Sento ancora l'ansia che trasmetteva mia madre ogni qualvolta si dovesse partire. Si giungeva in stazione con un'ora di anticipo perché lei diceva: il treno non aspetta, e quando in lontananza tra sbuffi, fumo e vapore cominciava a prendere forma la sagoma nera e imponente della locomotiva, il cuore iniziava a battere forte con lo stesso ritmo del campanello che ne annunciava l'arrivo. Di li a poco sarebbe iniziato l'assalto, i più lesti salivano sui vagoni ancora in movimento, e dopo avere occupato i posti per tutta la famiglia si affacciavano immediatamente dal finestrino per farsi passare i bagagli. Accadeva spesso che quando il treno si fermava già tutti i posti erano occupati e bisognava così rassegnarsi a rimanere in piedi per tutto il viaggio o al massimo usare come seduta un pacco o una valigia, ostacolando il defluire degli altri passeggeri costretti il più delle volte a incredibili evoluzioni. Si partiva così tra lacrime e abbracci e la promessa di scrivere una lettera appena giunti a destinazione, destinazione che però spesso era ignota a molti di loro che per la prima volta si recavano al nord o all'estero in cerca di lavoro, e ignoto, quasi sempre voleva dire sacrifici, sofferenze, mortificazioni. Oggi diremmo che fra quei passeggeri non c'era privacy perché fatti pochi chilometri ognuno sapeva tutto degli altri, dopo di che i discorsi cadevano inesorabilmente sulla politica e sui politicanti, e non si aveva timore di iniziare il dialogo parlando male del governo perché l'interlocutore, di sicuro, era dello stesso parere e chi la pensava diversamente viaggiava nelle carrozze di prima classe dove i sedili semivuoti avevano i poggiatesta di panno bianco e le valige non erano di cartone e dove chi aveva il viso bruciato dal freddo e dal sole era allontanato prima che potesse esibire il biglietto. Io, i discorsi dei grandi non li capivo e ne mi interessavano, l'entusiasmo iniziale con cui intraprendevo ogni viaggio pian piano cedeva il posto alla
[continua a leggere...]Le conoscevo bene, loro, i ragazzi di via dell'Olmo, che arrivarono ad allietare la piccola via.
Non a tutti, s'intende.
Perché a qualcuno la confusione dei ragazzi dava noia più della fabbrica della Pirelli che, con i capannoni alla fine della strada, produceva gomme, tubi e pneumatici.
Davano noia, i ragazzi, specie a chi abitava nella piccola viuzza privata e sterrata, che nasceva nel mezzo alla via asfaltata che declinava dal viale Alfieri fino al viale Carducci.
Arrivarono in pochi, nel '70, in qualche maniera da fuori, visto che non abitavano lì che le zie di tre di loro.
Nel tempo, si unirono a quei tre anche qualcuno che invece abitava nella strada, e a un certo punto erano una banda di una decina.
I primi pomeriggi li passavano a giocare ai supereroi, quelli della Marvel.
Si divertivano a interpretare le avventure che leggevano sui giornalini, le trasformazioni e le lotte, vicino al grande cancello che si trovava a metà della piccola strada sterrata, e che portava all'ingresso dell'ex villa trasformata, tra le due guerre, in appartamenti.
Il cancello della villa, poi, si prestava anche a essere usato come porta di calcio, anche perché, a differenza delle saracinesche, il rumore che faceva il pallone, quando lo colpiva, era un rumore sordo, che non infastidiva, né i vicini né i proprietari anziani che, circondati dal parco, neanche sentivano.
Nel '72 fu l'anno delle Olimpiadi di Monaco e, i ragazzi della via, idearono le loro.
Al tempo, una marca di formaggini, dava in omaggio delle riproduzioni delle medaglie, così i ragazzi le misero insieme per premiare le specialità che riuscirono a mettere in piedi.
Due tipi di corse; quella breve, nella parte asfaltata e leggermente in discesa della via, e quella lunga che prevedeva la circumnavigazione dell'isolato triangolare.
Le gare in bici erano a tempo, usando lo stesso isolato, oppure per la gara lunga, il giro che comprendeva l'aggiramento dell'intero complesso ospedaliero per p
ieri.. ho dormito. tutto il giorno. ho sognato. tutto il giorno. non ho toccato terra. tutto il giorno. è stato magnifico. tutto il giorno. sono stata assente. tutto il giorno. senza noia. tutto il gorno.
senza ragionare. tutto il giorno. senza tempo. tutto il giorno. senza è tardi. tutto il giorno. senza è presto. tutto il giorno. con il pigiama. tutto il giorno.
senza niente. tutto il giorno. non c'è stata una goccia di pioggia. tutto il giorno.
.. forse...
La lite virtuale mi piace, perché i mille miliardi di cellule del mio organismo fanno la Ola quando incrociano la penna con altri mille miliardi di cellule, intenzionate a mortificarne l'organigramma che ne struttura la gerarchia intellettuale. Sono tutti convinti che siano i neuroni a occupare i posti di comando di chi si è caricato sulle spalle il peso di dover comunicare al mondo la misura del volume della propria stazza intellettiva, invece, almeno nel mio corpo, il cervello è solo uno strumento tra i tanti, e l'approssimazione del meccanismo sinaptico, quello adibito alla trasmissione degli stimoli nervosi, il laboratorio chimico dove le droghe catecolaminiche sono sintetizzate, è un ostacolo che solo l'audacia di chi non teme l'estasi consente di superare. È il Direttore di questo laboratorio al comando della struttura che dirige la baracca. Lui è di una natura indeterminata, che chiamerei psichica, serva del Misterioso Capo spirituale che nessuno conosce. Il Direttore al servizio del Mistero senza nome, impiegato al primo livello di manifestazione, è capace di darsi forme diverse in dipendenza delle droghe che assume: quando si stona di adrenalina è focoso e intrepido, con la dopamina poi si acquieta diventando spavaldo, riflessivo con l'ergotamina alla fine diviene meditativo con le endorfine che, tutto sommato, sono quelle che preferisce. Il suo è un atteggiamento sinaptico indispensabile al corretto funzionamento dell'organizzazione vitale che tiene in piedi l'essere che sono, tra i pochi a non essere illuso di costituire una totalità che è indipendente dal resto dell'universo. Quando scrivo è lui che suggerisce, e innesca le emozioni che il grado d'intelligenza in cui si trova lo scritto stimola. Ora sta assumendo, in non modica quantità, un mix di sostanze neurotrasmettitrici che si annullano l'una con l'altra, ed è apparentemente lucido, ma gli passerà presto, perché quando la mia mente affronta le altre menti di questo sito il Direttore
[continua a leggere...]Sono figlio unico. Quando sono nato i miei si erano sposati da meno di un anno, mia madre era andata a vivere nella casa di mio padre dove vivevano ancora i miei nonni paterni. Dunque nei primi anni della mia infanzia eravamo in cinque. Mia madre mi ha raccontato spesso che da piccolo ero molto tranquillo, nel senso che piangevo solo quando avevo un buon motivo (e cioè quando stavo male a causa di coliche o di acetone). Mi diceva che i miei capricci non erano mai "rumorosi" (cioè che non usavo il pianto per manifestare le mie pretese o lamentele). Altre cose che mi diceva riguardo alla prima infanzia hanno a che fare con la mia "ricettività". Mi ha detto ad esempio che mi piaceva la musica (reagivo positivamente quando la metteva). Altre cose le ricordo da me; ad esempio che ero molto curioso e che le facevo tantissime domande (eventualmente anche ad altri adulti, ma spesso mi scontravo con la loro indisponibilità e questo mi deludeva). Inoltre mi piaceva molto sfogliare libri e soprattutto enciclopedie, purché contenessero foto e illustrazioni descrittive; mi piacevano molto i documentari sugli animali. Il mio primo grande interesse sono stati appunto gli animali, che mi divertivo a riconoscere nelle foto e nei disegni dei libri. Di conseguenza, già da piccolo possedevo un ricco vocabolario zoologico. Inoltre ho dimostrato una precoce capacità linguistica, mi dicono che ho imparato prima a parlare che a camminare. Alla scuola materna le maestre dicevano che mi esprimevo bene, al di sopra della media. Ricordo infatti che mi veniva spesso la tentazione di correggere gli altri bambini quando si esprimevano male o quando si comportavano in modi a mio avviso goffi e inappropriati (modi per i quali mia madre mi avrebbe obbligato a correggermi). Ricordo ad esempio che quando raccoglievano da terra e ricominciavano a mangiare del cibo io li avvertivo del fatto che era scorretto mangiare cose sporche perché "contenevano microbi". Ovviamente tutti questi compor
[continua a leggere...]Dopo tanta scrittura, nata sotto strani segni lampanti (sacrosante vincite al gioco svanite all'ultimo istante) e segnali lampeggianti (sole imperante di giorno ed aureola di stelle la notte di una fantastica Befana), sembrava incredibile ma è vero e così, divinae gratiae causa, sono il protagonista e il relatore di una storia straordinaria di celeste regia.
Dopo molte sofferenze...
nel rinvenire alla vita
mi diagnosticai una falla
che, tra pensieri folli,
la mente mi spegnea.
Fu con estremo sforzo
di ciò che mi restava
dopo immani tentativi
di colpo la tappai
grazie a un viaggio all'interno del mio corpo (L'umana commedia "Streptease dell'anima" - Altromonoeditore 2008) alla ricerca della mia perduta identità...
l'animo umano,
perenne campo di battaglia
di interiori forze clandestine
per il quotidiano folle scontro
tra spirito e materia,
primordial alito vitale
e polvere condensata,
realizza in ognuno di noi
l'umana commedia che ha così luogo
istante dopo istante
all'interno delle nostre anime,
teatro di grandi eventi,
spesso nel segno dell'arte
ma anche rabbrividenti
Proprio da qui...
vivendo fantasticando
e così sopravvivendo
ho scoperto l'anima
nel suo eterno conflitto...
che grande caos
in questa mia povera testa
quando mi ritrovo solo,
è un continuo vociferar
con vero e proprio botta e risposta
tra mente e coscienza,
prigioniere dell'anima nel mio profondo.
Se questo baccano succede di notte,
perché anche nel sonno
spesso non mi dan pace,
mi costringono a buttarmi dal letto
per ascoltar le loro assurde ragioni:
smettetela una buona volta e
la notte almeno fatemi riposar!
Per tanta insonnia e con il perenne assillo delle mie ansie divenni soggetto bipolare, psicosomatico e talora psicopatico...
perché tra ansiose notti
che il dì in parte spengea
e poi mi ritornava
con il calar del sole
l'ansia ingravescente
che poi si approfondava
col buio della notte,
tornando le ansiose notti
Eravamo finalmente giunti nel Nord-Est brasiliano. Scendemmo dal taxi e con i nostri zaini a tracolla ci dirigemmo verso l'hotel. Una marea di gente che andava e veniva. Arrivammo finalmente all'hotel, il tempo di prendere un'altra doccia, eravamo a 34° di temperatura, cambiarci, un bermuda e una maglietta, e via. Andammo un po' allo sbaraglio, senza sapere dove. Mamma mia che ragazze splendide in abiti succinti. Minigonne mozzafiato, un top e vai. Notai che la maggioranza della popolazione era di colore mulatto. Ovunque suono di musica, tanta confusione, tanta birra, in ogni piazzetta un palco con un'orchestrina. Da impazzire veramente... Migliaia di persone in giro dappertutto. Io e Maurizio iniziammo a sorridere a tutti e tutti ricambiavano. Una sensazione unica, da vivere.
Giunti in una piazzetta stracolma di gente, con diversi bar, tavoli e sedie totalmente occupati, un'orchestra che suonava un ritmo particolare: frevo, ci dissero dopo, che si balla con rapidi movimenti delle gambe e dei piedi, più veloce del classico samba, sorrisi ad una ragazza e lei si avvinò: dopo qualche minuto le presentai anche Maurizio. Lei chiamò una sua amica e ci presentò. La prima si chiama Valeria e la seconda Solange. Iniziammo a tentare di parlare, tra gesti, qualche parola già appresa, birra, qualche accenno di passo di ballo. Allegria e follia: Solange era bellissima e Valeria stupenda. Ci volle poco a farsi prendere dalla loro spontaneità. Solange mi disse, ad un certo punto, che aveva avuto una vita difficile, una storia alle spalle con un uomo che non la meritava, di essersi separata da lui da qualche anno, nonostante non si fossero mai sposati e che le aveva lasciato tre figli. Tutto questo per non nascondermi niente da subito; io le risposi che avevo avuto le mie storie nella ma vita ma di non essermi mai sposato: li per li non ci credé molto. Tra un accenno di ballo e l'altro, qualche birra di troppo e la loro cordialità, ad un tratto ci ritrovammo
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