I fantasmi di Verona hanno sempre mantenuto relazioni di pacifica convivenza con la popolazione residente. Nati dal genio di William Shakespeare, essi vivono sotto i ponti dell'Adige, nei solai delle case antiche, nelle sale rinascimentali del museo di Castelvecchio. Sono fantasmi che badano ai fatti loro, non hanno problemi di trapasso come i fantasmi del Louvre, non sono spacconi e pericolosi come i fantasmi americani di Ghostbusters, nemmeno sono dispettosi come certi fantasmi praghesi. Non che siano pacifici e tranquilli. I fantasmi di Verona sono tuttora suddivisi in Montecchi e Capuleti, che ancora oggi si combattono in una faida cominciata cinquecento anni fa. È una lotta intestina che non riguarda e non coinvolge la popolazione residente. Come dire: ognuno bada ai problemi suoi senza interferire con quelli degli altri. Come dire: voi mortali avete lo spread, avete l'Equitalia, la mafia siciliana, le spiagge sovraffolate, la camorra, l'inquinamento da mucillagine, la mafia di certi palazzi romani. Noi fantasmi abbiamo le nostre faide. Noi di qua, voi di là, voi sapete che ci siamo, noi sappiamo che ci siete, tutto sommato non c'è alcun motivo per pestarsi reciprocamente i piedi. Non vorrete mica aprire uno sportello di Equitalia anche qui da noi?
Il secolare equilibrio tra fantasmi e cittadini della città di Verona rischiò di andare all'aria un paio di anni fa. Tutto ebbe inizio al mattino di una giornata ventosa, quando, trovandosi sul Lungoadige Porta Vittoria, nei pressi del palazzo Lavezzola Pompei, il fantasma di Romeo venne investito e trapassato da un foglio del Corriere della Sera, che una folata di vento dispettosa aveva scippato dal giornale che leggeva un pensionato. Romeo gettò una rapida occhiata alla pagina del giornale: si parlava di lui. Allora bloccò la pagina sotto la ruota di una moto parcheggiata lì nei pressi, si sedette sul marciapiedi, inforcò gli occhiali (da un paio di secoli è astigmatico) e si immerse nella lettura.
Gl
Se non volete perdervi
in un bicchier d'acqua,
portatevi una mappa dettagliata.
Si trovava in quella piccola città del centro Italia da poco più di tre mesi. Il Prof. Philip Hazon era stato fortemente voluto dal Consiglio Accademico dell'Università, con la stessa determinazione e intensità con cui, a Napoli, il popolo aveva pregato tre giorni e tre notti per l'arrivo di Maradona. Grande conoscitore di tutti gli aspetti della comunicazione, temprato a Eton, si era laureato a Oxford in Psicologia della Comunicazione. Poi, aveva conseguito un Ph. Doctor a Cambridge, in Scienza e Tecnica della Comunicazione. Entrato a far parte del gruppo di Palo Alto, per circa tre anni aveva lavorato gomito a gomito con Paul Wazlawick e la sua équipe. E, in seguito, insegnato in alcune delle migliori università degli States. Sue alcune delle più importanti pubblicazioni a cavallo tra gli '80 e '90. La più nota, Effetti Collaterali della Comunicazione Umana, aveva dato origine ad un libro, edito dalla Random House, che aveva riscosso un discreto successo fra gli addetti ai lavori. Adesso, alla soglia dei suo settantesimo anno, aveva deciso di accettare quell'incarico per concludere serenamente la carriera.
Il Prof. Phil Hazon conosceva alla perfezione la lingua italiana, avendo sposato una bellissima ragazza di Firenze, incontrata per caso a Cambridge. Purtroppo un cancro gliela portò via ancora nel fiore degli anni. E lui non volle più saperne di risposarsi. Era solo. Ma il ricordo di lei, così allegra, positiva, solare, e i numerosi incarichi nei vari atenei ne facevano un uomo sereno. Gli piaceva relazionarsi con tutti, specie con i giovani. Era molto interessato ad approfondire ogni aspetto della storia e della vita dei luoghi dove si recava a lavorare. Non poteva certo dirsi uomo chiuso nei suoi studi e sordo agli apporti del mondo esterno. Gli piaceva stare al passo coi tempi. Si accostava a tutto ciò che era vivo e vital
Viaggiavo con un amico in autostrada, guidando veloce e controllando nel contempo la posizione della macchina sul Navigatore, strumento utilissimo, quando serve, del tutto inutile quando si viaggia di routine su percorsi noti.
Ad un tratto il Navigatore dice, con voce di donna autoritaria: -Gira a sinistra!- Siamo in pieno rettilineo, cosa vuole questa, spingermi al suicidio? Tiro dritto scuotendo la testa e il Navigatore dice: -Prosegui su questa strada- e va bene, penso, ha preso atto della mia decisione.
Dopo un poco: -Esci alla prima uscita!- Ma come! La destinazione prefissata è distante almeno 30 Km! Vuole mica mandarmi in mare?
Mi sta nascendo il dubbio che, a furia di creare macchine con software intelligenti, queste abbiano deciso di liberarsi di noi, mandandoci a sbattere contro i guard-rails o facendoci tuffare direttamente in mare, oppure spingendo a perderci nella sterminata Maremma.
Il Navigatore è collegato ad un satellite via GPS, per cui il rischio di errore è quasi nullo, eppure succede.
Immagino il dialogo tra Navigatore e satellite, credo che si svolgerebbe più o meno così:
Navigatore: -Questo cretino ha sbagliato strada, per piacere Satellitino mio, guarda un poco dove cacchio è finito, sto scemo-.
Satellite: -Si mia cara, sempre ai tuoi ordini, vediamo, mi sa che vuole portarti nel bosco, anche lo scemo sarà turbato dalla tua voce sexy, eheheh!-
Navigatore: -Ma dai, cosa dici! Mi fai arrossire! Finisce che sullo schermo le autostrade hanno lo stesso colore delle provinciali!-
Satellite: -Tesoro, con quella voce mi fai venire i pensieri più erotici!-
Navigatore: -Su, su, ora dobbiamo lavorare, abbiamo tempo, quando lo scemo si chiude in casa, la sera-;
Satellite: -Si, hai ragione, scusami. Allora: lo scemo si è distratto, devi farlo tornare indietro fino alla prima uscita-
Navigatore: -Fare inversione a U-
Navigatore: -Continua ad andare dritto! Cosa devo fare per fermarlo?-
Satellite: -Ma mandalo a sbattere da qualche p
Il lungo viale che conduce alla bottega d'antiquariato di zia Adele è sempre stato uno spettacolo di luci e suoni nel periodo natalizio. E anche quest'anno la magia che regala ai passanti è da togliere il fiato. Io e Lisa, mia sorella, osserviamo i grandi alberi coperti di decorazioni colorate a bocca aperta, mentre sottili scie di fiato caldo salgono verso il cielo. La notte risplende di colori intermittenti che attraversano la neve. Mamma ci sorride e indica di sbrigarsi se non vogliamo che zia Adele chiuda i battenti prima del nostro arrivo. Allungo il passo e mi aggrappo a un codino di Lisa che le sfugge da sotto il cappello di lana, un po per dispetto e un po per non perdermi fra la folla.
La bottega è una fonte inesauribile di scoperte, immagini e desideri. Un luogo nel quale facciamo visita poche volte nel corso dell'anno e dove ogni volta lo stupore si impadronisce di noi. La grande vetrina che dà sul viale alberato è colma degli oggetti più insoliti e strani, forse utili per chi è già grande e ne conosce l'utilizzo. Mamma spinge la porta d'ingresso e un babbo natale meccanico, alto poco più del mio orso di peluche, ci accoglie con un balletto a scatti e una canzone natalizia. Lisa si imbambola ad osservarlo, ma a me non piace per niente. Forse mi incute anche un po' di paura, e passo oltre. Alzo gli occhi verso quel mondo antico, fatto di lampadari, quadri senza cornice, piatti rotondi e inarcati, bambole dallo sguardo fisso e statue dalle pose più curiose. Ognuno di quegli oggetti sembra guardarmi da un altra epoca, da un mondo passato, dove qualcuno ha avuto modo di tenerli nella propria casa, di custodirli, di ammirarli, e ora restano lì, fermi, immobili, in attesa che un nuovo sguardo ricada su di loro, che nuove mani possano sfiorarli. E mentre mi perdo in mille pensieri ecco spuntare da dietro un alto scaffale una donnina riccioluta, sulla sessantina, con un paio di occhialetti sulla punta del naso, vestita di tutto punto ma con qual
Quel gran mattacchione di Zeus, padre di tutti gli dei, trascorreva gran parte del suo tempo a cibarsi e divertirsi, lanciando fulmini e saette agli uomini e agli stessi dei, ridacchiando fragorosamente di loro. Un bel giorno, mentre il furbacchione usciva dalla divina dimora, con la sua dorata biga infuocata, trainata da dodici magnifici, poderosi e scalpitanti cavalli bianchi, per una delle solite scorribande, l'affascinante ninfa Leda, bellissima e incantevole moglie di Tindaro, mitico, potente e bellicoso Re di Sparta, si prese la rivincita. Approffittando della sua assenza, abbandonò sul giaciglio coniugale un cesto con dentro il piccolo Hercules. Il grande Zeus, imbarazzato, di nascosto prese il bambino e lo portò ai piedi del monte Olimpo, dimora privilegiata di tutti gli dei, abbandonandolo alla sua drammatica sorte. La moglie Maya, da dietro le tende della grande stanza scoprì tutto, sentendosi tradita e oltraggiata, decise di vendicarsi dello sposo infedele e farfallone. Il birbante Hercules, incurante degli intrighi dei genitori sanguigni, continuava a dormire beatamente, sognando eroiche imprese. Maya, per fare un dispetto al marito fedifrago, decise di eliminare il moccioso. Di nascosto, pose nella sua piccola culla a dondolo, le due serpi più velenose del fragoroso, burrascoso e incasinato Celeste monte Olimpo, le cattivissime, pettegole, sorelle gemelle, Tontina e Gobbina Opistoglife. Il pestifero Hercules, nel frattempo cresceva in fretta e diventava sempre più muscoloso e forte. Quando le vide strisciare sibilline dentro la culla, si mise a giocare con loro buttandole in aria e prendendole a sonore bastonate su ogni parte del corpo, le annodò assieme e modellandole a forma di palla le prese a calci, infine le scagliò con potenza contro il muro, facendole rimbalzare contro le pareti e il soffitto. Impaurite dalla forza fisica della piccola peste, le malcapitate bisce serpentine, Tontina e Gobbina Opistoglife, temendo il peggio, cercarono scamp
[continua a leggere...]* Beati monopalles
in terra castratorum
CAPITOLO I
Cantami, o Musa, l’ ira funesta del Don Mignotte,
che, accompagnato dal fedel Trippa Sancho,
solito era vagar per donne, giorno e notte,
brutte o storpie, o che avesser un dente marcio.
I suoi amori, i suoi intrighi, le sue lotte,
l’audaci imprese delle sue nobili avventure
io canterò, e le sue inaudite trombature.
E infin narrerò di te, devoto Sancho Trippa
che, nonostante la tua senil impotenza,
e costretto ad una giornalier pippa,
seguivi lo tuo padron con fede e riconoscenza;
egli, dedito a giochetti poco convenzionali
assieme a troie, baldracche e, finanche, animali.
Dirò di Sefarina, nata in un medesmo tratto,
bella ed elegante così quanto un rognoso ratto.
Cagion di nostra storia sì lontane,
al tempo degli eroi e delle belle dame,
in terre allor sì belle, e or sì malsane
poichè pien di palazzi e di catrame.
Dell’ antico re Dauno son le terre in questione
e del Diomede eroe che ferì dea dell’ amore,
oggi terra d’ un popol rozzo e cafone,
limitata dall’ Ofanto e ‘l Fortore.
Don Mignotte, che sposato la contessa
avea di Roccasecca, natal di San Tommaso,
non credea ch’ ella fosse sì cessa,
e neppur che avesse uno enorme naso.
Grassa e rugosa come un’ elefantessa.
E, se neppur questo, o attentissimo lettore, ti può bastare
per quel povero sfortunato pietà provare,
dirò, con gioia, anche dell’ altro.
Come un avvoltoio che, scaltro,
la sua morente preda sta a guardare,
per poi divorarla fino agli ossi,
così il nostro, dopo vent’anni con lei trascorsi,
sperava di vederla schiattare:
-Non può essere che la figlia del demonio-
si ripeteva sempre durante gli anni di matrimonio:
-Se continua a bere e a respirare.
Del resto, egli noto era d’ esser un libidinoso;
non già a guardarla ingozzarsi rimaneva,
e,
Lo scenario del Golfo di Gaeta è una meraviglia. Al di là del promontorio, le balenottere, con Ponza che dirige l'orchestra e detta le bracciate. Consegnarsi al bello è stupendo, liberare la fantasia, poi... è sublime. In giro niente anime vive, né morte. Mah! Lo sai, tu? Mentre riflettevo sull'umorismo della tragicità della vita, avvertii una presenza insolita. Quella strana Pietra che avevo leggermente spostato, raccontò la sua storia ed io mi limitai ad ascoltare. Cos'altro potevo fare?.
" Tanto tempo fa, qui, si sguazzava e si banchettava con erbe ed animali. Alla fine della nostra esistenza, banchettavano gli altri. Sapevamo ballare e al ritmo del flon-flons, ogni fruscio era paradiso. Felicità e benessere che voi viventi non potete nemmeno sognare, ma un tragico giorno accadde l'irreparabile. Un frammento celeste si schiantò sul costone che si vede di fronte, provocando una catastrofe dimenticata. L'argilla ci ricoprì e il tempo ha steso un velo sulla nostra storia".
Afferrai, con timore, la pietra e la portai a casa. Ripulirla e collocarla in giardino furono due momenti di vita. Essendo persona rispettosa della legalità, telefonai al Ministero dei Beni Culturali. Dodici minuti per riuscire a riferire della mia scoperta e finalmente, una tizia, con voce annoiata, suggerì di rivolgermi al Museo più vicino. Altra interurbana e appuntamento con la Direttrice.
Va da sé, che non ci si incontrò. Ad onor del vero, devo precisare che fu sempre gentile e paziente, anche se non volle ricevermi. Aveva tante cose da fare la Poveretta!
La coscienza, ragione e religione della nostra condizione umana, legittimò il possesso della Pietra. Essere possessori o posseditrici non è cosa da poco.
Dondolando sull'amaca, concentrai l'attenzione sul fossile, che biancheggiava ai piedi del melograno ancora spoglio. Fossile o pietra che fosse, va detto che era, un enigma. Il muso è pronunciato e i due occhi frontali di media grandezza. La curva delle labbra ac
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