Stasera ho voglia di ubriacarmi, si questa sera devo bere. È quello che mi ha detto quando si è avvicinato al mio lettino in spiaggia. Ora sono abbastanza vicina per poter cercare di decifrare gli innumerevoli tatuaggi che porta addosso. Mi pare di vedere un sole sulla spalla sinistra, sulle braccia sono per lo più geometrici, mentre attorno al collo e sui dorsi delle mani ricordano le decorazioni esotiche, tipo quelle che si fanno le ragazze indiane. Tutta quella roba, assieme al piercing sul capezzolo destro, i capelli nerissimi e i suoi occhi sfuggenti, lo rendono estremamente intrigante. La mia amica mi aveva preparata: domani arriva il cugino di mio marito da Milano, è un tipo fico, pieno di tatuaggi.
Dario ha 35 anni, è venuto in vacanza con la madre, ed è proprio un tipo fico.
Si è avvicinato a me perché è da giorni che tutti i suoi cugini gli rompono le palle perché esca con noi. Lasciatelo in pace, deve andare a trovare le sue cinquantacinque morose, e non uscire con noi e i nostri cinquantacinque marmocchi, lo dico ad alta voce. Lui sorride, abbassando lo sguardo; i suoi regolarissimi e bianchissimi denti risaltano sulla pelle color ebano, i piedi giocherellano con la sabbia. Alla fine sentenzia, sei l'unica che mi ha capito. Quella battuta deve aver risvegliato un'esigenza profonda. Ormai la spiaggia è deserta, è quasi l'una, lì sono rimasti solo gli irriducibili: quelli che mangiano quintali di focaccia unta in un metro quadrato d'ombra sotto l'ombrellone. Si alza, e si mette perpendicolare a me sul lettino di fronte al mio. Mi guarda negli occhi e mi chiede se sono sempre così, rispondo di sì, e lui comincia a raccontarmi frammenti della sua esistenza, dopo avermi detto che avrebbe voluto ubriacarsi.
Parte dicendo che la sera prima non è uscito perché aveva litigato con la madre, intuisco che il diverbio potrebbe essere nato perché ha lasciato il marito disabile in una struttura per una quindicina di giorni, il tempo di staccare un
Ho tante di quelle fissazioni che se dovessi aprire un'attività sarebbe di colla e chiodi...
Una la vedete voi tranquillamente da lì dietro uno schermo e un tasto che quando non ne potete più offfff e nessuno si offende e nessuno vi vede e quello che si vede, figuriamoci quello che ronza nella testa... qualche volta do i numeri, per esempio conto tutto quello che vedo, dalle righe delle mattonelle alla superficie quadrata di un pacco di pomodori che in fila per quattro con tre bottiglie per fila fanno dodici,
deformazione professionale! Santa Rosa, mi chiamo Laura! cara superficie, volavo via, ero sempre altrove, sicuramente non a misurare la terra, a contare i passi, quei passi verso l'altare, quegli scalini per salire chissà dove e da sempre quella di memorizzare le targhe delle automobili che mi precedono, che mi seguono, poi le cancello, le lascio andare, ma quelle importanti restano. La mia prima automobile 142863, centoventisei bianca usata e poi subito dopo rottamata perché ho sempre collaudato la mia corazza, qualche osso rotto, un dente e qualche cicatrice.
Ricordo solo quando andai a riconsegnare le targhe e quello che restava di lei, accartocciato sotto un fico come una foglia in autunno, venne portata in quei cimiteri di macchine, che tristezza... mi sembrano quasi delle persone, perché a persone sono appartenute, particolari che lasciano il segno.
Poi venne la mia prima macchina piccolina e bianca PS359420 ma mi ricordava lui e quando lo lasciai cambiai anche lei, con una punta di senso di colpa, cancellare un passato a qualunque costo, una Peugeot bianca PS 418488, la mia prima ribellione che mi fece sposare quell'uomo con quella audi 373891 che mi faceva battere forte il cuore. Quando mio padre seppe di questa mia propensione, chissà perché si preoccupò quando mi chiese la sua di targa e gliela riferii a memoria 307210 SEMPLICE! Come bere un bicchiere d'acqua e mio padre mangiò la foglia, per colpa di questa figlia magari cambiò strada.
Riuscire a parlare davanti al pubblico.
L'adrenalina sale come lava nel petto che ansima e ti dà la carica.
Vorresti fuggire ma ti senti responsabile anche per i tuoi compagni di avventura e così respiri a fondo. Il diaframma in fuori, scarichi l'aria lentamente, e trrr... trrr... il verso che ti aiuta a lubrificare le corde vocali disidratate.
Ecco, tocca a te... vai. I riflettori ti accecano, non vedi che l'ombra delle teste degli spettatori che attendono la tua battuta.
Il sogno vissuto da bambina riaffiora.
Con l'amica del cuore ti chiudevi nello sgabuzzino della cucina. Le mamme di entrambi erano le uniche spettatrici. Uscivate, tenendovi per mano, e gesticolando cantavate la filastrocca imparata a memoria. Loro vi guardavano con orgoglio e alla riverenza finale applaudivano entusiaste. "Brave, brave. Ancora, ancora..." e tutto ricominciava.
Avevo rimosso il ricordo dell'io bambina che si sentiva protagonista e fiera di aver fatto divertire la persona che amava di più.
Negli anni il pubblico è mutato. La sensazione provata all'università era quella di controllare la mente del professore che mi interrogava. Mi sentivo uno stregone e pensavo: " Sei nelle mie mani e ti posso portare dove voglio!"
Poi gli spettatori sono aumentati.
Io parlavo di numeri, di regole. Insegnavo la matematica come un enigma da risolvere e di questo mostro riuscivo a trasmettere l'aspetto giocoso.
I ragazzi non applaudivano alle mie spiegazioni ma era sufficiente guardarli negli occhi per convincersi che l'entusiasmo e la passione erano il filo che ci univa e si traduceva da parte loro in riconoscenza.
Da adulta sono tornata indietro nel tempo e gli spettatori, quelli veri, mi osservano dal parterre.
Appena entrata in palcoscenico la paura vola via e nasce in me la voglia di prendere per mano il pubblico. Il filo ritorna come la ragnatela che intrappola le menti di chi mi ascolta in silenzio per ipnotizzarle nella storia che rappresento.
Non so se ci riesc
Cara mamma,
che dire? Tra pochi giorni raggiungerai un traguardo importante... 80 incredibili primavere!
Sei stata e sei un donnone straordinario, un monumento rispetto a noi tre, piccole pulci qualunque.. Tu... generale di ferro, quella delle mille risorse, volitiva, oculata, austera, determinata, saggia... indipendente dalla nascita, coraggiosa. Quella che col piglio da "dittatore fascista", incuteva timore mantenendo una distanza col resto del mondo.. pochi sorrisi ed una forza di volontà unica nel suo genere."Wè... mà... ma sì sicur d'esser nà partenopea... secondo me tu tiene sang tedesco int ò dna... ahahahah!" In parole povere, mammina, io... la tua "adorata" primogenita, sono il tuo esatto contrario! Quante volte mi hai ricordato che la mia carriera d'Attila in gonnella ebbe inizio già dal tuo grembo..("Nun me fa pensà.. stev semp mal.. nausea... vomito... sì stat subito nu' guaio... ahahahah")... E, da allora in poi è stata tutta un'escalation..
Quando, poi, dopo mille tribolazioni mi decisi a venire fuori dal guscio, avesti un altro colpo.. Ti misero tra le braccia, una cozza con tanti... ma tanti... troppi capelli neri... ahahahah... pauraaaaa!!!! E, non si poteva nemmeno credere ad uno scambio di neonati.. avevi partorito in casa.. Quel mollusco bivalve era proprio tua figlia!!! Avevi una statuetta d'ebano sul tuo comodino.. prendesti la fissa, che, forse, avendola troppo guardata, avevi tirato fuori dal pancione la sua fotocopia..."l'agg guardat assaje chella statuett... oilloc... ahahahah!!! Tempo pochi mesi e la strana creatura frutto di due biondissimi con occhi cerulei, si traformò in angelo biondo... l'iride si colorò di verde e la chioma ebano diventò oro... Mah... mistero...
Mamma, non ci siamo raccontate noi due... non ho mai dormito sul tuo seno... non ci siamo mai sfiorate... cullate.. e questo nostro essere apparentemente dure, è parte di un atavico retaggio. Tu.. non puoi in alcun modo immaginare la mia sofferenza, la disp
Quella stanza piena di bastardi pronti a prenderti e a portarti via da me FANCULO MUORI no non lo voglio il tuo cazzo di drink sto andando via METTI LE MANI APPOSTO LURIDO BASTARDO non credi che faccia caldo io esco sto andando in fiamme REGGETEMI O LO AMMAZZO queste luci mi stanno accecando no anzi resto qui vediamo cosa fate insieme brutti stronzi mi voglio proprio sedere per guardarti BABY LET'S DO IT, LET'S FALL IN LOVE ma che cazzo dico secondo te quella scema conosce anche Cole Porter? Non mi calcola nemmeno ma come si fa a ballare con quel tipo io posso darti poesia posso darti amore vero baby LET'S DO IT, LET'S FALL IN LOVE guarda mi sono anche vestito bene perderò due diottrie stasera dove sei? DOVE SEI? Non ti vedo ma sappi che ti voglio ORA BASTA con queste luci non ce la faccio più e che cazzo spostati da qui non vedi che sto uscendo VAFFANCULO gli occhiali a terra come faccio adesso puttana piastrata? Eccoli per fortuna fottiti tu il tuo tubino di paillettes e i tuoi trampoli ma ti vedi mentre cammini? cazzo ehi eccomi amore LET'S DO IT vai a fumare vengo anche io così magari scambiamo due parole ecco lo sapevo un altro morto di figa pronto all'attacco anche lui con TE? Però lo capisco sei così bella ma sì rimediamo una sigaretta almeno facciamo qualcosa insieme non ci credo se n'è andato E GUARDA DOVE CAMMINI con quel cocktail da fighetto avresti potuto sporcarmi la camicia cazzo l'ho stirata IO per LEI è rientrata va bene lo stesso fumiamo questa stupida sigaretta e andiamo a casa voglio morire!
Dopo lo scoppio della petroliera nel porto di Palermo, vidi la luce all'alba del giorno dedicato a San Lorenzo; all'inizio sosta a Palermo per brevissimo tempo, la guerra ci sfolla a Bisacquino, dove ci considerano i Palermitani, pochi anni poi a Castelvetrano, dove invece siamo i montanari, per il trasferimento a Verona in contemporaneo al mio arruolo in aviazione, vengo considerato un veronese per cui dopo la scuola a Caserta, per il completamento della ferma, mi spediscono a Palermo nell'allora aeroporto di Puntaraisi. Finita la ferma, al mio ritorno a Verona, pur essendomi dichiarato stanco della divisa militare, a causa e a mio parere per l'illogicità della vita militare, mi costringono con modi paterni persuasivi ed efficaci, a partecipare ad un concorso come vigile urbano nel comune di Milano, dove, con mia sorpresa supero tutti gli esami e vi resto per due anni visto dagli amici e colleghi come il provinciale che si esibisce nella metropoli, solo a seguito del concorso vinto presso il comune di Verona dove sono additato come lo straniero bauscia Milanese, che inizio la mia attività come sott'ufficiale del corpo di polizia municipale e che continuo per ben 25 anni. Dopo di che, a seguito di altro concorso interno, cambio ruolo e attività, per finire i miei anni di servizio come segretario responsabile unità amministrativa nel lontano 31 marzo 1996 e collocato a riposo fuori dal lavoro ma sempre considerato come il vigile. CREDETEMI è stata proprio una odissea, ero e sono sempre considerato uno straniero, con i molteplici aggettivi non sempre benevoli che mi si appiccicano e che sopporto con orgoglio.
La mia mente è annebbiata, vuota, priva di pensieri. Non è vero che non si può pensare a nulla. A me capita spesso, anzi anche troppo delle volte. La mia testa non riesce più a ragionare, a fare dei pensieri compiuti, a pensare, e pensare è ciò che ci definisce umani, ciò che fa di noi delle persone. E ogni nostro pensiero definisce chi siamo. Ma quando ti senti così, quando ti senti vuoto, quando sai di non poter dire nulla che definisca te stesso, quando non vedi una via di uscita, o la possibilità di una scelta, cosa puoi fare? La mia risposta è il silenzio. E non è orgoglio, o arroganza o, peggio, non avere voglia di dire qualcosa, ma è consapevolezza. Consapevolezza. Da "con" e "sapere". La consapevolezza è un fenomeno interno, intimo. Non è la mera conoscenza, la superficialità di sapere qualcosa per sentito dire, ma è una condizione in cui la conoscenza di qualcosa si fa interiore, profonda. Non è un dato od una nozione. È il proprio modo di rapportarsi col mondo, è un tutt'uno coerente con sè stessi. Diventare consapevoli di cosa ci è successo, di ciò che siamo, dovrebbe permetterci di affrontare il futuro con una marcia in più, di non averne paura, perché sappiamo chi siamo. Ci dovrebbe permettere di non subire, ma di affrontare, di rielaborare. Il condizionale è sempre stato il mio tempo verbale preferito però . Mi permette di dire come le cose dovrebbero essere ma senza dire apertamente che non sono andate esattamente in quel modo là. Mi permette di essere sincera, ma di restare un po' in disparte, senza essere esposta troppo al pericolo, come se fossi coperta da un mantello che mi protegge da una caduta di massi improvvisa. Perché per quanto io abbia percorso con tanta fatica la strada della consapevolezza, sembra che il passato sia un terremoto che non passa mai. Nessuna consapevolezza, nessun mantello mi proteggerà da quei massi. E quei massi sono pesanti, sono tanti, potrebbero formare mille montagne. Sono la mia vita,
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