Erano passate ormai otto albe da quando il piccolo Morin giunse in quel regno, ma quella nuova condizione d'essere, non era ancora riuscito ad accettarla. Giocare con gli amici; ascoltare le storie che raccontava il suo maestro; andare per le campagne con suo padre a raccogliere la legna; oppure fare qualche piccolo dispetto al vecchio Horly: momenti quotidiani diventati soltanto un ricordo. Erano le piume che accarezzavano la sua schiena... quelle piume speciali perché appartenevano alle ali di un piccolo angelo, gli ricordavano in ogni momento, quello che era stato sulla vita terrena e quello che ora si ritrovava ad essere.
Quel giorno Morin si sentì turbato, avvertiva dentro di sé una certa tristezza, ma non riusciva a capire il perché. Decise di confidarsi con due angeli, probabilmente avrebbero potuto aiutarlo e consigliarlo, così come avevano fatto tante altre volte.
<< Perché i Cherubini non cantano più? >> chiese il piccolo angelo ancor prima di arrivare dai suoi amici. Una delle due creature celesti si chinò davanti a lui e posò le mani sulle sue spalle in segno di affetto. Sorrise.
<< Piccolo Morin... >>
<< Questo non è un sorriso di felicità. Nessuno più sorride qui, perché siete tutti così tristi? >> continuò a chiedere il piccolo. L'angelo di fronte a lui "sospirò profondamente" ed attese un po' prima di rispondere.
<< Il tuo Maestro... nostro Signore Gesù, è stato crocifisso dagli uomini e adesso sta morendo... >>
<< NON È VERO! >> esclamò Morin allontanandosi da lui.
<< Mi dispiace, ma è la volontà del Padre Altissimo... vieni, unisciti a noi in preghiera. >> lo invitò l'angelo porgendogli la mano. Morin indietreggiò ancora un po' scuotendo la testa per negare a se stesso quanto gli era stato riferito. Aveva tanto bisogno di piangere ma non riusciva a farlo perché in quel regno, la tristezza era stata da sempre una sensazione sconosciuta, fino a quel momento.
<< Perché nessuno di voi è sceso sulla terra per salvar
< È quasi mezzanotte, ma sì, dai, per l'ultima corsa prima di nanna vi accompagno io.>.
Discorsi mentali, telepatici, di comunicazione autentica tra me e i miei cani. Non sempre sono necessarie le parole: un'occhiata, un sorriso, un gesto ed è sintonia.
L'aria fresca cancella dalla memoria la calura estiva giornaliera; il cielo, cupo setoso velluto ricamato da strass, invita a meditabondi pensieri.
Mi siedo su una panchettina di legno frutto del casalingo armeggiare di mio papà, non ho fretta, domani lavoro di pomeriggio e mi posso svegliare più tardi.
Duska e Bottone iniziano a rincorrersi; Rubra, seduta, annusa interessata un ciuffo d'erba vicino a un vaso; Glove scava come sempre una buca.. prima o poi mi slogherò una caviglia in una delle sue buche.
"Oh, guarda qua, un intruso!". Il suo lento procedere mi incuriosisce. Flash back di ricordi risveglia una vecchia filastrocca infantile: "Lumachina, lumachina, tira fuori le tue cornina..".
Progressivamente avanza apparentemente spavaldo, lasciando dietro sè traccia rivelatrice. Le antenne vibrano curiose nell'aria, non sembra consapevole della mia presenza, così decido di sfidarlo, provocando l'incontro.
"Allarme, pericolo! Oggetto sconosciuto a dieci gradi nord!".
Mi sembra di sentire l'eco di queste parole rimbombare nel suo guscio, dopo aver sfiorato il dito, che, impunemente, gli avevo piazzato davanti.
Ma la curiosità è un demone tentatore ed è impossibile resistervi. Così piano piano inizia l'avanscoperta verso la mia mano, che immobile lo attende.
Che strana sensazione sentirlo scalare prima un dito, poi il dorso: è meticoloso, preciso nel procedere, quasi mi radiografasse...
"Navicella a comandante: l'ispezione e l'analisi rivelano un terreno di età variabile: trenta- trentacinque anni al massimo. <Azz.. me la porto bene l'età.>-penso- Nessun rilievo negativo.". Chissà, magari nella sua testolina a scandaglio sta avvenendo proprio ciò che immagino.
Prosegue,
"Ottima scelta, ho creato uno splendido immortale".
Disse soddisfatta la donna dagli occhi di ghiaccio.
"Non avevi nessun diritto di farlo, dovevi lasciarmi crepare".
Mi resi conto di aver perso per sempre la possibilità di ricongiungermi ai miei familiari. La mia anima è stata dannata per sempre, rinnegato da Dio.
Sentii crescere in me rabbia e disperazione, ma più di tutto sentivo la sete infiammarmi la gola.
"Non essere in collera, quando ti ho visto ho subito capito che saresti stato perfetto... e poi mi ricordi tanto mio figlio, il mio povero Constant. Non potevo permettere che diventassi cibo per i vermi".
"Che diavolo vuoi da me? Nessuno ti ha chiesto di strapparmi alla morte, ho un tremendo bisogno di... non lo so cos'è... mi brucia la gola".
"Ti devi nutrire, andiamo".
Uscimmo, così facendo lasciai per sempre la casa in cui sono cresciuto e con essa lasciai anche la mia vita precedente, da allora non sono più voluto tornare a Eyam.
Quella notte aveva assunto un aspetto funebre, le stelle erano nascoste sotto un pesante cielo nero e uno strano odore di morte aleggiava nell'aria, inaspettatamente mi sentii parte di quella cupa atmosfera, ero perfettamente a mio agio e mi sentivo forte e indistruttibile.
Fu la notte del mio primo pasto, uccisi il mio primo essere umano guidato dall'istinto. Era una prostituta che si aggirava ubriaca in un sudicio vicolo. Conobbi per la prima volta l'eccitazione scatenata dall'odore del sangue caldo pulsare nelle vene. Non ricordo d'aver mai sentito un profumo tanto intenso e delizioso. Le fui addosso in un secondo, povera sciagurata, non ebbe nemmeno il tempo di reagire, ma se anche l'avesse avuto, niente avrebbe potuto contro la mia superiorità.
L'assalii alla giugulare, sentii il suo fluido vitale scivolarmi sinuosamente nella gola e riempirmi lo stomaco donandomi un sollievo indescrivibile.
Uccidere è semplice.
Scoprii che bere da un mortale è paragonabile al provare mille orgasmi contemporaneamen
Un milione di Sterline in oro non si giustificava in alcun modo, nemmeno raschiando i brandelli della ragionevolezza. L'ombrello chiuso, appeso al braccio del Doctor Ossian, oscillava più del normale. L'amico era nervoso, pur ostentando una flemma tutta britannica. Va da sé, che Il tentativo di acquisto, abortì sul nascere. Avevo visto il film Quemada e convenendo a lui, non conveniva a me. Durante la nostra conversazione, mi tradii solo una volta, lanciando uno sguardo assassino verso la Pietra, che tranquilla e beata si godeva gli ultimi raggi del sole morente. Il mio colpo d'occhio stralunò il figlio della perfida Albione. Due giorni prima, avevo rilasciato un'intervista sul web ed ero stato fotografato con la Pietra sotto braccio. Temendo tiri mancini, adotto sempre adeguate precauzioni. Liberatomi del Gentleman, portai la Pietra in terrazza e la posizionai con gli occhi rivolti verso lo spuntar del sole. Dopo di che, andai, lemme-lemme, a lavoricchiare e prima della mezzanotte già ronfavo e ronfavo di brutto.
L'indomani, dopo una lauta colazione, scesi in giardino. La rete in ferro del recinto era stata tranciata di netto. Mariuoli? Non nego di averlo pensato. Con calma, mi recai al capanno degli attrezzi di lavoro, dove non era stato rubato nulla. Motozappa, taglia- erba, pala, zappa, vanga, trapano, ed altro stavano lì. Ma poi, chi volete che rubi gli attrezzi di lavoro?
Qualche ladro di polli, forse? Nemmeno. I volatili svolazzavano sul trespolo. Ma e però, qualcuno aveva tagliato la rete del recinto. Perché? Aprii il cancello dell'orto e anche lì, tutto a posto. Cavoli, piselli, zucchine, fragole e ortaggi vari facevano bella mostra di sé, solo che ritornando indietro, dimenticai di chiudere il cancello. Quello che non fecero i Mariuoli, lo hanno fatto le galline. Non riuscendo a spiegarmi l'arcano, andai dai vicini pe
"Oliver, perdonami. Avevo promesso di rimanere a casa ma non ci sono riuscita - si girò verso Blake - lui è... è un mio amico. Cos'hai, sembri così strano?"
"Levati di mezzo".
Oliver diede uno spintone violento alla sorella facendole sbattere la schiena su un tronco di pino, ricadde sulle ginocchia e dolorante lo fissò spalancando gli occhi sbigottita.
"Non la toccare!" Urlò Blake storcendo le labbra.
"Me ne frego di lei, è te che il mio padrone vuole".
"Padrone, quale padrone... oddio Oliver, chi è stato a farti questo? Ti prego ritorna in te. Ti voglio bene, guardami!" Laila appoggiò la testa sul suo petto mentre la voce era interrotta dai singhiozzi.
"Ti ho detto di toglierti di mezzo!"
La scaraventò brutalmente a terra, questa volta andò a sbattere la testa su una roccia perdendo i sensi. Una leggera brezza si sollevò su di lei, era Sylphie che l'abbracciava piangendo sconsolata.
Blake urlò disperato coprendosi il volto con le mani.
Oliver estrasse un pugnale dall'interno della giacca, i suoi occhi spiritati luccicarono.
"Ora affonderò questa bella lama nella tua carne; il tuo sangue e la tua morte ricomporranno dalle ceneri il grimorio infernale per la gioia di Druxen, il mio padrone".
Blake decise di non lottare, pensò che forse era un segno del destino: era arrivato il momento di pagare con la vita tutte le morti che la sua maledizione aveva causato. Per salvarsi non avrebbe potuto fare del male a Oliver, lui era il fratello di Laila, la sua "notte stellata". Avrebbe sacrificato sè stesso, sereno, perchè il contatto non diretto, ma per mezzo della lama, non poteva essere letale al suo carnefice.
Oliver sollevò il pugnale in alto pronto a colpirlo al centro del cuore.
Blake chiuse gli occhi convincendosi che nella morte avrebbe trovato la liberazione e iniziò a recitare mentalmente una preghiera.
Sylphie e le altre fate dell'aria soffiarono forte un vento gelido addosso ad Oliver facendogli perdere l'equili
-le valige -
Tornavo a casa con queste riflessioni e strada facendo guardo tutto intorno San Remo, passeggio con calma, Piazza Cuccioli, quante volte ci sono passato da qui, oppure sul lungo mare Calvino ammiro sempre la bellezza delle onde spesso increspate dal vento che ne accarezza l'acqua, oppure gli alberi che ne abbelliscono il viale, panorama che mi rimarrà sempre nel cuore. Nel mio passeggio mi spingo lentamente per le vie della cittadina, ogni tanto mi fermo e mi siedo in qualche panchina a riposare e riflettere su gli ultimi eventi.
Mi sono alzato presto stamattina e stare tutta la giornata in giro è pesante, non ho voglia di andare a casa a mangiare, voglio andare fino al mercato dei fiori, uno dei più importanti d'Europa sia per grandezza sia per l'importanza specifica, qui c'è il commercio della "floricola" per tutta l'Europa meridionale e del bacino mediterraneo, c'è un po' di tutto, una grande varietà di scelta di fiori. Mi sto informando bene visto che ci dovrò lavorare con le piante, chissà perché penso a quella nel vaso che ho dato a Gerard da tenermi da parte, una pianta che ha sempre attirato il mio sguardo per la sua bellezza, poi mi affascina il nome - ( Uccello del paradiso - Strelitzia Reginae ), una pianta che si può tenere in casa, viene dalle zone tropicali, i suoi colori sono caratteristici, come il giallo canarino, talmente bello che ha sempre sviluppato la mia fantasia, ho sempre amato i fiori e la loro fragranza e delicatezza, simbolo di purezza e bellezza della natura, così appena ho potuto l'ho comprata e messa in un vaso da tenere in salotto a rallegrare la mia vista.
Mi fermo al bar, mangio un panino e bevo un bicchiere d'acqua, un'occhiata al telegiornale, (tanto le notizie sono sempre le stesse, morti, rapine e catastrofi naturali), mai notizie che ci rallegrino, poi ascoltare sempre all'ora di pranzo queste notizie non sono certo un digestivo per chi mangia, comunque dopo un po' decido di rit
Questa era l’unica domanda che riuscivo a formulare con chiarezza nella mia mente. Non era molto, certo, ma era comunque un punto di partenza.
Cominciamo con le cose semplici: proviamo ad aprire gli occhi…
Mossi le palpebre, pesanti come il piombo, e dopo alcuni istanti un’immagine sfuocata cominciò a delinearsi di fronte a me.
Era buio… confortante, no?!?
Ma non proprio buio assoluto, tanto che potevo distinguere alcuni punti luminosi davanti ai miei occhi, in lontananza.
“Sono stelle!” sentenziai “Devo essere all’aperto, allora… e sdraiato sulla schiena.”
Lentamente la mia coscienza stava riprendendo il sopravvento e potevo ricominciare a controllare il mio corpo.
Provai a spostare il braccio destro, per fare leva e sollevarmi a sedere, ma questo ancora non ne voleva sapere di muoversi al mio comando. Tutto quello che riuscii a fargli fare fu un leggero tremolio incontrollato.
Richiusi gli occhi e persi coscienza per qualche tempo. Se fossero passati minuti, ore o giorni non avrei saputo dirlo, ma quando riaprii gli occhi era ancora buio.
Le stelle sopra di me brillavano fra alcune macchie scure che pensai fossero nuvole. Raccolsi tutte le mie forze e mi concentrai sui movimenti che avrei dovuto compiere per togliermi da quella fastidiosa situazione di stallo, poi in rapida successione mossi il braccio e con sufficiente forza lo usai come leva per girarmi parzialmente su di un fianco. Guadagnata la posizione seduta, riuscii a muovere le gambe fino a puntare un ginocchio a terra e infine (non ci avrei mai sperato in quella situazione) mi alzai.
Mi tastai le braccia per assicurarmi di non avere ferite o dolori, poi esaminai la testa e l’addome e infine le gambe, ma a parte un generale stato di confusione, mi rassicurai nel constatare di non avere nulla di rotto, o così pareva. Nulla tranne un ronzio che persisteva ancora nella mia testa e che stavo cercando di eliminare per riacquistare il pieno controllo di me stesso.
Cosa era suc
Questa sezione contiene racconti di fantascienza, storie fantasy, racconti fantastici