Poi che un sereno vapor d'ambrosia
da la tua coppa diffuso avvolsemi,
o Ebe con passo di dea
trasvolata sorridendo via;
non più del tempo l'ombra o de l'algide
cure su 'l capo mi sento; sentomi,
o Ebe, l'ellenica vita
tranquilla ne le vene fluire.
E i ruinati giù pe 'l declivio
de l'età mesta giorni risursero,
o Ebe, nel tuo dolce lume
agognanti di rinnovellare;
e i novelli anni da la caligine
volenterosi la fronte adergono,
o Ebe, al tuo raggio che sale
tremolando e roseo li saluta.
A gli uni e gli altri tu ridi, nitida
stella, da l'alto. Tale ne i gotici
delùbri, tra candide e nere
cuspidi rapide salïenti
con doppia al cielo fila marmorea,
sta su l'estremo pinnacol placida
la dolce fanciulla di Jesse
tutta avvolta di faville d'oro.
Le ville e il verde piano d'argentei
fiumi rigato contempla aerea,
le messi ondeggianti ne' campi,
le raggianti sopra l'alpe nevi:
a lei d'intorno le nubi volano;
fuor de le nubi ride ella fulgida
a l'albe di maggio fiorenti,
a gli occasi di novembre mesti.
La nebbia agli irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;
Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de’ tini
Va l’aspro odor de i vini
L’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l’uscio a rimirar
Tra le rossastre nubi
Stormi d’uccelli neri,
Com’ esuli pensieri,
Nel vespero migrar.
Agile e solo vien di colle in colle
quasi accennando l'ardüo cipresso.
Forse Francesca temprò qui li ardenti
occhi al sorriso?
Sta l'erta rupe, e non minaccia :
in alto guarda, e ripensa, il barcaiol, torcendo
l'ala de' remi in fretta dal notturno
Adrïa: sopra
fuma il comignol del villan, che giallo
mesce frumento nel fervente rame
là dove torva I'aquila del vecchio
Guido covava.
Ombra d'un fiore è la beltà, su cui
bianca farfalla poesia volteggia:
eco di tromba che si perde a valle
è la potenza.
Fuga di tempi e barbari silenzi
vince e dal flutto de le cose emerge
sola, di luce a' secoli affluenti
faro, I'idea.
Ecco la chiesa. E surse ella che ignoti
servi morian tra la romana plebe
quei che fûr poscia i Polentani e Dante
fecegli eterni.
Forse qui Dante inginocchiossi?
L'alta fronte che Dio mirò da presso chiusa
entro le palme, ei lacrimava il suo
bel San Giovanni;
e folgorante il sol rompea da' vasti
boschi su 'I mar. Del profugo a la mente
ospiti batton lucidi fantasmi
dal paradiso:
mentre, dal giro de' brevi archi l'ala
candida schiusa verso l'orïente,
giubila il salmo In exitu cantando
Israel de Aegypto.
Itala gente da le molte vite,
dove che albeggi la tua notte e un'ombra
vagoli spersa de' vecchi anni, vedi
ivi il poeta.
Ma su' dischiusi tumuli per quelle
chiese prostesi in grigio sago i padri,
sparsi di turpe cenere le chiome
nere fluenti,
al bizantino crocefisso, atroce
ne gli occhi bianchi livida magrezza,
chieser mercé de l'alta stirpe e de la
gloria di Roma.
Da i capitelli orride forme intruse
a le memorie di scalpelli argivi,
sogni efferati e spasimi del bieco
settentrïone,
imbestïati degeneramenti
de l'oriente, al guizzo de la fioca
lampada, in turpe abbracciamento attorti,
zolfo ed inferno
goffi sputavan su la prosternata
gregge: di dietro al battistero un fulvo
picciol cornuto diavolo guardava
e subsannava.
Fuori stridea per monti e piani il verno
E verde e fosca l'alpe, e limpido e fresco è il mattino,
e traverso gli abeti tremola d'oro il sole.
Cantan gli uccelli a prova, stormiscono le cascatelle,
precipita la scesa nel vallone di Niel.
Ecco le bianche case. La giovine ostessa a la soglia
ride, saluta e mesce lo scintillante vino.
Per le fórre de l'alpe trasvolan figure ch'io vidi
certo nel sogno d'una canzon d'arme e d'amori.
Di sereno adamantino su 'l vasto
Squallor d'autunno il cielo azzurro brilla,
Come di sua beltà nel conscio fasto
La tua fredda pupilla.
Come a te velo tenue le membra
Nel risorger del tuo bel giorno a l'opre,
Nebbia la terra, che addormita sembra,
Argentea ricopre.
Ed immoti per essa ergon le cime
Irte ed umide i grigi alberi muti,
Quai nel pensier cui la memoria opprime
I dolci anni perduti.
E via sovr'essi indifferente il sole,
Che al bel maggio rideva entro la folta
Fronda, ora fulge e non riscalda. O Jole,
Amiam l'ultima volta.