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Racconti fantastici

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Il fotografo

Si svegliò di soprassalto nel cuore della notte,
avvolto da un turbamento, inspiegabile e misterioso.
Accese la lampadina appoggiata sopra il comodino,
e si diresse come un'automa verso l'uscita della camera
e, senza levarsi il pigiama, s'infilò il pantalone di jeans
e il maglione che era appoggiato su una sedia a dondolo.
Poi, aprì un cassetto, dove era custodita una torcia;
la accese e, seguendo il fascio di luce scese le scale
di pietra, che conducevano giù nello scantinato; dove vi erano
stati accatastati oggetti d'ogni tipo, appartenenti ai parenti scomparsi
della sua famiglia.
Nello scantinato si percepivano presenze invisibili; emanati
dagli oggetti stessi, invecchiati dall'usura del tempo.
Tra essi l'occhio gli cadde su un quadernetto, dove vi erano annotati alcuni appunti.
Con interesse incominciò a leggerli:
"Come catturare i pensieri rendendo visibile l'invisibile".
"Come fotografare l'anima e renderla riconoscibile all'occhio umano".
Io fotografo dilettante, ho in progetto una macchina rivoluzionaria
in grado di immortalare tutto ciò che la mente umana elabora.
Per far sì, che tutto l'invisibile che ci circonda, sia visibile, e non sia più un mistero.
Se riuscirò a far ciò. Non esisteranno più segreti occultati nell'animo umano,
e il mondo nuovo che rinascerà, sarà come il poeta: "un uomo nudo".
Il male sarà sconfitto, e il bene, finalmente avrà il sopravvento
nel trionfo dell'amore ritrovato... così parlò il profeta...



82, Washington Road (Episodio 9)

I sopravvissuti lasciarono il negozio di Meltzer, avventurandosi nell'incubo che aveva inghiottito Rockford. Avanzavano in una tremolante fila indiana aperta dalla canna del Remington impugnato da Rod Hensenn e chiusa da Meltzer stesso, il quale aveva serrato a chiave il negozio come se dovesse riaprirlo il giorno dopo, pur consapevole che il giorno dopo poteva non arrivare mai.
Per raggiungere la Statale 19 avevano bisogno di ruote, sufficienti per portare tutti. Ventidue persone non potevano infilarsi tutte nella vecchia Honda Civic che Meltzer teneva parcheggiata dietro alla sua rivendita, sempre che non fosse di colpo diventata un'automobile da clown, né era pensabile che un piccolo gruppo iniziasse il viaggio in auto mentre gli altri camminavano, esposti a quelle creature. A mezzo miglio dal negozio c'era il concessionario di Lenny Dillinger, la cui insegna diceva "Prendi oggi, paga dopodomani". Era esattamente ciò che intendevano fare.
La notte danzava tra le ombre intorno a loro, come un fanciullo dispettoso che aspetta di godere della propria malefatta. In alcune abitazioni le luci erano accese, ma dove il male era arrivato prima non c'erano che gli occhi scuri delle finestre. I lampioni fornivano un'illuminazione insufficiente a far sentire al sicuro Sarah, lasciando troppo spazio all'immaginazione, troppi nascondigli possibili dai quali le creature potevano tendere agguati. Camminava a metà della fila, dietro a Anthony Corliss, tirando per una mano un Jake ciondolante e ancora scioccato da ciò che era accaduto a casa sua.
Era successo tutto troppo in fretta, e stava ancora accadendo senza rallentare affatto. Troppo in fretta anche per lei, che detestava Rockford con i suoi uomini duri che andavano fieri delle loro pance da alcolizzati, Rockford con le donnine religiose e caste che si scambiavano opinioni sul pene del lattaio, Rockford dello sceriffo Lassiter che aveva strappato la sua denuncia nei confronti dello zio perché "da queste parti c

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Jan Mydlàv o delle colpe e delle pene

Sono Jan Mydlàv, boia dell'Imperatore nella città di Praga.
Come me fu boia mio padre Jaroslav.
Bambino, ignoravo dove andasse quando portava con sé quel grande mantello di raso rosso, che credevo magico.
Il suo servo, Karel, lo attendeva con un lungo e pesante fardello che - seppi poi - conteneva le spade.
Quei giorni papà non tornava che al mattino, quando io ero già sveglio.
Lo sguardo stanco, gli effetti di una intera notte passata nelle bettole.
Solo il giorno successivo sarebbe ritornato lui, affettuoso e attento: avremmo giocato nel cortile della casa, richiamato gli uccelli sulla collina di Petrin.
Quando compii sedici anni mio padre mi disse del suo lavoro e che un giorno avrei dovuto succedergli.
Mi avrebbe insegnato ogni cosa.
Lui e Karel mi mostrarono le tre spade, puro acciaio di Spagna, me ne fecero saggiare l'enorme peso, l'equilibrio.
"La punta della spada al cielo - mi disse mio padre - e tutto il suo peso per un istante qui, in questo punto al centro del polso, prima che la lama cada".
L'arte del boia stava infatti nel decapitare il condannato in un solo colpo.
La sofferenza di chi doveva morire sarebbe stata minore, la punizione impeccabile.
Un boia che dovette usare il terzo colpo per decapitare un uomo a Poznàn ebbe problemi con la folla.
Karel mi addestrò con le sue spade - quelle che avevano già colpito un uomo dovevano essere usate solo nelle esecuzioni - a decapitare piccoli animali, perché mi abituassi al gesto e al sangue.
Mi fu spiegato con l'aiuto del cadavere di un vecchio, un senza casa pronto ad essere gettato in una fossa comune, dove e come colpire il collo per riuscire.
All'età di vent'anni sostituii Karel come asssitente di mio padre
Quando tutto finiva provvedevo alla pulizia delle spade che avevano colpito, con acqua di fonte.
Apposte le firme di rito, smettevamo i nostri mantelli e ci univamo alla folla.
Andavamo in qualche osteria dove molta birra e una carne pesante e condita mutavano e scuriva

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Una mattina di ottobre alle 8, 40 (ora legale)

Ti si accende la luce la mattina che già sei in macchina da chissà quanto tempo. Come se la vita scorresse inutile fino al momento in cui ci fai caso. Anche oggi, come sempre, su questa strada, alla stessa ora, già sconfitto, e con tante battaglie davanti a me ancora da perdere. Chi l'avrebbe mai immaginato dieci o vent'anni fa? Sentirsi infelice, perdente, squattrinato, seduto in questa auto a guidare verso un oscuro ambulatorio di periferia.
Se vent'anni fa, avessi potuto vedermi come sono adesso, credo che avrei avuto una crisi di quelle che ti butti a terra, in preda all'agitazione più inconsulta, e sbatti i pugni sull'asfalto, e urli come se ti avessero detto che ti sono morti tutti i parenti o che hai un male incurabile che ti farà diventare andicappato per tutta la vita, o peggio ancora. Perché un handicap ti può anche dare una ragione, una motivazione, per esempio ci sono le associazioni per andicappati, ci sono anche le Olimpiadi per gli andicappati. Ma vedere se stesso a distanza di 20 anni, seduto in macchina, andare al lavoro come un perdente, come un fallito, può essere peggio che vedersi su una sedia a rotelle.
Non sono riuscito ad afferrare i miei sogni. In parte per colpa mia. Quando stavo per realizzarli, mi sono emozionato come quando devi provarci la prima volta (e anche l'ennesima) con una ragazza e dici la cosa più stupida in assoluto che avresti potuto dire in quella situazione. Ho perso le mie occasioni. Non sono riuscito prendere possesso dei miei sogni nella realtà.
Questa strada la faccio tutte le mattine, dal lunedì al venerdì. C'è una pista ciclabile, qui a fianco, dove camminano a passo svelto delle ragazze, rumene o extracomunitarie. Vanno al lavoro tutte concentrate. Probabilmente pensano a quanti soldi guadagneranno e programmano i cambiamenti che questi soldi apporteranno alla loro vita, oppure meditano su come evitare di farsi mettere in cinta da quegli energumeni dei loro uomini, o chissà a cosa pensano,

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La tartaruga

C'era una volta una tartaruga di nome Pone, viveva vicino al bosco con la sua famiglia. Aveva tre sorelle e lei era la più timida di tutte. Loro si trovavano vicino a un laghetto con altri animali per stare in compagnia, ma lei non ci andava spesso. Preferiva stare sola e tranquilla vicino a un vecchio albero, sognando e cercando di capire il significato dei suoi pensieri.
Per non stare sempre sola ogni tanto andava con loro, ma trovava così strani gli altri animali. C'era un coniglietto dispettoso che la prendeva sempre in giro, rendendola ridicola davanti a tutti. Lo scoiattolo prepotente e un po'bulletto al quale era impossibile avvicinarsi. Il cerbiatto che fingeva di essere gentile, ma voleva solo essere al centro dell'attenzione. E poi gli uccellini indifferenti, che non consideravano nemmeno la sua presenza. Lei non si sentiva a suo agio, così si ritirava spontaneamente nel suo guscio, per proteggersi.
Le sue sorelle si lasciavano andare, sciogliendosi in sorrisi e anche lei veniva coinvolta da quel che giudicava, una giusta ironia. Però la maggior parte delle volte affondava, per paura di non essere compresa nelle sue idee e non essere rispettata.
Un giorno mentre passeggiava da sola, si trovò davanti a un bivio immaginario. La strada si divideva e non c'era via di mezzo, proprio quel equilibrio che lei cercava.
Preoccupata e non sapendo cosa fare, scelse una delle due, scoppiò subito un forte temporale, lei vide un'altra strada dalla parte opposta raggiungendo così un cielo sereno.
Continuò il suo cammino trovando qualcosa da mangiare, ma quando finì tutto, la strada cambiò e per molto tempo avanzò senza nemmeno un goccio d'acqua.
Continuò a zigzagare e capì che nella vita nulla è perfetto. Ogni cosa ha i suoi pro e contro, doveva accontentarsi o troppo o nulla, cercando di cogliere la parte positiva e negativa.
All'improvviso sentì stringersi il cuore da una forte emozione, davanti a lei vide arrivare Nepo, anche lui era una tartarug

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   3 commenti     di: sara zucchetti


La piccola Dea

Nacque tra le dure rocce di una colata lavica, generata da linfe e resine odorose in una casa sommersa il cui tetto emergeva in un mare nero, indurito da pietre.
Vi abitava da lungo tempo, sola, ed una sera decise di uscire per esplorare il vulcano silenzioso.
Tenera, sorridente con un gesto leggero tirava indietro i capelli trattenendoli con le dita, mentre oltrepassava la piccola porta della casa in rovina.
Camminava a fatica, ma con buon equilibrio, quasi fosse avvezza al suolo aspro; calpestava attenta quel letto duro e minaccioso, i profumi di tenere erbette le solleticavano il nasino lungo e delicato fino a farla sorridere di curiosità.
Era sola in quel mare immenso, immobile, ma che sembrava dover riprendere ad ondeggiare da un momento all' altro. Affatto preoccupata, Carminella si arrampicò fino al sentiero di terra e più agilmente potè raggiungere il bivacco dove luci tremolanti si allargavano al suo giungere. Lì vide alcuni piccoli esseri addormentati, il musetto paffuto e i corpi minuscoli: appartenevano a giovani gnomi usciti dal bosco in cerca di cibo.

La fanciulla li osservò attenta, cercò nella sua bisaccia avanzi di un pasto abbondante e li pose accanto ai piccoli addormentati.
Uno di loro aprì gli occhi e incredulo la guardò con sguardo sognante.
-Chi sei?-
-Sono Carminella, la regina della montagna e soccorro chi ne ha bisogno.-
-Hai un sorriso luminoso tanto che i tuoi denti riflettono la luna. Sei gentile a preoccuparti per noi, ma siamo capaci di cavarcela da soli.-
-Accetta quel poco che ti posso offrire perché presto dovrò andare e non penso potremo rivederci.-
-Ti ringrazio, allora se devi proseguire voglio salutarti con un bacio.-
Carminella piegò il collo flessuoso verso il piccolo gnomo che emozionato sfiorò la sua guancia con labbra leggere.
-Addio e ricordati di noi, esseri della notte, prigionieri del bosco, abitatori delle montagne, sarai la nostra Dea e a te sempre rivolgeremo una preghiera prima di prende

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Non si recide un fiore

È diventato impossibile vivere sul nostro pianeta nel 2251: da tempo le industrie male utilizzate hanno creato solo inquinamento, mezzi super veloci consentono spostamenti in tempi brevissimi ma ognuno raziona l'ossigeno da un dispositivo presente nel taschino della camicia, non ci sono carburanti naturali, il benzoepirene lo producono solo le tre sorelle arabe degli Emirati, dei sauditi e di un piccolo centro che domina il mondo. Un tempo si chiamva sultanato dei Brunei oggi Fahadtown, re Abdelfahad ha preso tutto per sé e distribuisce cibo, materie prime, mezzi di locomozione e interviene nella formazione delle famiglie di tutto il mondo. Una lotta di razze dilania il mondo: tutti vogliono prevalere, non sono riusciti a creare una forza lavoro indipendente e sono ormai esauriti fiumi e frutti della terra, l'agricoltura è un ricordo lontano del passato. Si uccide senza frontiere, si sentono tutti diversi e superiori, tutti piccoli Fahad sanguinari e vendicativi, non resta che fuggire, i mezzi ci sono ma bisogna trovare nuovi spazi vivibili nell'universo. Due scienziati italiani Roberto e Tiziana trapiantati in America compiono il tentativo estremo: si costruiscono da soli una navetta e provano a cambiare la loro vita cercando nello spazio un nuovo posto per rinascere, i soldi sono razionati da Fahad ma si ruba, esistono ancora quelli che fanno prestiti in piccoli empori ovviamente clandestini che stampano titoli di credito in proprio. Le banche ci sono ma sono tutte in Asia con soli quattro proprietari che si spartiscono le proprietà di un pianeta intero: vengono tutti dalla famiglia di Fahad: sono i suoi figli prediletti, quanti ne ha? Nemmeno lui lo ha mai saputo, forma lui le famiglie con governatori fedeli e meccanici ma per lui questa regola non serve, lui può e sceglie chiunque e tutte si sentono privilegiate ad essere scelte anche se sono picchiate e abbandonate. Il lavoro di costruzione della navetta che salva la vita o ne può creare una diversa dura

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