Conosco una donna che vive
nel folto di un incalzante silenzio,
accarezzando le palpebre del tempo,
spingendo lo sguardo verso il sole:
vede i millenni scorrere ai suoi piedi
come un fiume di uomini e parole.
Attraversa secoli alberati
con le scarpe bianche di solitudine,
condivide i sonni delle colline
masticando pane di trincee.
Ogni sera, discorrendo
con le ceneri dei suoi sogni,
spinge la mente oltre la luna
e con sguardo di sagittario trafigge
il limitare di un cielo addormentato.
Di quanto pane, di quanto pane ancora
si dovrà privare
per raggiungere l'altezza delle stelle
rifuggendo il vuoto di abitudini?
Quanto mare,
quanto mare dovrà ancora svuotare,
col cavo delle sue mani,
per giungere alla pace degli abissi?
Ogni notte, quando il pensiero
del sonno l'impaùra
come un ronzio d'alveari immobili,
chiude a chiave la sua mente
paventando la comparsa della morte,
a depredare ricchezze di ricordi
Nella notte silenziosa qualche volta sogna.
Sogna d'essere musica negli atri del cielo
a consolare il pianto dei tramonti.
Ascolta, cupo silenzio dei monti:
un giorno lei scriverà una canzone,
la riverserà sui popoli senza prospettive.
Sarà come la manna del deserto.
Sarà acqua di nuvola sottile.