Voglio cantare tutte l'ore grigie
in questa solitudine pensosa
mentre raduno ogni mia vecchia cosa
a riempir le mie vecchie valigie.
Oh le valigie, le compagne buone
dei poveri viaggi in terza classe
vecchie, sfiancate, fatte con qualche asse
sottile e con la tela e col cartone.
Le camicie van qui da questa parte,
quaggiù ai colletti cerco di far posto,
lì le cravatte e qua, quasi nascosto,
un manoscritto, e ancora libri e carte.
Ecco il pacchetto della mamma. Odora
vagamente di cacio e di salame.
Già, se avessi in viaggio ancora fame.
E questo libro e un altro, un altro ancora.
Dove vado? Non so. Ma mi sovviene
d'averla pur desiderata questa
partenza come, il piccolo, la festa
che col serraglio e con la giostra viene.
Dove vado? Non so. Ma pare a me ch'io debba
vivere senza scopo, allo sbaraglio;
e a tratti con l'inutile bagaglio
partir per i paesi della nebbia...
Io rubo, fornico, uccido,
faccio il mezzano e la spia:
ebbene? mi mandi via?
ti rido in faccia, ti rido.
La vita è breve ed è un gioco
che si perde troppo presto.
Mette conto essere onesto
(breve la vita) per poco?
Io rubo, uccido, fornico,
so tender bene i miei lacci:
e che per ciò? mi discacci?
Càlmati, càlmati, amico.
Mio Dio, la vita è sì corta,
si fa sera tanto presto
che l'esser buono ed onesto
è ormai di un'epoca morta.
Ci credi, sii sincero,
ci credi punto per punto
alle virtù di un defunto?
Se ci credo io? No davvero.
Essere onesto! ma è come
porre una foglia di fico
su un tondino d'ombelico:
eccesso di precauzione.
Essere onesto! Non oso
nemmeno pensarci. Onesto!
Finché nel mondo ci resto
non vo' trovarlo noioso.
Io rubo, fornico, uccido,
faccio il mezzano e la spia
e vendo l'anima mia
a un Mefistofele fido.
Ebbene? Mi mandi via?
Vado, fratello mio buono,
ma ti assicuro che sono
in ottima compagnia.
Ero fanciullo, andavo a scuola: e un giorno
dissi a me stesso: -Non ci voglio andare-
E non ci andai. Mi misi a passeggiare
solo soletto, fino a mezzogiorno.
E così spesso a scuola non andai
che qualche volta da quel triste giorno.
Io passeggiavo fino a mezzogiorno
e l'ore... l'ore non passavan mai.
Il rimorso tenea tutto il mio cuore
in quella triste libertà perduto,
e l'ansia mi prendea d'esser veduto
dal signor Monti, dal signor dottore.
Pensavo alla mia classe, al posto vuoto,
al registro, all'appello (oh, il nome, il nome
mio nel silenzio!) e mi sentivo come
proteso nell'abisso dell'ignoto...
Infine io mi spingea fino ai giardini
od ai viali fuori di città;
e mi chiedevo: -Adesso chi sarà?
interrogato, Poggi o Poggiolini?
E fra me ripetevo qualche brano
di storia (Berengario... Carlo Magno...
Rosmunda...) ed era la mia voce un lagno
ritmico, un suono quasi non umano...
E quante, quante volte domandai
l'ora a un passante frettoloso; ed era
nella richiesta mia tanta preghiera!
Ma l'ore... l'ore non passavan mai!
Il cielo ride un suo riso turchino
benché senta l'inverno ormai vicino.
Il bosco scherza con le foglie gialle
benché l'inverno senta ormai alle spalle.
Ciancia il ruscel col rispecchiato cielo,
benché senta nell'onda il primo gelo.
È sorto a piè di un pioppo ossuto e lungo
un fiore strano, un fiore ad ombrello, un fungo.
Scendon le gocce della prima pioggia
che sui selciati ancor timida batte,
mentre settembre lietamente sfoggia
l'ardore delle sue bacche scarlatte.
E le foglie chiacchierine
parlano dell'autunno che ritorna
e che sotto la pioggia fine fine
di pampini e di bacche agile s'adorna.