Ho bramato di lei
dall'inverno cui provengo,
in un impeto di libertina follia
ho violentato la promessa d'amore,
ho profanato il vergine calice
del primaveril fiore.
Ubriaco del dolce nettare m'abbandono
al piacere della visione,
spregiudicato ammiro
il lauto banchetto
offerto alla mia mente
dalla più bestiale tentazione.
M'avvolgo alla mia dignità
e m'aggrappo al pensier più puro,
mi scrollo di dosso
il macabro desiderio,
e l'osservo ora
con ritrovati occhi di uomo.
E sotto il cielo
che disseta la terra
sembra lei pianga,
piccola fragile creatura,
del mio orrido pensiero.
Raccolgo la tremula lacrima
offerta al mio cospetto,
l'osservo limpida
la porto alle labbra,
la bacio.
E rendo grazie
per quell'assaggio
d'acerba bellezza.
Ed il suo fresco viso
rimane inviolato,
incolume del peccato
che ho sepolto, or fiero,
con le vergogne di ieri.
E m'investe e m'imbratta
l'impalpabile muto suo abbraccio
che confonde i sensi,
e sorrido,
e m'inchino all'incanto
del tempo che culla sopito
nella pace che infonde
di ridente fanciulla.