
bruna violetta
che nel calore fugace
appassisci...
Giorno che te ne vai
e non sai nulla di me e della violetta
a che tanto amo
e del ramo
nudo della gaggìa,
giorno, non andar via.
Un giorno amaro l'infinita cerchia
dei colli
veste di luce declinante,
e già trabocca sulla pianura
un autunno di foglie.
Più freddi ora dispiega i suoi vessilli
d'ombra il tramonto,
un chiaro lume nasce
dove tu dolce manchi
all'antica abitudine serale.
I piccoli aeroplani di carta che tu
fai, volano nel crepuscolo, si perdono
come farfalle notturne nell'aria
che s'oscura, non torneranno più.
Così i nostri giorni, ma un abisso
meno dolce li accoglie
di questa valle silente di foglie
morte e d'acque autunnali
dove posano le loro stanche ali
i tuoi fragili alianti.
Come pesa la neve su questi rami
come pesano gli anni sulle spalle che ami.
L'inverno è la stagione più cara,
nelle sue luci mi sei venuta incontro
da un sonno pomeridiano, un'amara
ciocca di capelli sugli occhi.
Gli anni della giovinezza sono anni lontani.
Con le guance di fuoco
e gli occhi ridenti
camminavi per una selva.
Il sole scherzava
con l'acqua
che fuggiva via.
C'erano il ginepro aromatico
e le grandi felci fiere
e i misteriosi licheni...
Sorse la luna chiara
fra i rami.