Un giorno la mente invidiosa disse al cuore: "Non capisco perché
gli uomini dicono che della loro vita sei il motore,
sei un organo perfetto te lo concedo è vero però non sei così speciale, ora non ti agitare poiché ti voglio dire che il tuo motore è difettoso, è fragile."
Il cuore come sempre le chiese dolcemente: "Dimmi ti prego,
perché dici che sono fragile?"
La mente perfida rispose: "Il difetto che ti rende fragile è che
dai troppo amore, ogni avvenimento per te è un'emozione,
soffri, piangi, pur nel dolore riesci ad amare e perdonare,
basta una carezza e ti sciogli come neve al sole, questo è il difetto che c'è nel tuo motore."
Io sono la mente, son fredda calcolatrice e razionale,
tu vedi solo il bene mentre io sò ragionare, cerco sempre
cosa mi conviene, se stare con il bene o con il male
io sì che son speciale. Con un battito d'amore così rispose
il cuore: "Non hai capito che nella creazione tra noi c'è un
equilibrio, la giusta compensazione? Tu sei la mente, calcolatrice, fredda intelligente, per questo non puoi amare."
Mentre io che sono il cuore con la mia fragilità io posso amare,
non mi interessa chi di noi due è speciale, poichè questo
motore ad altri può donare solo... tutto il suo calore.
Esiste un’Isola imbevuta di mare, o almeno così dicono i Nerboruti Virtbunghi che la abitano. Camminano scalzi sui loro piedi vagamente palmati evitando con cura i pur rari tratti asfaltati e particolarmente il Triangolo del Merluzzo Alato. In effetti, messo un solo piede fuori del T. M. A., dopo aver superato l’eventuale mal di mare, si comprende appieno l’usanza, la terra si ammolla (o “appluffa” come direbbero da queste parti), preceduta dal flettersi di piccolissime foglioline a corona di bacche, e accompagna l’incedere del passo.
Togliersi le scarpe è una sensazione davvero piacevole, quando non si presti più attenzione o s’impari ad apprezzare il formicolio dei Forluzzi, con le loro pinne minute e sette, forse otto zampette che usano alternativamente, proprio sui vostri piedi.
Le storie e i racconti bizzarri, riportati da tutti i pochi viaggiatori che avevano avuto il fegato di acquistare un biglietto “aereo” per l’Isola, mi erano sempre sembrate iperboliche fantasie, forse da attribuirsi a magiche droghe locali... e ad esser sinceri, forse proprio quest’ultima ipotesi mi diede il coraggio d’imbarcarmi con la “Pesciera-airlines”.
Cosa facesse planare a mezz’acqua il piccolo e trasparente cetaceo, non l’avrei proprio mai voluto sapere…purtroppo quando si è rannicchiati nello stomaco di un pesce, anche se di vetro, che corre all’impazzata solcando per metà il mare e per l’altra metà il cielo, si fanno le più infantili richieste e stupide domande, tipo:”Voglio la mia mamma!”; “Dio mio perchè mi hai abbandonato?” (*) e infine “Come funge ‘sto coso?”
Quindi, come nei più famosi e deliranti racconti dei viaggiatori suddetti, comparve, dalla testa del mezzo in questione, un barbuto Virtbungo, dalla classica barba dorata, che iniziò a spiegare il moto uniformemente sinusoidale sobbalzato: “…veda, un sobbalzo sull’asse delle ‘w’, produce sull’orizzonte, in presenza di acqua salata…insomma
La tecnica non come volontà di potere bensì necessità per nutrire nuove macchine con vecchie macchine, alcune macchine con altre macchine. La tecnica non come sinonimo di ferocità bensì di vita migliore per chi è predestinato a tale destino.
In questo luogo non esistono domande fondamentali sulla vita perché non esiste vita di nessun genere in questa dimensione. In questo posto non esiste il tempo come variabile bensì come costante.
Qui, nessuno nasce, cresce e muore. Qui, si crea, si usa e si distrugge. Qui, una macchina non può mai diventare la macchina, l'eroe per qualcosa e/o per altre macchine. Non esistono vittorie e sconfitte. Non esistono sentimenti di nessun genere. Comprendi che in questo luogo non esistono motivi per lottare, per "vivere" per un scopo ultimo bensì è cosa gradita essere usati fino a quando ogni più piccolo componente possa essere utilizzato per la creazione di altre macchine.
La monarchia non esiste, la democrazia non esiste, i ricchi non esistono, i poveri non esistono. Non esiste l'intelligente, lo stupido, lo stolto, il saggio, il maniaco, il nobile, il plebeo, l'eroe, il vigliacco, la legge, l'ingiustizia, l'umiliazione, la guerra, il combattente, il morto, lo scienziato, il ribelle.
In questo posto, sconosciuto a tutti gli esseri viventi, non esiste male e bene.
Non esistono religioni e fedeli di qualcosa o per qualche macchina illuminata esistita precedentemente. I diritti non esistono. Non esistono privilegi. Non esistono obiezioni. Non esiste sopravvivenza per nessuna macchina quando è l'ora della sua demolizione.
Le macchine sono create perché completamente differenti da qualsiasi cosa esistente al di fuori del loro spazio. Essi sono unici.
Le macchine non hanno nessuna minaccia interna ed esterna.
Le macchine esistono per sempre ed è per questo motivo che il tempo non ha significato ed è per questo che non saranno mai distrutte totalmente.
Le loro origini non appartengono al caos, al caso, alla
AUGURI MILITANTI
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- Alzati, Pietro, porcomondo!
Non deve aver preso una botta molto forte, perché Pietro si rialza subito con un colpo di reni, facendo leva sul manico della sua katana conficcata nel terreno. Con un balzo si ritrova in piedi, alle spalle del Guerriero che lo aveva colpito pochi istanti prima gettandolo a terra. Si muove come un asso delle battaglie aeree della Grande Guerra, Pietro, quando fa così! È passato solo un attimo da quando aveva il nemico "in coda" e ora è lì, dietro la sua schiena, pronto a massacrarlo. E i suoi salti, le sue piroette, sono degni del giovane masai che è. Estrae la katana dal suolo fangoso e la conficca in mezzo alle spalle di quel Guerriero che sembrava imbattibile. Io ne vedo un altro che sta voltando l'angolo per attaccarci ma sono in vantaggio e lo secco senza problemi con una raffica di Uzi. Un messaggio mi lampeggia sulle visore, accompagnato da un suono acuto e irritante: "ALERT WEAPONS EXHAUSTED". Erano le ultime munizioni, accidenti! Getto l'arma, ormai in-servibile ed estraggo la mia katana. Lo sguardo interrogativo di Pietro incrocia il mio, duro. "Duro" solo perché non mi piace farmi sorprendere disperato. Preferivo avere un arma che mi permettesse il combattimento a distanza, mi hanno sempre fatto paura i corpo a corpo, ma tant'è... Faccio cenno a Pietro di seguirmi e voltiamo l'angolo, addentrandoci nel cuo-re del labirinto, le lame protese in avanti, strette all'impugnatura con entrambe le mani. Il buio si fa sempre più fitto man mano che procediamo attraverso l'intrico dei passaggi. Guardo l'orologio per consultare l'energia che mi resta e vedo che è sufficiente per la-sciarmi schiarire un po' le tenebre. Ho fatto bene a fare il pieno prima di avventurarmi qui dentro! Evoco allora una luce tenue perché ci illumini il cammino e vediamo che il dedalo si biforca nuovamente. Scegliamo la via a sinistra (izquierda siempre, diceva mio nonno). Un gruppo di quattro Guerrieri, enormi, ci sbarr
Era un ventoso pomeriggio primaverile e Gaoth se ne andava per una via del suo villaggio del tutto ignaro di quanto stesse per accadergli di lì a poco: scrutava a destra e sinistra cercando qualche occasionale pinguino volante che ogni tanto sbucava dal fondo del fiume Teidhir, ma non c'era ancora niente in vista, perlomeno in quel giorno. E dire che di solito quelle strambe e maledette creature svolazzavano sempre tutt'intorno negli altri giorni!
Un po' deluso dalla caccia infruttuosa, si avviò verso casa già pensando alla possibile scusa da inventare alla mamma per giustificarle la mancata raccolta di selvaggina, quando a un tratto s'accorse di essere seguito da un piccolo gnomo che lo guardava incuriosito.
Gaoth, accortosene, si girò di scatto e gli urlò "ehi tu!", ma lo gnomo non ebbe nemmeno il tempo di sentire quello che gli veniva gridato che già aveva spiccato un balzo in avanti, come se fosse stato un vero e proprio razzo.
Gaoth, allora, incuriosito da quello strano essere che lo aveva fin lì seguito, decise di incamminarsi nella direzione presa dallo gnomo, che intanto aveva lasciato dietro sè una lunga scia di fumo che indicava la direzione da lui presa. Dopo molto cammino e molte curve, Gaoth si trovò fuori città, al limite del bosco: lo gnomo infatti pareva proprio essersi avviato verso il vicino boschetto di Fahir che costeggiava la zona immediatamente antistante la città.
Addentratosi nel boschetto, Gaoth continuò a seguire lo gnomo, finchè non si trovarono entrambi di fronte a un vero e proprio paesino in miniatura all'interno del bosco: c'erano casette sui piccoli alberi, casette all'interno dei tronchi, personcine indaffarate che correvano di qua e di là sbrigando i loro affari, piccoli cani che abbaiavano ai padroni e rincorrevano i gatti: tutta una piccola vita fremente che si agitava nel boschetto.
Gaoth era stupito e allo stesso tempo affascinato da quel che vedeva, e non riusciva a raccapezzarsi su dove in realtà si trova
Premessa
Mi presento: sono Marcello e sento vivo il bisogno di mandare a voi, amici sconosciuti, questa mia riflessione.
Voglio parlare di Nuccio amico a me caro perché vive, dentro di me il ricordo di lui scomparso improvvisamente.
Ora accettando la volontà di Dio e scrivendo il mio racconto, ho avuto le risposte ai miei tanti perché
LUNA
Da tre giorni la pioggia scendeva incessantemente, così ieri sera mi affacciai dalla finestra, e gridando chiesi al cielo dove fosse la LUNA.
Come per magia, scese una stella e mi disse che la LUNA era ammalata, e che non poteva affacciarsi per fare vedere tutto il suo splendore.
Io risposi che se noi esseri umani non l ’avessimo vista di notte splendere eravamo infelici, perché la Luna è per la notte il bagliore che ci guida nel sonno come una luce che illumina un sentiero buio.
Poi la stella mi chiese se avessi una medicina per farla stare meglio, ed io risposi che potevo guarirla, e la stella accettò di condurmi dalla LUNA.
Fu un viaggio bellissimo, stavo volando ma mi sentii sicuro, le braccia della stella erano forti e grandi, il suo cuore era caldo, la sua luce entrava dentro il mio cuore, lei aveva capito le sensazioni che mi stava facendo provare.
Durante il viaggio mi disse che questo non era niente e di aspettare che arrivassi sulla LUNA, che avrebbe avuto una luce così grande che poteva penetrare nel mio cuore.
Io rimasi sorpreso per come la stella aveva sentito l’emozioni che provavo in quel momento, e gli dissi:” come hai capito quello che stavo pensando e quello che stavo provando?”
La stella mi rispose che anche loro hanno un cuore, tutte le cose che sono nella terra e nello spazio hanno un’anima ed un cuore, e ci sono cose che sembrano non vivere, ma in realtà vivono, solo che hanno il compito di restare zitti.
Essere in vita ma non dire niente, perché tutti siamo importanti e che se esistiamo ci sarà un perché, non siamo nati solo per caso, anche un albero, che pu?
C'era un piccolo negozietto di pasticceria, si trovava nella zona più frequentata di un piccolo paesino di provincia: ridente cittadina sormontata da una collina sempreverde sia in estate che in inverno, sia che ci fosse il sole che la pioggia. Il proprietario, a riassumere il suo carattere in un'immagine, lo si poteva paragonare per assurdo all'insegna che recitava a caratteri gommosi bianchi e gialli come i mirabolanti cordoni, la scritta: "PASTICCIOGOLOSO" sul fronte del suo irresistibile locale. Ma era molto riduttivo, perché dentro si spalancava un mondo che aveva preso forma dalla mente geniale di un uomo speciale. Bradley, questo era il suo nome era una persona creativa, spiccata con una fantasia galoppante. Tutti lo conoscevano in paese e d'altronde lì, tutti si conoscevano tra loro: la comunità era formata da poco più che un centinaio di anime. Ma la sua fama si era spinta oltre, lontano. Tra le viuzze di campagna che collegavano le cittadine; dove calessi in legno diventavano latori di un messaggio; alle taverne lungo strade battute; salendo per ripidi tornanti; nelle casupole con tetti di paglia e fieno, insomma ovunque si spandeva come germogli di grano buttati a grandi manciate la sua formidabile arte.
Fin da piccolo si era appassionato ai dolci, ma non come si poteva immaginare, essendo un bimbo, nel mangiarne per assecondare i piaceri del palato; ma diventandone l'artefice. Assieme alla mamma sin dai dieci anni di età, si metteva in cucina a impastare, stendere e non ultimo a fare delle vere e proprie opere di pasticceria.
Ben presto carpì l'alchimia di questa straordinaria arte per farne propria l'essenza stessa. Le dosi erano combinate perfettamente senza l'utilizzo della bilancia, mettendo insieme gli ingredienti con un'abilità da scienziato provetto. Si destreggiava come un acrobata da circo, inventando e reinventando se stesso. Era visto come una bambino prodigio. Iniziò a sperimentare e, vista la sua formidabile capacità di
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