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Poesie di Jorge Luis Borges

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Le cose

Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e la scacchieraun libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d'una sera
di certo inobliabile e inoblita,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un'aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi
ci servono come taciti schiavi,
senz sguardo! Stranemente segrete!
Dureranno più in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati.



A un gatto

Non sono più silenziosi gli specchi

né più furtiva l'alba avventuriera ;
sei, sotto la luna, quella pantera
che a noi ci è dato percepire da lontano.
Per opera indecifrabile di un decreto
divino ti cerchiamo invano;
più remoto del Gange e del Ponente
tua è la solitudine, tuo il segreto.
La tua schiena accondiscende la carezza
lenta della mia mano. Hai accolto,
da quella eternità che è già oblio,
l'amore di una mano timorosa.
Sei in un altro tempo. Sei il padrone
di un abito chiuso come un sogno



A un poeta minore dell'antologia

Dov'è la memoria dei giorni
che furon tuoi sulla terra e intrecciarono
gioia e dolore e furono per te l'universo?

Il fiume numerabile degli anni
li ha dispersi; sei una parola in un indice.

Dettero ad altri gloria senza fine gli dei,
iscrizioni ed eserghi, monumenti e diligenti storici;
di te sappiamo solo, oscuro amico,
che una sera udisti l'usignuolo.

Tra gli asfodeli dell'ombra, l'ombra tua vana
penserà che gli dei son stati avari.

Ma i giorni sono una rete di comuni miserie,
e c'è sorte migliore della cenere
di cui è fatto l'oblio?

Su altri gettarono gli dei
l'inesorabile luce della gloria, che guarda nell'intimo ed
enumera ogni crepa,
della gloria, che finisce col far avvizzire la rosa che venera;
con te, fratello, furono pietosi.

Nell'estasi d'una sera che non sarà mai notte,
tu odi la voce dell'usignuolo di Teocrito.



Elsa

Notti penose della lunga insonnia
che anelavano all'alba e la temevano,
giorni che vanamente ripetevano
gli ieri, uguali. Oggi li benedico.
Potevo mai presentire in quegli anni
di deserto d'amore che le atroci
favole della febbre e le feroci
aurore fossero solo i gradini
incerti, le vaganti gallerie
per i quali sarei giunto alla pura
vetta azzurra che nell'azzurro dura
della sera d'un giorno dei miei giorni?
Nella mia è la tua mano, Elsa. Guardiamo
lenta nell'aria la neve e la amiamo.

Cambridge, 1967 tratto da raccolta prosa poesia



Buenos Aires

E la città, adesso, è come una mappa
delle mie umiliazioni e fallimenti;
da quella porta ho visto i tramonti
e davanti a quel marmo ho aspettato invano.
Qui l'incerto ieri e l'oggi diverso
mi hanno offerto i comuni casi
di ogni sorte umana; qui i miei passi
ordiscono il loro incalcolabile labirinto.
Qui la sera cenerognola aspetta
il frutto che le deve il mattino;
qui la mia ombra nella non meno vana
ombra finale si perderà, leggera.
Non ci unisce l'amore ma lo spavento;
sarà per questo che l'amo tanto.





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