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Racconti autobiografici

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Autobiografia dei difetti

Di recente ho letto"Il linguaggio segreto dei fiori" , di Vanessa Diffenbaugh, dove la protagonista ha un dono magico di conoscere i fiori, il loro linguaggio e così poi i suoi fiori sono i più richiesti dalla città. Il libro è bellissimo e struggente ma in me ha suscitato soprattutto una profonda invidia, non tanto per il personaggio che non è certamente invidiabile, quanto per il dono che possiede la protagonista.
Nelle note autobiografiche si legge sempre di persone che eccellono in questo o quello ma mai di dove sono proprio negate. Vorrei proporre invece che venga fatto. Nel mio caso, posso subito dichiarare che non riesco a far crescere niente nei miei vasi. Pur amando molto i fiori non ricordo nessun successo. Intorno al mio terrazzo e grazie ad un clima, mi dicono favorevole, lussureggiano fiori e piante di tutti i tipi, dei quali conosco nomi e periodi di fioritura oltre a brevi regole per il loro benessere e mantenimento. Proprio con me non funziona, né nella parte esterna né nella parte interna per le piante appunto da interni.
A questa deludente regola generale fanno però eccezione due casi che sono diventati per me importanti e che ho caricato di significati.
Quando mi sono sposata, oramai quasi da 35 anni, ho acquistato una ficus da interni, detto anche "tronchetto della felicità", aveva solo una decina di foglioline e non era troppo alto, circa 60 cm. Ebbene nel correre le vicende liete e tristi della mi avita è sopravvissuto, cresciuto ed ora le sue foglie sono numerosissime e toccano il soffitto. Resiste imperturbabile alle mie assenze, ad un doveroso cambio di vaso, al mio fumo di sigaretta, ha resistito alle violenze di mia figlia quando era piccolissima che ora non vive più con me da tempo. Oramai è una presenza importante e, pur non essendo superstiziosa, spero non muoia mai e sia il nostro compagno per altri numerosi anni, sentinella dei nostri cambiamenti nel bene e nel male, come lo è stato in questi anni, quasi come un

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E voi, dove state?

Non so voi, ma io cerco sempre una panchina quando esco di casa, soprattutto se mi trovo in una città che conosco poco, specialmente se sono triste.
Attenzione però; non cerco una panchina qualunque, non mi accontento. Dev'essere l'unica in giro, distante da altre sue compagne, preferibilmente di legno chiaro e ferro lavorato di color verde bottiglia. Certo è che non sempre la trovo così e mi accontento di quello che c'è. Una sola caratteristica è fondamentale: la solitudine.
Sì, perchè quando avverto la necessità di fermarmi, devo essere sola. Qualche passante va bene.. alla fine siamo in tanti non posso pretendere...
Una panchina porto nel cuore più di altre, è tutta di legno.. è l'unica sopravvissuta all'ondata di cambiamenti della mia città che ha voluto gente vecchia su panchine ultramoderne. Lei sta lì da prima che nascessi, all'ombra di un piccolo alberello, alla luce di un lampione. Di fronte una strada a due corsie e un piccolo parcheggio. Fa quasi pena, così antica e rovinata in mezzo a tanta tecnologia.
Ci vado da sempre, almeno da 10 anni, è il mio piccolo rifugio. Porto con me sigarette, un quaderno e una penna. Ah, la musica... inesorabilmente malinconica, mi piace stare male ogni tanto.
Così stiamo io e la mia panchina, mentre io scrivo alcune delle cose qui pubblicate, mentre chi passa mi prende per pazza.
Ovvio, se una ragazza si mette su una panchina a scrivere invece di girar per negozi o chissà che altro allora è pazza. O sarà perchè piango a volte su quel legno che sta insieme per miracolo.
Ma a me non interessa, è la mia zona di conforto, l'angolo in cui far cicatrizzare i ricordi. È la mia panchina.

   5 commenti     di: denise


Rorshach

Macchie casuali ed interpretazioni reali, necessarie. Il test ci dimostra la realtà come estrema rappresentazione simbolica, niente a che vedere col vero.
Un piccolo giro dalle parti di Villa Corridi e l'ho visto in lontananza, era mio padre. Il training bianco e verde e l'andatura erano quelli e poi hai voglia a non capire; le macchie diventano persone che sono nella testa di chi le interpreta.
È chiaro che non era possibile fosse lui visto che era morto due anni prima. Però sembrava proprio. Anche i capelli canuti erano i suoi.
Rimasi a seguirlo a debita distanza per non perdere quella piccola illusione.
Fino alla prima curva, ed era sparito.



In quel certo punto

Così accadde che proprio in quel certo punto, decisi che la mia vita, sarebbe stata sempre quella di vivere in un corpo che non sentivo mio, guardavo la donna e l'amavo ma allo stesso tempo l'odiavo per come si muoveva libera, per il suo vestire e il suo truccarsi, il suo ancheggiare, per quel modo di affascinare il mondo che la circondava.

La domenica che sto per raccontarvi era delle Palme, ricordo che andai in chiesa a confessarmi, inginocchiato nel confessionale dissi: < Padre ho nuovamente peccato >,
< Dimmi figliolo >.
Il mio pensiero era fermo a quel giorno della masturbazione, erano trascorsi quindici giorni, mentre ero in piazza con gli altri ragazzi, giocavamo a guardia e ladri, si avvicinò quel ragazzo che riempiva i miei pensieri e mi disse tu sei con me nella squadra dei ladri, così formammo due squadre, scappammo per non farci prendere.
Mi sentivo agitato, come se il mio cuore avrebbe voluto trovarsi in una situazione particolare, mentre si correva per trovare un rifugio per nasconderci, entrammo in un casolare abbandonato, affannati dalla corsa e da sensazioni nascosti, ci ritrovammo sdraiati nel fienile; avevo vergogna a guardarlo negli occhi, ma inevitabilmente non potei fare a meno di guardarlo quando i nostri corpi erano talmente uniti, che sentivamo il nostro calore che trasudava eccitazione e ad un certo punto lui stringendomi a se, mi sussurrò nell'orecchio di lasciarmi andare, che sarebbe stato bello.
Eravamo soli e non ci avrebbero mai trovati in questo posto, tentava di darmi sicurezza e guardandomi negli occhi avvicinò le sue labbra alle mie e mi baciò dolcemente, mi sentivo confuso mentre lui entrava la sua lingua nella mia bocca roteandola, la testa mi girava, mi sentivo svenire dall'emozione, intanto mi stringeva forte al suo corpo ed io sentivo il suo membro che spingeva sul mio ventre; non mi ricordo come accadde ma ci ritrovammo nudi, guardavo quel ragazzo come se fosse una statua era bello, sembrava fosse stato di

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   29 commenti     di: lingualunga


Schopenhauer e la religione - Ultima parte

Finito il ciclo delle scuole medie, la decisione d'iniziare un altro ciclo di studi fuori dall'istituto e quindi chiudere con i fratelli delle scuole cristiane avvenne in un modo poco chiaro e casuale, in fondo ci si affida molte volte al caso. Termino con l'istruzione cattolica religiosa e proseguo gli studi in un istituto pubblico di scuola media superiore.
Da allora chiudo con la frequentazione della messa sia quotidiana che domenicale.
La mia entrata in chiesa da quel momento in poi si limita solo alle occorrenze speciali: matrimoni, funerali, comunioni e battesimi. La mia vita per quattordici anni è stata vestita di cattolicesimo (per restare sull'aforisma). Ciò lo si può vedere nella mia condotta di vita: frequenza dei luoghi di culto e pratica del culto.

Cresciuto, si sono veramente strappati i vestiti e l'adulto non può più vestirli : ciò lo si constata con l'interruzione della frequenza dei luoghi di culto e della pratica.
Fino a qui il ragionamento sembra filare:cresciamo e ci togliamo di dosso i vestiti (la religione), ma non è così. Infatti, ciò riguarda l'esteriore identificato con la frequenza dei luoghi di culto e con la pratica.
Invece non mi sono affatto liberato dalla religione, pur non frequentando più la chiesa, ma lo spirito religioso è rimasto velato, appiccicato, si sono solamente strappati i vestiti e si sono sì lacerati ma sono rimasti addosso: è nel nostro DNA. Il linguaggio quotidiano tradisce ogni giorno il divino che è in noi.



Ho imparato

Ero...
Anzi!
Ancora non "ero", se "essere" significa vivere dei propri mezzi.
In ogni caso... "ero" soltanto da qualche giorno. E già avevo imparato.
Avevo "dovuto" imparare!
Poco, ma quel poco era già di vitale importanza per la mia esistenza futura: avevo imparato a nuotare nel liquido amniotico della pancia di mamma. E lì dentro ero protetto. Da tutto. Da tutti.
Mi godevo quell'ondeggiare nel "mio" mare, sereno ed in pace con il mondo.
Che poi, il "mio" Mondo era tutto lì! Era veramente piccolo... diciamo... "30 cm. quadrati?" Fantastico! Un Mondo di 30 cm quadrati e tutto MIO! Per me il mondo era quello. Era naturale che pensassi, quindi, di conoscere "il mondo". Era ancora naturale che io pensassi che quello sarebbe stato il mondo che mi avrebbe accompagnato per sempre.
Era trascorso solo poco tempo quando mi accorsi che il mio mondo stava rimpicciolendo, stava cambiando qualcosa, non capivo cosa, ma c'erano di certo dei cambiamenti intorno a me, la mia gamba, che giorni prima riuscivo a distendere completamente, ora sbatteva contro un morbido muro. Le mie braccia, che prima riuscivo a muovere agevolmente a mio piacere, ora rimanevano bloccate e non riuscivo a ruotarle. È così che "ho imparato", senza capirne il motivo, che le cose, con il tempo, cambiano. Ciò che pensi sia per sempre, in poco tempo... Puf! ... non c'è più.
In quei giorni, ricordo, sono stato disturbato da un rumore stranissimo, ripetitivo e penetrante, e mentre venivo torturato da questo rumore, là fuori, appena fuori del mio mondo, delle voci lontane, un po' ovattate, parlavano di battiti, cuoricino, settimane... ecco! Settimane... capii che quel tempo che io non sapevo distinguere, là fuori, lo chiamavano settimane. E mi fidai di queste parole, perché una di queste voci la sentivo molto spesso, e molto spesso parlava di me insieme ad un'altra voce più profonda, e ridevano, scherzavano, li sentivo felici e mi facevano felice.
Ed ecco, quindi, che, trascorse altre

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   0 commenti     di: mario rossi


La morte di mio padre

Inaspettatamente la notte del 26 Novembre dell’82 un tremendo dolore si abbatte sulla mia casa e sulla mia vita: papà sta male.
Mia sorella, subito lucida e razionale, chiama l’ambulanza e insieme alla mamma accompagnano mio padre all’ospedale, mentre io resto sola a casa per fare il necessario collegamento.
Sento tutto il peso della situazione, è notte dentro di me, è ancora notte, sposto la tenda, guardo fuori e vedo la luna che impassibile manda la sua luce fredda sulla terra, mentre tutte le famiglie del mio vicinato dormono tranquille, ma non io.
Mi sento inquieta e mi accorgo di essere molto legata a mio padre, la sua presenza mi comunica un senso di sicurezza esistenziale. Io gli somiglio molto, sia nel temperamento irruento e passionale, ma fortemente volitivo, sia fisicamente ed ho una buona vena poetica che spesso trasforma la prosa del quotidiano in poesia. Mio padre ha avuto una buona formazione letteraria e i suoi poeti preferiti son Foscolo e Alfieri e spesso il motto del poeta astigiano affiora sulle labbra: “Volli, sempre volli, fortissimamente volli”.
Mi avvicino alla libreria, prendo la Bibbia, l’appoggio sul tavolinetto accanto al telefono e l’apro; in un foglio interno c’è una piegatura, vi getto un rapido sguardo, ma ecco suona il telefon è mia sorella: “Papà si è ripreso, ma io e la mamma passiamo qua la nottata, tu cerca di riposare un po’. Fatti coraggio!”. Ma io non riesco affatto a riposarmi, tuttavia cerco di farmi coraggio nell’unico modo che conosc pregando. Prendo la Bibbia e leggo così nel foglio spiegazzato: "Sentendo avvicinarsi il giorno della sua morte, Davide fece queste raccomandazioni al figlio Salomone: io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra. Tu sii forte e mostrati uomo. Osserva la legge del Signore tuo Dio procedendo nelle sue vie". (1Re 2, 1-2).
Che cosa significa questo messaggio biblico? <<Mio padre non guarirà, non tornerà a casa con me?>>.
Reagisco dandomi una spiega

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