PERSONAGGI:
- L'insicuro;
- La riccia;
- La testarda;
- Il simpatico;
- Il custode.
ATTO PRIMO
SCENA UNICA
Due sedie. L'insicuro e il simpatico discutono.
SIMPATICO: E così andrebbe a finire? Perché? Perché mai?
INSICURO: te l'ho detto migliaia di volte. Non ce la faccio.
SIMPATICO: PERCHE'? devi fregartene. Se va, bene, se non va, meglio.
INSICURO: meglio?
SIMPATICO: ah, scusa, ma ti sei visto? In questi giorni sei praticamente un cadavere.
INSICURO: no, non è vero.
SIMPATICO: VEDI? Vedi che neghi sempre l'evidenza?
INSICURO: io? Ce l'hai forse con me?
SIMPATICO(rivolgendosi al pubblico): ce l'ho forse con lui?
Il simpatico si alza dalla sedia e va dritto verso la prima fila. Indicando una ragazza riccia le chiede di alzarsi, e lei lo fa. Rivolgendo di nuovo lo sguardo verso l'insicuro:
SIMPATICO: era con lei che parlavo, idiota! come hai fatto a non accorgertene?
INSICURO(voltando le spalle) : FANCULO!
RICCIA( parlando all'orecchio con il simpatico) : posso tornare a sedermi?
SIMPATICO( con tono alterato): che domande sono mai queste? Si interrompe così una piece teatrale? CHE SVERGOGNATA!
(con tono pacato) però ti perdono, dai, vieni a sederti con noi.
INSICURO: e su quale sedia, furbone?
SIMPATICO: e menomale che doveva essere insicuro. Fottiti!
INSICURO: ma fottiti tu, stronzo!
SIMPATICO: come mi hai chiamato?
INSICURO: hai sentito benissimo. Ti ho chiamato stronzo. STRONZO. S- T-R-O-N-Z-O. Se vuoi te lo ripeto.
SIMPATICO: fallo.
INSICURO: STRONZO!
SIMPATICO(rivolgendosi alla ragazza, quasi incredulo): l'ha fatto di nuovo. (Alzando lo sguardo verso l'insicuro) Per questa volta sei perdonato, ma alla prossima non scappi. Ti ricordi ancora l'ultima volta eh? ( con sguardo compiaciuto si rivolge al pubblico mostrando i muscoli).
INSICURO: quale? Quella volta che sei finito in ospedale dopo che quei ragazzi rumeni ti avevano riempito di lividi? Oh, si che me la ricordo.
Il pubblico scoppia a ridere. Il simpatico arrossisce
Era bella Erica, affascinante, 45 anni portati splendidamente, una donna affermata nel lavoro, intelligente e sicura di sé; la vita le aveva dato molto ma altrettanto le aveva sottratto. Laureata in giurisprudenza esercitava con passione e perizia la professione di avvocato, estremamente competente lavorava come associato in uno studio legale di Milano dove si era trasferita ormai da quasi 20 anni.
Nata e cresciuta in un paesino dell'alto Lazio aveva avuto un'infanzia serena, i suoi genitori erano persone per bene, lavoratori, dediti alla famiglia, amorevoli con Erica e Giorgia, le loro due figlie, erano però scomparsi prematuramente, entrambi colpiti da un male incurabile per questo Erica e la sua sorellina Giorgia di tre anni più piccola, erano cresciute troppo in fretta.
Con l'adolescenza Erica ebbe grossi problemi di identità a cominciare dal nome che non le piaceva affatto, non sentiva di somigliare a quell'arbusto insulso e spinosetto e avrebbe voluto cambiare il suo "Erica" con nomi tipo Alessandra, Veronica, Tiziana più belli e musicali.
Come tutte le ragazze a quell'età era instabile, irascibile a volte lunatica per questo spesso era di malumore, cupa a volte triste, sovente si chiudeva in se stessa rintanata nella insormontabile torre del suo medievale inaccessibile castello.
Se il suo carattere crescendo era peggiorato il suo corpo al contempo era a dir poco fiorito e sbocciando si era trasformata da informe e goffa crisalide a stupefacente e delicata farfalla.
La bimba cicciottella e impacciata di un tempo era diventata una bellissima ragazza, alta formosa grandi e dolci occhi scuri, bocca carnosa e sensuale e una morbida e fluente chioma ramata le incorniciava il viso dall'ovale perfetto.
Era la più carina del liceo Erica e molti dei suoi compagni avrebbero fatto carte false per uscire con lei.
Ma il giovane cuore di Erica batteva solo per Davide... timido con due splendidi occhi neri, un ciuffo biondo sbarazzino che gli accarezzava la
Valona, agosto 2000, il contingente interforze occupa un edificio mezzo diroccato, dove noi Italiani col nostro saperci arrangiare, abbiamo reso abbastanza vivibile, camerate da 10-12 posti letto, una cucina da campo dell’Esercito Italiano in piena efficienza, una grossa sala con un televisore munito di antenna parabolica, con alcune sedie, fungono da sala ricreativa, un ponte radio in continuo contatto con la sala operativa in Italia. Di fronte a questo edificio vi è un’altra struttura presidiata ed abitata dalla polizia militare Albanese, una specie di milizia pretoriana che, sulla carta ed in parte, combatte la mafia locale, ma piu’ delle volte è concussa con essa. Il Colonnello Adami già da sei giorni ha sostituito il comando del presidio Italiano, lo hanno sistemato un alloggio d’emergenza, da condividere con un Capitano ed un Tenente Medico, si era reso subito conto della situazione quasi precaria, e della sensazione di grande disagio con cui ogni giorno si doveva fare i conti, non ci si poteva allontanare dal presidio da soli ma in gruppo, ed armati poiché continue scorribande di sbandati, si spostavano in cerca di razzie o di regolamenti di conti tra bande rivali, nell'infermeria spesso si presentavano ragazzi feriti da armi da fuoco per non parlare di bambini che giocando con armi d’ogni genere spesso venivano colpiti da esplosioni o da pallottole sparate senza un motivo preciso o per qualche regolamento tra adulti!.
Quella sera il colonnello Adami si era sdraiato nel suo letto con una stanchezza profonda, il lavoro era davvero tanto, ma la sua spossatezza era piu’ che altro psicologica, da quando era arrivato nella Ex Albania i suoi occhi avevano visto solo miseria, povertà , abbandono e prepotenza, la guerra è da un pezzo finita ma quello che ha lasciato alle sue spalle è un popolo tutt’altro che liberato da schiavitù , tutt’altro che risollevato da un economia scellerata, un popolo che non ha ancora risolto n
Elisa, al giro di boa, oltre che bella, conservava il suo fascino e il suo candore.
Una vita sui palcoscenici e la danza nel sangue.
I suoi eleganti volteggi, virtuosismi impressi nella memoria di ogni amatore.
I trionfi alla Scala, al Metropolitan, all'Opera e al Bolshoi... deliziosi ricordi.
Uscire di scena, in punta di piedi, l'ultimo tocco di una classe raffinata.
Alfredo, ex legionario, tastava, di tanto in tanto, le cicatrici che lo ricoprivano.
Quella lunga, sul costato, era frutto di una coltellata, regalatagli da Alfio il Messinese.
Quella del braccio, frutto di una rissa all'angolo di Rue Des Canettes.
Quella sulla gamba, regalo di un Congolese, che non potè vantarsi dell'impresa.
L'ultimo sfregio lo doveva a tre by-pass, che lo avevano salvato.
I capelli, spruzzati d'argento, tradivano l'età dei musicanti.
Elisa, alla ricerca di una nuova primavera, si era innamorata del web.
Fulminea la passione e fulmineo l'intrecciarsi dei contatti con "Quelli" dei Siti.
Il suo nick, "Danza del Cielo"... Letteratura, Arte e Sociologia, il campo d'azione.
Era single e non confessato il sogno di un'anima gemella.
Anche Alfredo, condannato ai domiciliari, per non annoiarsi, fu vittima del web.
Il suo nick " Ombra"... Arte, armi e belle donne... i suoi interessi.
Lei, ogni mattina, sempre più presto, contava i contatti e leggeva i commenti, arricciando
il nasino se critici e gongolando di gioia, se in linea con le sue aspettative.
Dopo aver postato, "La Danza delle Stelle" si aspettava una marea di consensi e così fu.
Un commento: " Le stelle limitiamoci a guardarle, che sono fredde come te."
Un commento, un fastidioso commento, firmato da un certo "Ombra", che non meritava risposta.
" Fredda io? E come si permette l'omuncolo?"
Glaciale l'e-mail: "Signor Ombra, cancelli il suo commento e sparisca dai miei post."
Ogni mezz'ora controllava la posta elettronica, ma nessuna ombra di risposta.
Una nuova E-mail: "Signor Ombra, avrei gradit
Il loro profumo... la loro morbidezza... Non credo ci sia niente di meglio delle lenzuola appena cambiate. No, non le paragonerò alla candidezza della neve. Odio le similitudini. E odio le poesie. Odio essere gentile, premuroso, apprensivo. Odio essere benvoluto, odio essere stimato. Sono solo disteso sul mio letto a non far nulla. Ah... dolce far nulla. C'è una mosca nella mia stanza. Mi ronza intorno da qualche minuto oramai, e la porta e la finestra sono chiuse. Non ha vie di fuga. È in trappola. Come me. No, non sono stato rapito.. sono in casa mia. Ma è come "soggiornare" in una prigione. Soggiornare? Soffocare! Mi manca il respiro. E non è per la finestra chiusa. È per le catene intorno alla mia anima. Odio essere gentile, premuroso, apprensivo. Odio essere benvoluto, odio essere stimato. Voglio solo Essere. Giocare secondo le mie regole. Come i personaggi carismatici dei libri che leggo, dei film che guardo...
Ho detto di odiare le similitudini... ma allora perché ho usato la parola "come"? È davvero impossibile Essere, senza nessun compromesso?
Continua...
Credo che un po' tutti ci facciamo un'idea di come potrebbe essere la nostra vita futura, e magari viviamo nell'angoscia il presente temendo quello che sarà di noi, senza tenere in debito conto ciò che potrebbe riservarci il destino, capace di stravolgere progetti e aspettative.
Anche quando la nostra vita sembra scorrere sui binari della monotonia, verso una meta per noi verosimile, basta un evento imprevisto a farla deragliare e a sconvolgerla, facendola deviare verso scenari fino a quel momento inimmaginabili.
Questo a me accadde un giorno di otto anni fa, e la mia vita improvvisamente cambiò direzione.
Da quasi quarant'anni ogni mattina mi alzavo prima delle cinque, uscivo di casa per andare al deposito e mi mettevo alla guida di un autobus di linea per raggiungere dei paesini della provincia, dove caricavo un bel po'di studenti per portarli in città.
Era un lavoro pesante, ma non me ne ero mai lamentato, del resto mi aveva dato la possibilità di sposarmi e di metter su famiglia.
Mia moglie mi aveva lasciato dopo ventiquattro anni di matrimonio, sopraffatta da un male incurabile, dopo avermi donato due figli: Laura, la grande, che si era sposata e viveva al Nord, e Antonio, ormai ventitreenne, che era riuscito a diplomarsi a fatica, perdendo qualche anno per strada, e non aveva voluto più studiare. Nell'attesa di un lavoro stabile, lo avevo convinto a prendere la patente per guidare i pullman, nella speranza che potesse essere assunto nella stessa ditta dove lavoravo io.
Intanto viveva da scavezzacollo, alzandosi tardi la mattina e trascorrendo le sue giornate con gli amici, giornate che per lui finivano a notte fonda.
Il suo modo di vivere non mi piaceva, e spesso avevamo delle accese discussioni nelle quali l'accusavo di essere immaturo e fannullone, e di non darmi nessun aiuto a casa. Il nostro era un rapporto molto conflittuale, e questo mi faceva star male.
Quella mattina uscii di casa che pioveva, sembrava una giornata come mille altre,
(Il protagonista entra, con un gruppo di nobili, in una stanza stretta e buia, illuminata fiocamente da una lampada ad olio e da qualche candela)
"Miei cari signori, sto per darvi una notizia che non vi piacerà. Almeno credo. Bene, se volete accomodarvi darò inizio al mio ultimo spettacolo. Forse vi starete chiedendo perché vi abbia convocati proprio qui, nella mia umile e fredda stanza. Avrei potuto scegliere meglio, lo so. Conosco i vostri gusti. Quello squallido armadio a muro, divorato senza pietà dalle termiti, bene quello è il segreto del mio successo. E cosi quella inutile lampada ad olio appoggiata sul comodino. Si, proprio quel comodino, signora, dove lei adesso poggia il suo grasso e ipocrita culo borghese. È inutile che mi guarda male, lo sa benissimo anche lei. Vive alle spalle dei popolani come me, come mio nonno, che ha impregnato quel fottuto comodino di sudore e lacrime solo per darmi qualcosa prima di morire. Lo so che ti schifa il sudore plebeo, lurida puttana! E so anche che provi orrore per le mie rughe! Invece lei, che bel visino grazioso che ha, signora! Che bel visino di merda! Provi a lavarselo. Provi a specchiarsi. Vuole sapere cosa vedrà? Se stessa, e tutto qui. Nient'altro che una vecchia racchia incapace di accettarsi così come è, e che si maschera da guerriero incipriato, per nascondere le sue debolezze senili. "
(Un nobile signore, adirato, si accinge ad uscire dalla stanza)
"Vattene, stronzo, và pure a ingozzarti di brioches nel tuo palazzo di cristallo! Se non ti piace come parlo, fottiti pure! E ricorda, che se tocchi uno, e solo uno dei mattoni del pavimento, tocchi il sangue di mio padre! Perché lui lì ci è morto! Lui l'ha costruita, la tua casa delle bambole! E almeno abbi il coraggio di guardarmi negli occhi mentre ti parlo, codardo!"
(La porta sbatte con violenza)
"Che modi! Ecco a voi il bon ton aristocratico, signori miei! Il vostro caro collega ha appena pisciato su di voi, lo sapete? Su di voi
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