Il viaggio era terminato. Soprattutto "dentro". E nel frattempo ero venuto a conoscenza che alcuni mesi dopo il mio rientro in Italia Babaji morì di broncopolmonite.
Ora rimanevano i ricordi vissuti nell'ashram. Anche quando mi defilavo dal guru che non ritenevo avrebbe potuto "illuminarmi" (ego?... o sentire personale?...) o forse, molto più semplicemente, stavano riemergendo le mie origini prevaricando il sensazionale che l'India ha sempre avuto nei miei confronti.
Forse, e dico forse, quel Cristianesimo che ultimamente avevo rigettato, stava prendendo forma in altra dimensione nella coscienza e non più soltanto sulla base delle mie convinzioni prettamente personali.
Nelle notti che seguirono il mio ritorno rivivevo la sensazione dell'atmosfera dell'ashram, i visi silenziosi e sorridenti dei viandanti, l'odore di incenso che penetra le narici e ti trafigge i polmoni; il ricominciare a fumare dopo due anni di astinenza convinto di scaldarti in quel freddo gelido ai piedi dell'Himalaya; l'aria frizzante del mattino che ti schiaffeggia (alle cinque) quando, sotto zero, andavi a fare l'abluzione nudo nel fiume e che "cristavo" per aver ceduto all'infatuazione di un viaggio in quella terra che promette spiritualità.
Ma quale spiritualità? Non era certamente la mia e, come descritto nel precedente racconto, stavo prendendo coscienza che non era la via che speravo di trovare. Anzi, stavano emergendo le mie origini, il "credo" che mi era stato insegnato dall'educazione familiare. Ma non tutto è stato vano né negativo... Molto ho imparato da quel viaggio.
Un vecchio detto popolare racconta che "se una esperienza giudicata negativa riporta un solo effetto positivo, è da considerarsi valida", e ad Hairakan di cose positive, malgrado tutto, ne avevo immagazzinate parecchie, anche se il trascorso in India non era stato lunghissimo, ma quanto bastava affinché la coscienza si aprisse e parlasse... il resto è stato solo questione di un attimo!
Sono venuto ieri a trovarti dove non saresti dovuto essere. Ti ho lasciato, come sai, il mio fazzolettone RossoBlu di Fraporta e ti ho dato dello stronzo perchè mi ricordo quando tre anni fa ti beccai fuori della scuola con il tuo legato al collo: se fossi stato il tuo professore t'avrei cacciato via, ma tanto con te è inutile discutere.
Michè, ma come faccio io quest'anno a suonare e a sentire la tua voce? me lo devi spiegare! Tuo Padre e tua Madre mi hanno chiesto di suonare la tua Chiarina. Lo farò, come l'anno scorso; spero non continuerai a farmi i tuoi soliti scherzi del cazzo che mi hanno fatto sfondare la porta della sede con un pugno lo scorso anno: ho ancora i segni sulle nocche, che non andranno via come il ricordo, come la ferita, come l'assenza. Ora lasciami piangere da solo, lo farò in Corteo sentendo ogni tua assenza ma di notte non si vedrà e porterò tutti al Campo a vincere, speriamo. Però caro il mio Gatto fammi due favori: uno suona bene e tieni su quelle note lunghe e due non lasciarmi ancora solo a chiedermi di tutto questo il perchè.
Stronzo!
La mia base operativa per lanciare segnali verso il mondo era uno stanzino minuscolo in cui era posizionato solamente un computer con il suo mobiletto, due o tre mensole per i cd e la sedia per mettersi di fronte al monitor. Le ginocchia andavano incastrate al meglio contro un ripiano che reggeva i fili necessari per il funzionamento della macchina.
Lo stanzino era mutato negli anni. Quando ero più piccolo, ai tempi della macchina da scrivere, era un vero e proprio ripostiglio contenente due scaffali pieni di roba incellofanata e riposta dentro i cartoni. C'era lo spazio a malapena per entrarci e, per aprire la finestra dagli infissi rossi, bisognava spingere in dentro un cartone con tutte le proprie forze. Dal momento che era la stanza meno frequentata della casa, decisi che sarebbe diventata la mia.
Quando la conquistai, per prima cosa scoprii il modo per aprire la finestra. Poi ci posizionai di fianco uno sgabello e disegnai con un pennarello rosso una serie di pulsanti sul cartone di fronte. Conteneva una batteria di pentole mai utilizzate. E infine lo bucai con il jack di un gran paio di cuffie rotte con microfono annesso che mio padre mi aveva regalato. Lo stanzino divenne la mia stazione radio ed io ci passavo i pomeriggi pensando che le cazzate che dicevo potesse ascoltarle tutto il mondo. Era facile. Ogni volta che mi serviva un nuovo canale, lo disegnavo col pennarello rosso e diventava immediatamente operativo. A volte gli ascoltatori mi chiamavano in diretta lamentando di non prendere al meglio il segnale e di non sentire bene la radio. Io fingevo di girare alcune manopole. Adesso sentivano bene.
In quella stanza avevo letto il mio primo libro: Il mago di Oz. Mi sedevo a terra con la schiena appoggiata alla porta senza permettere intrusioni. Ero praticamente in una botte di ferro. Ogni tanto mia madre spingeva la porta e mi faceva scivolare col culo sul pavimento chiudendomi nell'angolo tra il legno e il muro. Mi guardava, mi chiedeva che cosa st
Adriana mi ha confessato che prima che arrivassi io l'escursione alla foresta di mangrovie non la voleva fare ormai più nessuno. Non ho difficoltà a crederlo.
Facciamo questo briefing ogni quindici giorni. Illustriamo tutte le nostre belle iniziative con tanto di immagini proiettate sul maxischermo. Lei e Stefano si atteggiano a veterani della colonizzazione e, mentre vengono serviti dei disgustosi soft drinks alla frutta, recitano a memoria sempre la solita pesantissima solfa su tutte le possibili soluzioni di safari fotografici:
-Safari di un giorno allo Tsavo Est, o di due giorni allo Tsavo Ovest.
-Safari di tre giorni in ultraleggero sul Masai Mara o di una settimana nel Serengeti o all Amboseli
-Safari di un mese bendati e in monopattino o, per i più pigri, Safari a domicilio con sfilata di mammiferi in tutù direttamente nella propria camera.
La filastrocca continua con una snervante dovizia di particolari riguardanti orari, località, prezzi, temperature stimate, nomi e cognomi da nubili delle mamme e delle sorelle degli autisti, nel caso dovessero servire. Ho la nausea.
A me invece tocca sempre "vendere" stronzate, come il Malindi City Tour, che dal punto di vista faunistico sembra regina coeli. la grigliata di aragoste + parco marino, che consiste perlopiù in allegre passeggiate su coralli urticanti e una sbornia colossale su una spiaggetta fuori mano, o la visita al rettilario e/o alla falconeria o al villaggio samburu, luoghi di una noia tale che hanno già sostituito la pena di morte in tre stati africani.
Nonostante ciò non ho difficoltà a propinargliele come l'unica valida affascinante ed esotica ragione di un viaggio nel continente africano, eppure quella inutile foresta di mangrovie, che mi sforzo di dipingere come una roba da veri sfigati, esercita su di loro il fascino irresistibile di un documentario di Discovery Channel.
Evidentemente uso la tattica sbagliata. Ma odio quel luogo e non riesco a parlarne in termine entusiastici
Camminavo lungo il sentiero sterrato, ai miei fianchi steccati di legno e filo spinato davano ordine geometrico alla vastità dei campi che mi circondava, ai frutteti che si susseguivano, distinti dai sottili fili di ferro sospesi tra picchetti lignei.
Era luglio, il sole del tramonto colorava tutto in maniera fantastica e surreale.
Nella silenziosa solitudine mille figure, mille persone, mi sorgevano accanto, in mezzo ai faggi ed ai papaveri; il ritmico scroscio del ruscello si confondeva con i tuoni e le grida che tumultuavano dentro di me.
Poi fui di nuovo solo.
E la luce era sempre la stessa, lo stesso tenue tepore effondeva dal piccolo specchio d'acqua, dalle bacche che sporgevano sul ciglio della strada.
Sì, era sempre tutto uguale, tutto lo stesso : la radura dell'antica chiesa, col profumo di erba rasata; la distesa di granturco che frusciava oscillando al venticello; il dirupo scosceso, che conduce fra le pietre del torrente dal greto secco.
Per un lungo istante ebbi la sensazione che anche io fossi sempre io.
Avevo divorato la strada, quella lunga e tormentata strada che si inerpica, tornante dopo tornante, tagliando l'Appennino; quella strada che fa da ponte tra il mio presente, il mio passato ed il mio futuro; tra la mia vita ed i miei ideali. Quella lunghissima strada che è troppo isolata, silenziosa e poco frequentata per non cedere alla tentazione di impossessarmene, di sentirla totalmente mia.
Il tempo, no: non aveva senso, non aveva valore; non mi sentivo addosso i mesi e gli anni trascorsi.
Era ancora di luglio, come la prima volta che c'ero arrivato.
Arrivare una sera d'estate in un luogo così amato; un luogo in cui non si hanno radici, ma con cui si ha ormai un rapporto così intenso da sentirselo abbarbicato addosso, da scoprirsi un legame insolvibile : è una sensazione strana; è come ritrovarsi il primo giorno di ogni nuovo anno scolastico; è come riscendere alla spiaggia la prima volta dopo un lungo inverno.
Guardavo gl
Da un po' di tempo le mie notti non erano più le stesse. A notte fonda sentivo un bruciore alla palpebre, il respiro diventare affannoso e una sudorazione incontrollata mi inumidiva ogni parte del corpo.
Consultai il mio medico che mi misurò la pressione e mi prescrisse le analisi del sangue e quelle delle urine. Il risultato delle analisi fu confortante, ma il mio malessere continuava ogni notte.
Un giorno lessi una strana pubblicità: "Al Mago della Torre, ogni quesito puoi porre!" mi piacque. In fondo anche da me c'era una Torre che dominava le acque di un laghetto artificiale. Forse quello poteva essere un benefico segno del destino.
Lo contattai e presi un appuntamento. Il Mago della Torre era un uomo alto e magro, il viso scavato con gli zigomi evidenti, gli occhi possedevano un tenue riflesso iridescente, mentre una barba scura dava a quel volto un aspetto mistico.
Con una voce appena udibile, mi chiese quale fosse il mio problema. Gli accennai i miei fastidi notturni. Mi chiese che cosa facessi e quali fossero i miei sogni. Gli raccontai che ero un dipendente di una grande Azienda e che nel corso degli ultimi dieci anni, avevo cambiato per almeno dieci volte l'azienda di riferimento nella quale ricoprivo l'incarico di consulente telefonico.
Quando iniziai a sforzarmi di ricordare i miei sogni, di colpo compresi che il mio malessere era associato alla mia attività lavorativa. Questo era l'incubo ricorrente; "mi trovo in postazione, quando d'un tratto il silenzio viene squarciato dallo squillo del telefono. Dopo il primo trillo, rispondo: Comune di Velletri. Buongiorno! Sta parlando con Fabio, come posso esserle utile? Dall'altra parte del filo la voce incerta di un cliente del Banco di Sardegna che vuole ricevere conferma degli ultimi movimenti del suo conto corrente. Con sommo imbarazzo mi accorgo di aver sbagliato presentazione! Ho risposto ad un servizio che svolgevo quattro anni prima".
Com'era possibile tutto ciò? Intuisco di avere ta
Quello che mi appresto a scrivere è il racconto del mio dramma risolto poi in modo positivo.
La luce che si intravvedeva dietro le montagne, che descrivevo nella mia seconda poesia, si era spenta di nuovo in un letto di ospedale, dove ho avuto una grossa crisi cardiaca che ha costretto i medici a portarmi in terapia intensiva intubarmi e collocarmi in uno stato di coma farmacologico.
Le speranze date dai medici erano poche.
Tutto quello che sto scrivendo mi è stato riferito da mia moglie.
L’unica cosa che ricordo è che prima della crisi ho sentito intorno a me un forte profumo di fiori, ho chiesto a mia moglie se lei sentiva questo profumo ma ho ricevuto una risposta negativa.
Sono stato due settimane in questa situazione, la mia mente ha girovagato in altri mondi che per me erano la realtà, ma questo sarà motivo per un altro racconto.
Dopo due settimane è arrivata la notizia che si era reso disponibile un cuore compatibile per me.
Fortunatamente le mie condizioni erano un po’ migliorate altrimenti non era possibile fare il trapianto.
Alle 0re quattro di un mattino di Giugno vengo trasferito in sala operatoria per la sostituzione del mio cuore.
Sono convinto che sia stato un miracolo, le mani dei chirurghi sono state guidate dall’alto, ci sono varie coincidenze che mi hanno fatto pensare a questo, il profumo, mio cugino che in quei giorni era a San Giovanni Rotondo e pregava sulla tomba di Padre Pio per me, il cuore, non ho la completa certezza ma sembra sia venuto da una regione del sud.
Mi sono risvegliato nel letto della terapia intensiva dopo una settimana.
La prima persona che ho visto è stata mia moglie che stentavo a riconoscere, perché era completamente vestita con indumenti ospedalieri sterili, cuffia, maschera, vestaglia.
Non mi sono reso conto subito cosa mi era accaduto, l’unica cosa è che non riuscivo a muovermi, dato che la mia muscolatura era completamente sparita.
Ho chiesto a mia moglie, che non mi ha mai lasciato per un
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