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Racconti fantastici

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Non tutte son rose e fiori sfioriti, ci sono anche zucche giganti!

Eccoci finalmente all'interno del museo agroalimentare. Scusi prof., ma l'entrata aveva una forma di zucca... ma noi siamo dentro una zucca, una zucca vuota, riempita all'interno da una serie di stands in cui possiamo insieme osservare alcuni animali, vegetali e anche esseri umani, esistenti miliardi di anni fa su un pianeta chiamato terra. Davvero? Ma certo prof, per esempio, questa zucca fu coltivata in serre cinesi antica popolazione imbarbarita da Mao Tiè tomb. Nel 21° secolo ebbero la fantastica idea, per ridurre la fame di quella popolazione, che poi esportarono il brevetto in tutto il mondo, di mandare nello spazio sementi, che coltivate in serre speciali, furono capaci di crescere, crescere, cerscere, crescere... fino a queste dimensioni.
La prof rimase in ascolto dell'allunno che si sà talvolta, anzi troppo spesso, per fortuna, l'alunno ne sa più della prof, e questo era un CXZY di nuova generazione. Insomma C, continua a raccontare... che oggi non mi son preparata, ieri sera ho avuto un incontro extrasensoriale con un mio parente del XIV secolo. Le dicevo che questa è uno dei pochi esempi di zucca recuperati secondo una documentazione antichissima. Però... e insomma, in pratica queste sementi coltivate all'interno di particolari serre, sulla terra, in cina e in altri luoghi, cominciarono a crescere, crescere... aspetta C, ti riprogrammo... si mi scusi questo l'ho già detto. La zucca in cui siamo ora ha una intelaiatura completamente ecologica.. cioè. E una zucca, e come tutte le zucche vuote, o che appaiono tali, è dura dura dura, e nessuno puo' distruggerla.
Curioso, ma se nessuno può distruggerla non è bio-degradabile. Si in effetti pare sia stata rivestita da un materiale pregiatissimo: il plexiglassacciaioso. Fantastico C, sentito ragazzi? Ragazzi? ma se qui siamo tutti Robot, e poi fa sempre parlare C, va bene che si è innamorata di lui ma il troppo stroppia, e cosi' Fiklenia sparò un raggio addormentapapere verso la prof incompe

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   0 commenti     di: Raffaele Arena


Cronoloop

La cronomacchina cessa di ronzare all’improvviso, capisco d’essere arrivato. Ho una strana sensazione: mi sembra di rivivere questo momento per la milionesima volta, comunque mi scuoto, apro il portello.
È come le impronte di Aldrin sulla Luna, è come Colombo quando avvistò l’America, invece fuori ci sono solo due militari che mi aspettano, e anche piuttosto dimessi, neppure in alta uniforme. Accanto a loro c’è una limousine nera con una portiera aperta che mi aspetta. La limousine è sporca, avrebbe bisogno d’una bella lavata, peccato lasciare così una macchina tanto bella, sto pensando mentre supero i due militari ed entro in auto. Nel lussuoso abitacolo un generale con la faccia tesa, gli occhi infossati, la barba lunga e la divisa in disordine, mi sta aspettando. Un generale che conosco ma del quale non so il nome.
L’auto parte e guardo il panorama dal finestrino blindato mentre il generale stancamente mi mette al corrente degli ultimi sviluppi della situazione. Tutte cose che già conosco a menadito perché ho sentito infinite volte, intanto l’auto prosegue nel suo viaggio verso una base militare nascosta trai monti. Sono stanco, stanco di ripetere gli stessi gesti, d’ascoltare le stesse parole, ma forse tutti sono stanchi di rivivere gli stessi momenti. Stiamo andando verso una villetta all’interno della base. C’è la mia ragazza che mi aspetta, staremo assieme fino al momento del ritorno. Abbiamo superato il tratto di deserto e ora l’auto imbocca il rettilineo che porta alla base, eccola, le sbarre sono già alzate, ancora poche centinaia di metri e saremo davanti alla villetta. Il generale intanto non ha mai smesso di parlare malgrado la mia palese disattenzione. La limousine s’arresta, scendo lentamente e mi avvio verso la porta d’ingresso, salgo i cinque scalini e sono sul porticato, la porta adesso dovrebbe aprirsi e lei mi getterà le braccia al collo piangendo.
Ma la porta resta chiusa, ho un attimo d’indecisione, po

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Così ho deciso

Il Re nel suo alto castello, circondato dalle mura spesse, dagli alberi del bosco fitto, dalle case dei sudditi al suo servizio, guarda verso l’impero sconfinato, l’orizzonte lucido dove il sole tramonta e porta la notizia del suo potere. Ad una finestra larga, in piedi vestito di regalità e stanco, guarda.
Corvi aleggiano come pensieri turbinanti. E odore di carne che brucia, fieno tagliato, legna fresca.
In lontananza messi cavalcano in tutte le direzioni, veloci e fidati.
Il suo consigliere entra nella stanza inchinandosi:
- Sire, i soldati aspettano una sua decisione…
Il Re neanche sente la supplichevole voce dell’uomo. Ha nebbia dalla quale vorrebbe districarsi, i suoni così sono ovattati, spenti.
- Dobbiamo fare in fretta… i nemici avanzano. Ogni tentennamento parrebbe simbolo di debolezza…
Adesso avverte il senso delle parole. Il Re conosce la situazione. L’ennesima guerra, contro diversi barbari feroci, contro gente affamata di potere come lui. Partire bisognerebbe, e attendere quegli animali al confine, per massacrarli. Solo che il Re è stanco.
Ricorda la sua investitura, alla morte del padre, Re severo e forte, che con l’esempio fece di lui un dominatore. Se lo portò in battaglia quando questi non aveva che dieci anni. E a dieci anni uccise, scalpitando nella ressa dei corpi e delle urla. E da allora quanti scontri? Quante uccisioni? Quante vittorie?
Andare avanti, fino a che le terre non furono distese supine di teste umane, nuove genti pronte ad accogliere quella forza che avanzava, senza più bisogno di lottare. Bastava la fama a precederli, perchè i popoli si arrendessero. E alla fine, quando tutto il mondo conosciuto stava nelle sue mani compresso, tornò indietro, verso l’origine e il cuore del suo regno. Le celebrazioni sontuose, folli di ebbrezza i suoi sudditi gridavano il suo nome, mentre loro entravano attraverso le mura, i cavalli colmi di ricchezze e schizzi di sangue. E il matrimonio con la Regina. La loro uni

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   2 commenti     di: vito ferro


La zona di confine e i due regni (parte 2)

Riaprii gli occhi confusa, ma non spaventata. Avevo la sensazione che quel luogo in qualche modo mi appartenesse.
Mi ritrovai stesa su un prato pieno di margherite; tutte di colore diverso che mischiate tra loro creavano una tonalità indefinibile, la più bella che si possa immaginare. Il cielo era diviso in tre parti: a sinistra era di un azzurro intensissimo e il sole sembrava una palla di fuoco arancione; a destra c'erano i lampi, si sentiva tuonare e tutto era avvolto da una fitta nebbia. Quello sopra di me era pazzesco; si vedevano delle immagini, come un gigantesco schermo su cui venivano proiettati milioni di film contemporaneamente.
"Chi diavolo sei? che posto è questo? mi hai drogato?".
Mi girai di scatto e con sorpresa vidi il ragazzo con l'i-pod, era la prima volta che sentivo la sua voce.
"Senti, non ho la più pallida idea di che posto sia questo e per quanto ne so potresti essere stato tu a portarmici".
La mia risposta fu veramente acida, lui era così irritante ma bellissimo.
"Mi chiamo Vanessa e tu?"
"Alex" lo disse sottovoce evitando il mio sguardo.
Volevo avvicinarmi, stringergli la mano, avvertivo il bisogno di contatto fisico.
Non feci a tempo ad avanzare che Alex indietreggiò all'istante e con un'aria terrorizzata si mise a urlare:
"Stammi lontana, non ti avvicinare, è tutto veramente assurdo, ho le allucinazioni, vedo il cielo diviso in tre parti - con un sorriso sforzato proseguì - e come se non bastasse sono cinque notti di seguito che ti sogno..".
Sentivo le vene pulsare sulle tempie, lo interruppi all'istante "tu, tu mi hai sognata?"
"È incredibile... vedo te apparire dal nulla che mi sorridi e un attimo dopo estrai una pistola luccicante e.. pum, mi spari dritto al cuore".
A quel punto dovevo dirglielo:
"Anche a me da cinque notti succede la stessa cosa, beh più o meno, nel mio sogno non mi uccidi.. semplicemente ti vedo sull'autobus con l'i-pod alle orecchie".
Mi sentivo a disagio e imbarazzata, non potevo certo pro

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   12 commenti     di: Kartika Blue


La zona di confine e i due regni (parte 1)

Erano quattro mattine di fila che lo vedevo sull'autobus e quei dieci minuti di tragitto stavano diventando i più importanti di tutta la giornata; vederlo mi provocava uno strano effetto, mi sentivo come una neonata che si affaccia al mondo per la prima volta.
La sua presenza a pochi centimetri di distanza, mi scatenava una dolorosa euforia da cui stavo diventando indipendente; era in assoluto la cosa più bella che avessi mai visto.
Ero talmente assorta nei miei pensieri da non fare caso alle mani ormai intirizzite dal freddo, solo l'arrivo del bus delle 8:24 riuscì in parte a riportarmi alla realtà.
Mentre salivo speravo con tutte le mie forze che lui fosse lì e che incrociasse il mio sguardo con i suoi occhi castani striati di verde.
Come al solito era una gran fatica riuscire a passare, c'era sempre quell'anziano con una ridicola mantella marrone che ingrombrava il passaggio con la sua enorme pancia.
Diedi una rapida occhiata e... eccolo lì, poco più avanti, l'universo che avrei voluto scoprire: il ragazzo con l'i-pod, aveva il volume talmente alto che riuscivo chiaramente a distinguere la canzone, era Archangel di Burial, ma ad ancor più alto volume sentivo il rimbombo del mio cuore impazzito.
Bip-bip-bip-bip-bip-bip-bip,
la sveglia!
No, no, non poteva essere possibile, per la quinta notte di seguito facevo lo stesso sogno. Ho sempre odiato sognare, sì, insomma, ti fa rimanere addosso un senso d'amarezza nello scoprire che non è reale; preferisco di gran lunga gli incubi, è un gran sollievo risvegliarsi e scoprire che non è successo niente.
Dovevo sbrigarmi ero già in ritardo, in venti minuti ero pronta per uscire.
Davanti alla fermata dell'autobus accesi la prima sigaretta della giornata e il fumo che mi usciva dalla bocca mi ricordava tanto quel vivido sogno che svaniva ogni mattina.
Puntualissimo stava arrivando il bus delle 8:24, cavoli, per salire quasi stavo inciampando su un lungo cappotto di uno degli altri passeggeri. La corsa ri

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   9 commenti     di: Kartika Blue


La zona di confine e i due regni (ultima parte)

Alla vista dell'uomo istintivamente mi attaccai al braccio destro di Alex che questa volta non si ritrasse ma mi strinse a se come per proteggermi, era una sensazione veramente piacevole nonostante avvertissi di trovarmi in una situazione piuttosto surreale.
L'anziano iniziò a parlare in tono solenne
"Vanessa, Alex, finalmente siete pronti ed è ora che sappiate il motivo della vostra presenza nella zona di confine".
Le domande mi uscirono senza neanche rendermene conto
"chi sei? come sai i nostri nomi? come siamo arrivati qui, cos'è la zona di confine? perchè..."
Troncò i miei interrogativi
"mi chiamo Bayus, sono il supervisore del regno dei sogni, del regno degli incubi e della zona di confine. Vi seguo da molto tempo, voi siete i prescelti. Ho fermato il tempo per portarvi qui ed istruirvi".
Ero a bocca aperta, scioccata da quanto appena ascoltato; Alex con aria stralunata intervenì
"cosa significa prescelti? istruirci a cosa?
Bayus l'osservò come se si aspettasse quelle domande, alzò il sopracciglio sinistro e riprese le spiegazioni guardandomi intensamente
"Vanessa, tu sarai la guardiana del regno degli incubi e ti occuperai d'inserire esperienze tattili e gustative sia nei sogni che negli incubi - poi si girò verso Alex con occhi scintillanti - a te, invece, è affidato il regno dei sogni e aggiungerai esperienze uditive e olfattive sia nei sogni che negli incubi - con un ampio sorriso proseguì - sarà qui, nella zona di confine, il vostro quartier generale. Da qui prenderete ogni decisione, lavorerete fianco a fianco, siete complementari, indispensabili l'uno all'altra".
Improvvisamente sentii ogni fibra del mio corpo pervasa da misteriosa energia, di fronte a me Alex mi strizzò l'occhiolino a cui ricambiai con un sorriso complice, poi rivolsi l'attenzione a Bayus, una domanda mi assillava ma non feci a tempo ad aprire bocca che lui, intuendo rispose
"lo so, gli incubi possono sembrare crudeli, ma l'umanità ha bisogno anche di quelli, s

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   15 commenti     di: Kartika Blue


La vendetta dei morti

Secoli orsono ai confini con l'oriente esisteva uno splendido regno chiamato Adar, un regno governato da un monarca di nome Petrachis. Salito al trono all'età di vent'anni questo re si era sempre comportato bene migliorando i servizi pubblici, sgravando contadini e operai di alcune tasse inutili, incentivando i commerci e facendo da mediatore tra i re dei paesi confinanti per mantenere la pace. Con la sua linea di governo Petrachis aveva fatto grande il suo paese e si era anche guadagnato l'amore del suo popolo, però aveva un difetto considerato invalidante per un re: era sterile. Aveva già avuto due regine, morte una per un ictus, l'altra per un incidente di caccia, e nessuna delle due gli aveva dato eredi al trono. Neanche dalle concubine oltretutto il re aveva avuto figli. Il povero re allora per avere un erede al trono volle adottare un orfano garantendogli privilegi regali ed una istruzione adeguata. Purtroppo però il giovane crescendo dimostrò chiaramente di non essere figlio di Petrachis, trascurava il regno e gli affari di stato e preferiva darsi ai vizi dissipando enormi somme di denaro, giocando d'azzardo, circondandosi di concubine, e tracannando fiumi di vino. Stimava meno che niente i rimproveri del padre e non si lasciava correggere, finché un giorno correndo ubriaco a cavallo cadde in malo modo e morì, causando al genitore adottivo un dolore indescrivibile. Come se non bastasse c'era un giovane e turbolento feudatario sospettato di vari omicidi, chiamato Harold che criticava il re definendolo "il fiore senza polline, il melo senza mele, l'uomo dai lombi vuoti, etc" Con i suoi discorsi infatti Harold mirava a guadagnare il favore del popolo per destituire Petrachis e siccome era di bell'aspetto, sapeva combattere bene, e si mostrava molto gentile con tutti, ogni giorno si guadagnava maggiori simpatie. Il povero re cercò allora conforto nella magia e chiamò a palazzo i migliori maghi che potessero insegnargli tale arte, ebbe persino

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