Di notte, quando dormono i bambini,
tutti, ma proprio tutti i personaggi
delle fiabe più amate se ne vanno
in uno strano albergo sulle nubi.
E c'è chi si riposa dalle tante
e tante prove appena superate,
con l'Orco s'intrattengono le Fate,
Biancaneve sorride alla Matrigna,
il Lupo russa e mentre russa ghigna,
Cenerentola lustra la scarpetta,
Pelle d'Asino aspetta
il Gatto che si sfila gli stivali,
cerca le sue pietruzze Pollicino
nel fondo del giardino,
Alice fa le smorfie nello specchio,
Pinocchio riempie un secchio
di bugie tutte nuove,
e c'è chi in quella folla così varia
si ripete la parte
che affronterà con arte
chiamato da un bambino
nella sua stanza, al sole del mattino.
Ancora apprestando la cena
parliamo delle cose di ieri.
Sai, come sciarpa tiepida
ho avvolto intorno al collo la pena
stranamente godendola.
Mi racconti i tuoi amori
quelli di oggi e quelli
che domani attendi,
l'amore grande che presto
venga a domarti
un lunghissimo tempo.
T'ascolto senza gridare
perché io devo capire
che un nuovo sole ti scalda:
io chiedo un silenzio
spalancato d'anima.
(Comprerò anemoni scuri
e gialla mimosa
per la mia stanza d'ombra).
Eravamo la goccia che chiude il mondo
e l'incauta felicità
la nota che s'alza dal flauto
e penetra il cielo. Tu vai
in questo febbraio di vento,
poi apprestando la cena
parliamo delle cose di ieri.
C'era nella tua voce quieta, querula,
anche quando parlavi di Ninetto
o di tua madre santa smemorata,
il grido trattenuto, il dispiacere
di chi ha lasciato (o soltanto sognato)
il giardino-recinto
dove ciascuno accoglie e dona amore.
C'era in quel grido il Cristo, il Corsaro,
Centauro che ammaestra scalpitando,
il demone che atterrisce e che invade
fin dentro la speranza e il desiderio,
ma c'era ancora il ragazzo che attende
alle porte del mondo
e accarezza la morte e la chiama
come la sola uscita sicura.
C'era in quel grido questo restare
- dopo la rabbia, dopo la tristezza -
che conosce e patisce
seguitando a cercare.
Ancora la vita
come fosse un altrove
da abitare nel sogno
e questa - di rabbie, di attese,
e pure cara, cercata -
la porta da valicare,
una vigilia, una sosta.
Ancora l'ansia,
come scura semenza
da concimare, annaffiare,
e in essa la mappa
per seguitare il viaggio.
(Un pomeriggio, a Sabaudia,
nella tua ultima estate
- dal terrazzo tua madre
chiama il mare che avanza -
maledici il catrame
dentro la sabbia, lungo la battigia,
e stupisci dell'olio
di uliva che smacchia).
Parole come gesti che additano il percorso,
innervate, veloci, da sottrarre al silenzio.
Parole che dissaldano segreti,
che disfano la trama
spessa della paura.
Leggere come foglie,
aguzze come lame,
usurati strumenti
ma chiamano l'attesa,
la salvezza.
Corsa breve di sillabe, universo
ricomposto di scaglie,
involucro, confine,
di un impresa insoluta.
Mappa, specchio reclino,
porta schiusa di un sogno,
e cercarvi la voce
che finalmente adduca
dal nome al corpo.
Fiato, grido, sussurro,
e ritrovarvi il segno
lieve, solo il lacerto di un motivo
che un poco ferma, un poco accompagna.
Parole del tornare nell'addio.