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Racconti amore

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I just called to say i love you

Primi giorni di aprile col cielo tornato sereno dopo un'interminabile pioggia; il sole è tramontato da poco ed ha ceduto il passo alla fresca e pallida sera.
Sono le diciotto e trenta, dalla finestra dell'albergo Oriente osservo uno splendido paesaggio che mi riempie il cuore e mi distoglie dai cattivi pensieri.
Dalla mia postazione riesco a vedere, di fronte, una buona quantità di mare, un pezzo di riva e parte della montagna che li domina, sulla destra.
Il cielo è quasi tutto grigio, come il mare, mentre la montagna è al buio.
In alto, nel cielo sereno, grasse e lunghe nubi scure, alternate ad altre grigie, più piccole e snelle, sono evidenziate da una lunga, sottile, disomogenea e tenue striscia di rosso.
Più in basso, nuvole più chiare, quasi bianche, sembrano poggiare su un'altra striscia, più lunga e meno sottile della prima, di un rosso più corposo ed intenso.
Ancora più in basso, altre nuvole, leggermente più cupe di quelle precedenti ma non quanto quelle più in alto, confinano e si perdono in un'ulteriore fascia rosso porpora più ampia e più lunga delle altre.
Così il rosso finale del cielo sembra toccare e colorare di rosso il mare per un po' per poi lasciarlo al suo cupo grigio sino gli scogli.
Questi ultimi, quasi completamente al buio, a prima vista appaiono irrilevanti e quasi estranei alla bellezza del cielo e del mare ma è soltanto una momentanea impressione poiché mi rendo immediatamente conto della loro funzione di completamento e di raccordo tra il mare e la montagna.
Il mare è quasi completamente immobile all'orizzonte tanto da trasmettermi una penetrante sensazione di calma e di tranquillità; poi, man mano che lo sguardo viene verso la riva, l'acqua prende lentamente vita in piccole e bianche increspature che sembrano ansimare prima di trasformarsi in onde sempre più visibili, chiare e alte, come a mostrare un'anima inquieta.
Il rosso purpureo dell'orizzonte si trasforma prima in un grigio intenso per

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Te io e la potente berlina... Che emozione!!!!!!

Esco di casa completamente tirato…salgo su quella potente berlina, “you spin me round” a tutto volume sfreccio a tutto gas oltre i cancelli della repressione, mentre giro l’incrocio ad alta velocità, in una vetrina vedo di riflesso l’inclinarsi di quella potente berlina.
Aumento il volume dell’autoradio mentre vertiginosamente aumentano i giri del motore, e la lancetta del tachimetro sembra partire verso una meta senza fine.
Senza limiti solo il massimo della prudenza e riflessi pronti per fare in fretta ad arrivare.
Al solito in ritardo, capello spettinato, barbetta un po’ trascurata e giubetto di pelle sbottonato, un po’ di colonia sparsa anche per i sedili, tappetini appena lavati e macchina specchiata al massimo….
Arrivo nei pressi di casa tua, non passando inosservato, le ragazzine del tuo vicinato che mi ammirano lanciano sguardi spassionatamente seducenti, e occhiate maliziose, ma che non mi distraggono nemmeno un po’ dal tuo pensiero, e mentre esci fuori scappi tra le grida di tuo padre che ti insegue.
Apro lo sportello e al volo ti butti in macchina… e via… accelerata da panico turbo compressore al massimo, quella potente berlina con te e a fianco che diventa un jet, scappare velocemente tra la polvere che si era alzata per la lunga sgommata… mi stringi forte come se volessi invitarmi ad darci dentro con più calma, ma ti accorgi che non riesci a dire nulla perché già ti bacio mentre guido, e ti lasci abbandonare tra la musica ad alto volume di quel gruppo degli anni ottanta, e le mie labbra un po’ salate dalla salsedine del mare … quelle che ti fanno sballare… quelle che mai dimenticherai…
Quel misto di emozioni che nemmeno quei pupi parati a festa della televisione riescono a farti provare perché troppo alti o distanti, ma in realtà la punta massima siamo noi due insieme.

   5 commenti     di: Luca Calabrese


Si può andare ovunque

Era ancora giugno ma faceva già molto caldo, l’autobus, il 73, che Paolo prendeva tutte le mattine per andare in ufficio non era provvisto di aria condizionata, era ancora uno dei vecchi autobus non ancora dismessi.
Quella era la prima estate che Paolo passava solo, ormai erano sei mesi che Monica era andata via da casa. Erano stati sei mesi molto difficili da affrontare, tornare la sera a casa e non trovar più Monica e decidere insieme cosa mangiare e che film vedere dopo due anni di convivenza non era per niente facile.
Quelle giornate Paolo le passava come se fosse sotto ipnosi, non si accorgeva di nulla, fino a quella mattina.
Apparentemente era una giornata come tutte le altre, afosa, noiosa, da passare il più rapidamente possibile per tornare a casa, mangiare pizza a taglio presa sotto casa e guardare un film in tv.
Invece sarebbe stata la mattina che avrebbe cambiato del tutto la vita di Paolo, e non solo la sua.
Ale, ovvero Alejandra, sentiva un gran caldo, ma era felice perché per la prima volta era a Roma, aveva lasciato tutti i brutti ricordi in Messico, sette anni di matrimonio con Alberto non erano andati come si aspettava, e sperava che la decisione di intraprendere quel viaggio di aver tra le sue mani il suo destino le portasse una nuova vita.
Quel giorno dopo aver preso un po’ di frutta dalla cucina della casa dove aveva affittato una camera, stava aspettando l’autobus per poter finalmente visitare Roma, perdersi tra la gente, vedere un mondo nuovo.
Non immaginava che non solo stava per iniziare a visitare Roma ma la sua vita stava per prendere una svolta, era arrivato l’autobus … il 73.
Paolo stava leggendo il giornale preso alla fermata dell’autobus quando vide avvicinarsi a dove era seduto qualcuno.
Vide degli infradito, le caviglie, che non erano decisamente di un uomo, le ginocchia, dei pantaloncini, una t-shirt e un sorriso, un bel sorriso, già era rimasto colpito dalla persona che aveva davanti, ma arrivato agli oc

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La scalata

A una mostra di quadri incontro l'amico Roberto insieme a una ragazza che non ho mai visto prima.
Ci salutiamo e lui mi presenta la sua nuova fidanzata, Simonetta che ha conosciuto a una festa due mesi fa. È una biondina piccola, con gonna nera con lustrini e un buffo cappellino. Il mio amico le dice che faccio lo scrittore, ho una bella biblioteca e lei sembra interessata. Per non apparire troppo superbo devio il discorso sul mio amico Francesco, un conte che vive in una villa con parco e possiede una biblioteca migliore della mia.
Alla fine ci salutiamo e non li vedo più per alcune settimane.
Un pomeriggio caldissimo vedo entrare nel mio studio Simonetta, da sola. Sono sbalordito dalla sorpresa; le offro una sedia, una gassosa. La ragazza si siede; è tutta accaldata e si asciuga il viso con un fazzoletto di pizzo. Mi racconta che ha saputo dal suo fidanzato dove abito perciò, trovandosi nel mio paese e avendo un'ora libera prima dell'arrivo della corriera, è venuta a trovarmi.
Chiacchieriamo di cose generiche e le mostro alcuni libri di arte, ai quali appare interessata. È un pomeriggio di settembre, ben soleggiato e nella mia stanza esposta a sud fa molto caldo. Lei ogni tanto si agita inquieta: tira la camicetta che si appiccica alla pelle a causa del sudore, oppure smuove la gonna troppo aderente al corpo. Mentre fa questi gesti io intravedo un po' il seno e le belle gambe bianche.
Passa ancora del tempo. Col caldo che fa, dice lei, sarebbe bello passeggiare in un bosco, magari in quello del mio amico, il conte Francesco.
L'idea mi pare ottima. Potremmo andare là con la mia automobile, trascorrere il resto del pomeriggio a visitare il parco e la villa, poi a sera accompagnerei Sonia a casa.
Purtroppo oggi non posso. Devo finire di correggere queste maledette bozze; è un lavoro lungo, sono in ritardo e devo spedirle all'editore prima di sabato. Le dico questo aggiungendo che la accompagnerò da Francesco la prossima settimana. Restando d

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   1 commenti     di: sergio bissoli


Ritrovo

Inutile parlare, inutile scrivere
inutile pensare, inutile muoversi.
La sola ed unica cosa che può risultare utile
in questo momento è l'affetto di qualcuno...
Difficile da avere, difficile da apprezzare
difficile da trovare, difficile da accettare.
Eppure un bagliore, una speranza si accende sempre...
ed è proprio quella che mi continua ad assistere
in ogni istante, in ogni insidia che la vita ogni giorno propone.
A volte è strano; mi fermo, mi blocco improvvisamente
e regna solo il silenzio.
Ma proprio qui si capisce o meglio, si dovrebbe capire,
la vera volontà della persona di apprezzare qualcosa, che sia
persona, che sia animale, che sia oggetto non fa differenza...
Una volta credevo ciecamente nell'amore ma il tempo,
scandito da battitti infiniti, mi ha fatto credere il contrario...
E adesso c'è solo il nulla... un vuoto esistenziale che scorre nel mio sangue...
Come un folle sto cercando di pentirmi, autolesionarmi
per farmi capire che gli erorri a volte si posso rimediare...
E non importa se con parole, con baci, con gesti affettivi,
l'importante è continuare a combattere ogni giorno con se stessi
per ritrovare la serenità, la libertà, la gioia di stare vicini a qualcuno
ed è proprio questo che sto cercando di dirti... solo parole insulse...
ma che sotto sotto hanno qualcosa di veramente unico da offrirti...
ti prego; afferrale con decisione e non rovinarle...
è ridicolo lo sò, ma finalmente ho ritrovato la tanta e desiderata pace interiore...
tutto questo grazie ad una anima che spero possa capirmi...
e spero non mi faccia pentire di aver ritrovato qualcosa che ormai
avevo perso, lasciato indietro, cancellato dai miei ricordi...
Sono cambiato...



25 dicembre

Li avevano sorpresi mentre facevano l'amore fra le panche di quella piccola chiesa di campagna. Si amavano come solo i sognatori sanno fare, incuranti del luogo del tempo, trascinati nella spirale dei loro corpi, riscaldati dal tepore del loro respiro, come fosse l'unica cosa che potevano fare, prima della fine del mondo. Era l'unico rifugio che avevano trovato ai margini di quel paese.
Grandi case sfavillanti di luci, serrate nei loro egoismi a doppia mandata, mentre fuori il freddo pizzicava la pelle e intorpidiva le mani.
La porta malandata della chiesa non oppose nessuna resistenza, cigolando si spalancò, mostrando loro il silenzio e il profumo d'incenso.
Si accucciarono sotto quattro panche accatastate in un angolo della chiesa, in attesa di riparazione. Unirono i loro due sacchi a pelo in un unico grande mantello che cominciò a prendere vita, sotto gli occhi indifferenti dei santi appesi alle pareti.
Il mondo svanì come in un sogno, il loro cielo, il loro infinito era tutto lì, protetto da pochi metri di stoffa.
Purtroppo non venne la fine del mondo, decine di mani li strattonarono, urlando frasi a loro incomprensibili, mani di vecchi, i vecchi del mondo, che non potevano capire.

   4 commenti     di: Marco Uberti


pozzanghere

Niente miracoli piovono per le mie lacrime, né in cielo né in terra.
Mi scivoli addosso come l’abito nero di una gran signora vecchio stile, e resti lì, a non guardarmi un altro po’, a fumarti la mia anima come l’ultima del pacchetto, quella che si concede all’ergastolano o al futuro padre nevrotico che va avanti e indietro per la sala d’aspetto di un qualsiasi ospedale.
E tu vai avanti e indietro per la sala d’aspetto di un qualsiasi ospedale e fai cenere di me.
Jazz, e io mi lascio sgretolare, ma polvere di Argento non divento, mentre mi guardi sparire come fuliggine da dietro ai tuoi specchi. E infondo credo, vorrei soltanto mi potessi vedere, vedere per quella che sono, quella che sono per tutti gli altri, gli altri che come me arrancano nella corsa contro il tempo, quel tempo del "C’era una Volta" che ha fretta di salutarmi con la mano, e con le mani, le mie, prego tutte le religioni del mondo per l’opportunità di scrivere con nero inchiostro nelle tue pupille e per scavarci dentro, come tante altre prima di me, o forse nessuna. Per scavarci dentro, come tante altre, che forse la mia mappa del tesoro non possedevano.
Ma ci dev’essere una ragione divina, un fottuto perchè, anche per questa fermata non-sense apparente. E allora aspetto, impaziente di mettere il cappotto e la sciarpa, che sarai pur simile agli altri, eppure con te tutto è semplicemente primavera, e corro mentalmente la maratona per arrivare in alto, con tutte le forze che ho in corpo, perché quando trovi qualcosa per cui scrivere, non sei in grado di non fare chiasso di sotto. E allora sto qui, sguazzando con noncuranza nelle pozzanghere di chi c’era prima di te, con la stessa ingenuità di chi rischia per la prima volta la sua bella secchiata d’acqua fredda.

   12 commenti     di: robibreak.



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