Il fascio moriva per sempre
mentre il Lario lo osservava
agonizzante agli occhi della storia
che aveva scritto stuprando libertà
ebbro d'una follia in volo
su olii di ricino e manganelli;
quanto ti scarnificò l'anima
duce di cartapesta e vergogna
aver tirato il tricolore nella fogna
dei graffi della tua volontà di potenza?
Quanto urlavano in te,
le voci dei ragazzi che mandasti a morire
in guerre che vomitavano vacuità
come inermi uccellini
che giacevano impotenti
tra le fauci di doppiette di cacciatori?
Quanto ti corrose i visceri
il pensiero lancinante
di avere reciso la gola fiera
del canto di libertà di Matteotti?
E quanto ti squarciò
il lago inquinato che avevi per cuore
il rumore delle percosse
che volesti riservare a Gobetti?
Ora il tempo si è stufato
di distogliere lo sguardo
dalle tue perversioni di marionetta
intollerante e antisemita
ora l'anonima camionetta
che ti tese la mano a Dongo
ha disegnato sul suo rinfrescante tracciato
il tradimento che meriti
per avere prostrato una bandiera
alla seduzione scomposta del tuo tiranneggiare;
quelle pallottole sono pronte
a presentarti il conto
della tua vigliacca complicità
nell'avere abbracciato
l'amicizia bastarda e infuocata di una svastica
ed esserti scritto complice
di un massacro di sei milioni di respiri innocenti.
Eccoti a Giulino di Mezzegra,
la corsa è finita,
monarca sanguinario arrugginito
prima ancora di cominciare la tua storia;
Claretta ti sta accanto,
per questo tuo ultimo, stridulo canto
il cui estinguersi spalanca la via,
per vedere transitare finalmente,
il fiore perfettibile
ma denso di inebriante profumo
di una sana, compiuta democrazia.