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Racconti autobiografici

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I panni sporchi

'I panni sporchi si lavano in casa'.
E chi l'ha detto? Una volta forse era così, oggi no, oggi i panni sporchi si lavano su Facebook.
Ebbene sì, è proprio così. Ammetto di essere di parte, nel senso che detesto in modo particolare questo social network, però quest'affermazione è sufficientemente veritiera e difficilmente smentibile.
Da reo confessa ammetto pure la mia iscrizione con un nick. Cosa abbastanza limitativa perché con un nick astratto difficilmente ti chiedono amicizia. Infatti ho pochissimi amici, tanto che penso che se ci mette gli occhi il Signor Zuckerberg mi assegna il premio 'utente con minor numero di amici'. Che poi 'amici'... si va beh lasciamo perdere, non è sul concetto amicizia che voglio far confluire il pensiero. Non mi sono iscritta con i miei dati anagrafici per diversi motivi, primo fra i quali, appunto, la mia antipatia verso questo social network.
Poi ho pensato che se avessi usato le mie generalità mi sarebbero piombate addosso le richieste di contatto di tutti quelli che conosco. Orbene: dal momento che la mia vita si dipana in spazi molto ristretti (parlo su base chilometrica) se ne desume che, dopo 8 ore di lavoro mi sarei ritrovata a parlare (chattare) con le stesse identiche persone con le quali ho trascorso, più o meno bene, la giornata.
No, pietà, breack, intervallo, coffee-time please! . A pensarci bene ho tipo una decina di persone che conosco e che abitano abbastanza lontano da me. Non so perché ma mi affascina ancora molto comporre il loro numero telefonico e sentirle 'live'. Sono retrò ma anche curiosa. Volevo sapere e verificare di persona cos'era questa droga collettiva, micidiale e virtuale che ha infettato come un virus il mondo intero. Volevo sapere cosa c'era di così interessante, stupefacente, accattivante.

Niente - come sospettavo.
Di interessante, stupefacente, accattivante c'è solo il sistema, figlio di un cervello niente male: Zuckerberg.
Ho sempre sostenuto che la fortuna

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   7 commenti     di: Ely xx


Due novembre

Lo ricordo come una festa
Si andava a Pianventena con la cinquecento gialla di mia madre, una maglia di lana ed il fumo che usciva dalla bocca giocare e fingere di essere un camino, le guance rosse e fuori dal finestrino i quadri che autunno aveva dipinto. Con la bocca sporca di marmellata di fichi e di more aveva intinto il pennello nel colore e rubato gli acquerelli ad un cielo, in quei momenti avrei voluto essere un pittore.
Dietro ogni curva un disegno d'autunno, fuori da quel piccolo abitacolo che conteneva la felicità e canzoni... non era triste novembre, cominciava già a spargere la nebbia qua e là e i campi diventavano distese da cui spuntavano le mani degli alberi quasi spogli e l'arancione acceso dei cachi che qualcuno aveva mandato per fare colore, aspettavano che anche l'ultima foglia fosse andata via per dare inizio a quel banchetto di crema che si scioglieva in bocca e nel palato e alla fine una piccola linguetta viscida che ho sempre pensato fosse il loro cuore, prezioso non si sprecava niente, gustoso come un gelato, da mangiare con le mani o con il cucchiaino.
Eccole le prime case in quella pianura romagnola, le staccionate, i giardini guardare la strada e la nostra corsa, eccolo bianco con un cancello di ferro nero... il cimitero.
Solo entrando là la festa finiva, mia madre ci diceva di non parlare e di camminare in punta di piedi fra visi che ci guardavano dalle foto passare e mi colpivano i bambini e i neonati e una statua di ferro sopra una tomba che cercava in vano di strappare quelle catene, il viso di mio nonno che non avevo conosciuto, una spugna per pulire e un mazzo di fiori e un brivido di vento che ci portava fuori.

   1 commenti     di: laura marchetti


Pellegrinaggio a Medjugorje (due)

Mi trovavo in albergo, quando venni a conoscenza che a Medjugorje c'era un crocifisso il cui ginocchio secerneva lacrime.
Non essendo a caccia del miracolo da raccontare, ignorai la notizia. Se doveva accadere qualcosa, avrei preferito che fosse accaduta dentro di me. Per questo avevo preparato una accurata confessione, rivelando al confessore tutte le mie debolezze che per vergogna o per pigrizia avevo per anni taciuto.
Ora, però, ero stanco delle mie ombre. La mia anima voleva uscire alla luce!
L'ultimo giorno di permanenza a Medjugorje accadde che una compagna di pellegrinaggio mi fece presente che era piuttosto inusuale che un pellegrino non avesse fatto visita al crocifisso del Gesù risorto.
Mi sentii un po' in colpa, ma soprattutto non volevo che il Padre celeste pensasse che lo stessi snobbando!
Così, mi recai al crocifisso miracoloso con l'idea che non fosse accaduto nulla, perché non ero corso verso di Lui come gli altri credenti.
Mi misi in fila a testa bassa, salii i due scalini di legno, poi presi a far scivolare il palmo della mano destra sul ginocchio di bronzo del Gesù crocifisso.
La mano era quasi arrivata alla caviglia, quando sentii un rivolo d'acqua al centro del mio palmo.
Tra l'incredulità, la gioia e un profondo senso di gratitudine raggiunsi l'albergo. Volevo che la mia fede non fosse motivata dal tangibile, eppure Dio mi dava un altro segno del suo Amore paterno.

   2 commenti     di: Fabio Mancini


Consola quelle lacrime!

È un giorno di festa e io cammino tranquillo su una strada secondaria dell'anonima periferia di Torino. La desolazione circostante è così perfetta che per un bel po' penso di esserci solo io da quelle parti, ma non è così. Davanti a me c'è un incrocio stradale; là noto una donna sulla cinquantina, una signora come tante. Sta guardando con una strana attenzione verso il marciapiede opposto; dove io però non vedo nulla di particolare. È indecisa se attraversare o andare via; poi la sento dire ad alta voce "Chissà perché sta piangendo?... Va be non importa" e con fare ben deciso fila dritto per i fatti suoi. Mi passa accanto senza degnarmi di uno sguardo.
Arrivato all'incrocio mi accorgo che c'è un altra donna. È vestita di cose povere e abbinate con cattivo gusto. Sulla sessantina. Ha i capelli lunghi e trasandati, il volto distrutto dalla vita. Grassa, con delle gambe molto gonfie. È tanto turbata e cammina di qua e di là. Fa fatica nel muoversi e il suo ciondolare mi ricorda un pinguino. Piange.
Lei mi vede, capisce subito che ho intenzione di avvicinarmi e urla "Quel bastardo mi ha portato via la collana". Mi colpisce il fatto che nonostante la rabbia quel urlo non riesce a essere cattivo. Mi avvicino a lei, il suo tono di voce ora è solo di una donna ferita, completamente privo di aggressività, rancore o altro. Non riesce a smettere di camminare avanti e indietro: mi da l'idea di non sapere nemmeno come bisogna reagire alla situazione, che per lei è molto forte.
Un ragazzo dai pantaloni marroni l'ha scippata di una catenina d'oro che aveva al collo. Ha paura che il marito non gli regalerà più nulla, giorni fa gli sono anche entrati in casa. Ora non ha più preziosi. Nel dirmi queste cose ho la sensazione che ingenuamente cerchi di giustificarmi il suo essere turbata, il suo pianto.
Le sue lacrime sono come quelle di una bambina completamente indifesa ai soprusi. A lei non resta che soffrire ogni volta che qualche stronzo le fa del male. I

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   3 commenti     di: Pepè


Non so cosa sia, forse solo uno di quei giorni

Ci sono quei giorni in cui senti che niente è come vorresti,
quei giorni da passare dormendo,
quei giorni che senza una ragione, ogni cosa sembra sbagliata e ogni sbaglio sembra colpa tua.
Ci sono quei giorni in cui basta un niente e ti stufi di parlare,
o anche per dire niente vorresti farlo e rifarlo e rifarlo, ma non puoi.
Quei giorni che ti danno l'illusione di essere giorni buoni,
ma il passare delle ore li rendono sempre più giorni da lasciarsi alle spalle,
e ti rendi conto che in effetti alle spalle li stai lasciando, dimenticarli però è un altra cosa..
In questi giorni vorresti una parola, la vorresti solo per te,
senti di averne un bisogno disperato e ti senti stupida, per il modo in cui ti aggrappi a quell'attesa.
Quei giorni in cui in te prevale l'egoismo e la voglia di soddisfare i tuoi bisogni, anche se sai che quei bisogni sono niente rispetto ai bisogni di chi ami. Ma per te sono tanto.
Quei giorni che pensi e pensi e pensi e non vorresti pensare perchè poi arrivi a conclusioni tue, magari sbagliate, magari no, ma tue, senza riscontro, senza conferme.
Senza conferme.. in quei giorni mancano da togliere il fiato e ti senti piccola, fragile e indifesa,
senza le sue conferme.

   4 commenti     di: Giada..


Amami come sono - parte 2 -

Questa notte, apparentemente non tanto diversa dalle solite notti, Serena si sta preparando per andare in discoteca. Canta sempre mentre si prepara per uscire. La sua voce è molto melodica e riecheggia per tutte le stanze della casa. Giò e Carlo non si tirano mai indietro quando si tratta di cantare! Giò fa il cantante di professione e, spesso, quando si trova a casa di Serena, i due giocano a fare le dive del rock. Si divertono molto insieme... Spesso ridono di se stessi sentendosi stupidi. "Abbiamo una certa età, ormai! Diamoci un contegno!", si ripetono. Cinque minuti dopo sono di nuovo ad interpretare questa o quella canzone. A volte cercano per tutti gli armadi qualcosa da mettersi per emulare le cantanti che imitano. Giò, con un paio di lenzuola, crea dei fantastici abiti da sera! L'ultima occhiata allo specchio, ed i tre amici sono pronti per la serata. C'è un po' di strada da fare per arrivare in discoteca. Sono circa 100 chilometri che, però, scorrono come fosse niente in compagnia del loro cd di "musica che solo noi gay possiamo capire", come sono soliti definirlo. Un brano dopo l'altro, un balletto dopo l'altro, ed in un batter di ciglia sono già davanti all'ingresso del locale. C'è tanta gente stasera! Il parcheggio è stracolmo di automobili e molti ragazzi passeggiano per la pineta. Carlo, che non perde mai l'occasione di farsi notare, scende dall'auto ancheggiando come una modella in passerella. Giò prende per mano Serena e i due si guardano intorno. "Mamma mia, Giò! Guarda che figo quello!!!". "Tesoro, non è roba per te, lo sai! Quello è mio!". E così ridono di gusto. La fila per entrare è davvero interminabile... Da lontano, Serena scorge un volto amico. "Samuele? Che ci fa qui? È etero lui!". "Amore, anche tu sei etero e sei qui. Magari è venuto con degli amici...". "Già...", pensa Serena tra sè e sè. Si avvicina a Samuele per salutarlo. "Samu! Pazzo, cosa ci fai qui?". "Sono venuto con mio fratello ed alcuni suoi amici. Veniamo

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   0 commenti     di: Simona Flamenca


Il concone di rame

L'ho sorpreso così, quasi nascosto nell'ampio ripostiglio.
Se ne stava in un angolo, con in gola ragnatele, in disparte e rabbuiato.
C'erano anche bottiglie col pomodoro dell'estate perfettamente impilate, i pezzi di legna per il camino accatastate a seconda della grandezza.
L'otre con l'olio denso poggiava sull'opposta parete, coperto e protetto.
Mensole senza un solo granello di polvere ergevano barattoli di vetro con salsicce sott'olio, olive sotto sale e la terrina col formaggio marzolino, come corolle di fiori bianchi e rossi appese intervallate, corone di agli e cipolle.
Il concone mamma l'aveva accantonato con la sua gioventù e le dissi invece che volevo portarmelo a casa mia, a Roma.
" Ma cosa devi farne ormai? è vecchio, pesante, non serve più e poi non lo pulisco da tanto tempo... "
Aceto e sale ed ora splende e vive, col suo vitino e i bracci a volute, occhieggia anche il ricamo sottile e delicato ad arte raffinata martellato.
L'ho ricolmato di fiori colorati ed è per me uno spettacolo per gli occhi e un tuffo al cuore ogni volta.
Mia madre lo riempiva alla fontana grande quando a quei tempi l'acqua non poteva che arrivare in questo modo nelle povere case del paese. Erano necessari più viaggi al giorno. Colmo fino all'orlo alla sorgente lo poneva sulla testa, sopra il cercine, in equilibrio perfetto.
Ora non piana, è un po' sbilenco alla base e ho rimediato con un feltrino nascosto, rifulge e vive nonostante le ferite.
Le donne nei vicoli si davano la voce per andare "all'acqua" e ogni tanto, lungo il viale fino a casa, bisognava riposare dal peso ed era allora che il concone veniva poggiato non troppo delicatamente sui muretti di sassi e da qui... i bozzi.
Ho voluto che rimanesse così, con le sue cicatrici.
Quando lo guardo rivedo mia madre giovane, con le lunghe trecce, le braccia a reggerlo, fiera nel suo ancheggiare faticoso e sensuale, col seno in su a fendere l'aria dei suoi sogni.

   1 commenti     di: Chira



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