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Favole per bambini

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Il cavaliere immortale

Secoli fa in una grande e bellissima isola viveva un cavaliere di nome Danel, uomo di straordinaria bellezza con capelli ricci e neri, una lunga treccia laterale che ricadeva sulle spalle, occhi blu, fisico possente. Egli era ammirato da tutti gli uomini e voluto da tutte le donne e per il rango che possedeva avrebbe fatto la fortuna di qualunque famiglia. Ma c'era una donna, una sola nel suo paese che neanche lo guardava, la bellissima figlia di un ceramista chiamata Helen, una ragazza con lunghi e ondulati capelli castani, occhi verdi, fisico snello e seducente. Rimasta presto orfana, viveva insieme ad un fratello maggiore molto geloso e protettivo, aveva imparato presto l'arte paterna e viveva umilmente ma dignitosamente del suo lavoro. Danel si era accorto della sua freddezza quando un giorno era venuto ad acquistare delle maioliche e non aveva visto in lei alcun fremito di femminile desiderio, quando invece per strada donne di tutte le età avrebbero desiderato solo parlargli. Ora il bel cavaliere era un tipo capriccioso e siccome Helen era l'unica ragazza non attratta da lui si era deciso a sedurla, così cominciò a frequentare assiduamente la sua bottega e poi a farle la corte in modo aperto e deciso, destando stupore e invidia. I genitori di lui lo criticarono aspramente, perchè secondo loro avrebbe dovuto aspirare all'amore di una nobildonna, ma quando il figlio mostrò loro la bravura magistrale delle porcellane e delle maioliche prodotte da Helen, nonchè la travolgente bellezza della ragazza si quietarono perchè dopotutto era una ragazza onesta, abile e bellissima e aveva perciò diritto ad un buon partito. Non passò molto tempo che Helen si fece coinvolgere dalle attenzioni del cavaliere e gli concesse la sua mano. Il di lei fratello però era molto sospettoso e non credeva che Danel amasse sinceramente la sorella perchè di solito i nobili sposavano i loro pari. Il re del paese aveva una figlia di nome Yamira, una principessa, come Danel molto

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Enrica la formica sciupona.

Enrica è il suo nome ed è una formica.
Adesso direte: la solita storia della formica e della cicala, uff che palle.
Sbagliato! Questa è la vera storia di una formica sciupona e ve lo posso garantire perché io sono la Regina del nido e la conosco benissimo.
Quindi se volete conoscere la sua storia ve la leggete, altrimenti amici come prima.

Dopo la schiusa delle uova ero soddisfatta, una bellissima colonia la mia.
Tante formiche operaie, molte quelle soldato, qualche formica otre. Un bel formicaio, scavato in profondità, con molti cunicoli. Inattaccabile sia dagli agenti atmosferici che da quelli di altre comunità.
Ero veramente soddisfatta.
Tutte erano già al lavoro, e mi apprestavo a fare una bella mangiata, dopo il digiuno impostomi dalla natura, quando sentii una vocina, o meglio la percepii:
voglio uscire, fatemi uscire
Mi guardai intorno e non vidi nessuno, ma la voce insisteva
Voglio uscire prestoooo
Osservando meglio, vidi che un uovo non si era schiuso e la vocina veniva proprio da lì.
Chiamai una formica soldato dalle forte mandiboli e le dissi di aprire l’uovo.
Al chè uscì come un razzo una formichina nera come il carbone:
-Ho fame, ho fame- urlò. Feci uscire l’operaia che se la stava ridendo sotto i baffi e dissi all’ultima nata:
-hei calmati, pure io devo ancora mangiare. Vieni con me- aggiunsi spingendola delicatamente- Tu sei Enrica, l’ultima nata.
Rispose scontrosetta _va bene, solo che si mangi-
La rifocillai ben bene, e poi la feci bere dal ventre di una formica otre, non ve lo immaginate quanto mangiò ed il bere? La dovetti staccare dal ventre dell’otre: me la svuotò.
Enrica-la sgridai- devi essere moderata nelle tue cose, noi siamo una comunità e qui ognuno ha il suo compito e la sua razione di cibo e di bevanda. Tu ti sei già consumata la scorta di un mese.-
-Ma io ho fame-
-Ancora?- Domandai e non potei esimermi dal sorridere- Ora ti spiego i tuoi compiti.
Tu sei nata operaia, sei una bella formic

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   4 commenti     di: cesare righi


La mia prima favola

Tanti, ma tanti anni fa'... nella Citta' dell Amore... era scesa la sera,
e mentre Rometto..., micione vagabondo, fissava la luna intirizzito dal freddo mentre cercava tepore accanto a quel comignolo... a malincuore si accorse che il comignolo aveva smesso di tirare e più passava il tempo e più sentiva il gelo che si stava insinuando oltre la pelliccia, ma.. voleva restare ancora un pochino su di quel tetto.. ad ammirare la luna... e guardarla riflessa in un abbaino li vicino era un gioco che a lui piaceva tanto, si spostava con la testa per creare dei mosaici di luce...

Duchetta, invece una micetta fortunata, ospite di una casetta riscaldata dal camino, ogni notte si sedeva comoda, sul suo cuscino a fiorellini rosa, davanti all abbaino e lo guardava sognante... era innamorata di quel bellissimo micio fulvo.. dal portamento da guappo di quartiere, dagli occhioni scuri ed una meravigliosa coda da fare invidia persino ad una volpe... ma era anche curioso il fatto che passasse tutta la notte con i baffetti all'insu' invece che scorazzare per i tetti della citta'..
Aveva timore di attirare la sua attenzione, quindi stava attenta a non farsi scorgere, Duchetta era molto timida a causa di un piccolo difetto di pronuncia, dalla nascita, la zeppola, ... e poi chissa' quante micette aveva intorno Rometto su' per i tetti... quindi non le restava che adorarlo ed amarlo da lontano...

Improvvisamente qualcuno accese una candela nella stanzetta di Duchetta e questa luce diffusa attiro' l'attenzione di Rometto, che non riusciva più a vedere la luna riflessa sui vetri... ma vide una stella solitaria bellissima, da quanto tempo lei era li' ad osservarlo..?

Lei gli sbatte' le lunghe ciglia per ricambiare quello sguardo intenso... allora lui, facendosi coraggio, si avvicino' all abbaino.. e le chiese :
come ti chiami principetta...
mi chiamo Duchetta... e tu?
.. io Rometto...

Eh si... a volte i luoghi non contano... ma il chi ed il quando...
zeppolando zeppolando.

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   1 commenti     di: Aure


La gatta principessa

In una terra straniera molto lontana, al di là del mare, c'era un regno che stava sul cocuzzolo di una montagna. In cima c'era il palazzo reale e giù per le pendici le case e i campi. Non c'era strada che non fosse o in discesa o in salita.
Il re era il migliore dei sovrani e aveva un solo dispiacere. Era già vecchio e aveva tre figli. Avrebbe desiderato che si sposassero garantendogli così una discendenza, ma i figli non potevano perché non c'erano principesse.
Un giorno il re chiamò i tre figli e disse loro: - "Prendete queste tre palle d'oro, andate nel punto più alto del mondo ed ognuno di voi tiri la propria sfera nella direzione che preferisce. Dove questa si fermerà, una sposa si troverà."
I figli presero ciascuno la loro palla e fecero quanto aveva detto il padre. Le palle d'oro rimbalzarono a lungo. Quella del figlio maggiore si fermò davanti la cascina di un contadino, quella del figlio mezzano davanti la bottega di un fornaio e quella del minore andò in una cesta.
I due fratelli maggiori entrarono nelle botteghe e videro che c'erano due belle ragazze da marito, per cui tutti contenti le portarono al palazzo per presentarle al re. Federico, il fratello minore, se ne stava in ginocchio davanti a quella cesta dove giaceva addormentata una gatta dal pelo folto e lucido, era di un bianco candido e sembrava una creatura dolce e indifesa.
Il ragazzo vedendola disse: "Siccome la palla che ho tirato è caduta in questa cesta, tu dovresti essere la mia sposa". "Sono contenta, vienimi a prendere la mattina delle nozze", rispose la gatta svegliandosi dal suo sonno profondo. Federico se ne andò triste al palazzo dove trovò i fratelli che già si preparavano per le nozze e sogghignavano per la sua sfortuna.
Il re li chiamò allora nella sala del trono e disse loro: "Ora che ognuno di voi ha trovato la sposa dobbiamo decidere chi sarà il re e la regina. Ecco, queste sono due libbre di lino per uno, prendetele e portatele alle vostre promess

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   13 commenti     di: Dilaila Bella


Il lago dei cigni

Era una notte buia e nuvolosa, in cielo non c'era neanche una stella e anche la luna si nascondeva nell'ombra del mistero. Dopo una passeggiata Lia si accorse che stava diventando nuvoloso ed era tardi, così si avviò verso il ponte del lago per tornare a casa.
Era un grande ponte moderno con corrimano e sbarre, sotto c'era una ferrovia protetta da reti metalliche. Lei adorava quel posto pieno di ricordi, fin da piccola lo attraversava con piacere anche se prima era di legno e aveva uno aspetto più antico, ma tutto può cambiare nella vita. Osservava spesso il lago e l'acqua tranquilla le accarezzava il cuore regalandole serenità.
Si fermò un istante, appoggiò le braccia al corrimano del lago, guardando il cielo con un sorriso anche se mancavano le stelle. Dispersa nei suoi pensieri, abbassò la testa e si coprì un attimo il viso con le mani sfiorandolo e sentendosi molto rilassata. Si sentiva sola, in quel'atmosfera notturna, ma con il cuore pieno di gioia e speranza.
Nel lago c'erano due bellissimi cigni bianchi e con il becco arancione, lei non li aveva notati per il buio. Erano un maschio di nome Delì e una femmina di nome Delè. Uno davanti all'altra, piegando il loro lungo collo creavano teneramente un unico cuore e fioriva un profondo amore, immagine spettacolare della natura. Delè era molto emozionata e provava sensazioni bellissime, lui la faceva felice e l'atmosfera cambiò improvvisamente. Il cielo si schiarì, scomparvero le nuvole e le stelle risplendevano con la luna nell'immenso cielo. Se ne accorse anche Lia e si mise a contemplare con serenità.
Delì voleva rendere quel momento ancora più romantico, mostrando a lei il suo splendido volo e cercandole un pensiero.
-Aspetta qui Delè, torno subito!
-Dove vai, non mi lasciare sola
-Vedrai tornerò con una sorpesa!
Delì partì in volo e Lia lo vide subito salire verso il ponte riconoscendo che era un bel cigno, purtoppo sbagliò destinazione e finì incastrato con il corpo ne

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   10 commenti     di: sara zucchetti


Esopo Oggi

C’era una volta un asinello. Non pensate che avesse chissà quali ambizioni, era un asinello che ogni giorno trasportava i pacchi che il suo padrone gli caricava sulla groppa dalla baita in montagna al mercato, giù, a valle.
Era un asinello ammaestrato e molto intelligente e ormai il padrone gli lasciava fare il tragitto da solo, per poi passare a prendere il denaro dai mercanti a fine settimana.
Accadde un giorno che mentre era soprappensiero l’asinello sentì sotto al suo zoccolo qualcosa di tagliente. Era un pezzo di vetro.
“Dannazione!” " Esclamò " “Chi ha lasciato qui questo coccio? Deve essere stato sicuramente un ubriacone! Da oggi lo porterò sempre con me, per ricordarmi di non bere se mai avessi voglia di farlo.”
E con un gesto abile del muso, afferrò il pezzo di vetro e lo infilò in una delle sue sacche che aveva sulla groppa.
In un allegro periodo della sua vita condivise tutti i giorni la strada che portava al mercato con il cavallo del fattore vicino del suo padrone e con lui il tempo volava. Parlavano del più e del meno, dei loro sogni, dei loro amori.
Ma un giorno il fattore arricchitosi comprò un altro cavallo per raddoppiare la merce trasportabile e da quel dì il cavallo suo amico non aveva occhi che per il suo simile.
L’asinello si sentiva profondamente triste e anche rabbioso. Vide sul sentiero un vecchio ferro di cavallo. Lo afferrò e lo mise nella sua sacca.
“Sono contento dopotutto. Ho imparato che non bisogna mai fidarsi di nessuno. Pensavo fossimo amici, ma solo perché facevamo lo stesso sentiero. Non dimenticherò facilmente”.
Il tempo passava e l’asinello continuava a raccogliere oggetti che gli ricordavano episodi della sua vita, continuando ad accumularli nella sua sacca, sicuro che un giorno gli sarebbero serviti.
Ormai aveva con sé un frammento di bastone di quel giorno che il padrone lo aveva picchiato ingiustamente, perché pensava fosse stato inefficiente ed invece era il mercante che aveva

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   4 commenti     di: Graziano Ciocca


La gamba

Era pomeriggio, quando mori una vecchia signora che abitava poco lontano dal paese, noi ragazzi andavamo sempre a schernirla per la gamba di legno che sostituiva la sua persa durante un bombardamento. Anche il giorno della morte andammo a trovarla, era stesa sul letto, vicino aveva la gamba di legno che oramai non le serviva più. Per farle un ultimo scherzo durante un attimo di disattenzione dei parenti rubammo la gamba per utilizzarla poi per i nostri giochi. In pochi minuti l'avevamo ridotta in quattro pezzi.
Erano gli anni cinquanta e noi la sera andavamo nella stalla a giocare a nascondino, ci eravamo oramai dimenticati della vecchia signora e pure della sua gamba. Verso mezzanotte udimmo degli strani rumori provenire dalla stanzetta attigua alla stalla. I nostri genitori erano da poco andati a dormire, noi li avremmo raggiunti poco dopo.
Eravamo certi che non vi fosse nessuno in quel posto. Presi dalla paura iniziammo ad indietreggiare per raggiungere la porta e correre dai nostri genitori. Quando udimmo il catenaccio chiudere la porta della stalla.
Dopo avere cercato inutilmente di uscire ci raggruppammo stretti uno all'altro,
E fu allora che risentimmo nuovamente dei passi. Come una persona che camminava saltellando. Terrorizzati non sapevamo cosa fare. Quando udimmo delle urla spaventose, la porta cominciò a vibrare per poi aprirsi di colpo.
Urlavamo terrorizzati non sapendo cosa o chi avesse fatto questo. Quando dal buio della piccola stanza vedemmo avanzare una mostruosa figura, subito cercammo di fuggire, ma la porta chiusa dall'esterno lo proibiva. Mentre il misterioso personaggio si avvicinava sempre più. Quando aprì il mantello, un coro di urla quasi disumane risuonarono nella stalla, una mostruosa figura, dal cui corpo pendevano brandelli di carne si presentò.
Gigi, forse il più coraggioso di noi gridò:
“Guardate ha una sola gamba!”
Fu in quel momento che una voce cavernosa si udi nella stalla:
“Dove avete portato la mia gamb

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   1 commenti     di: Giuseppe Loda



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Questa sezione contiene favole e storie per bambini e adulti, racconti con morale e allegorie

Le favole sono dei racconti breve che trasmettono un insegnamento di carattere morale o didascalico. I protagonisti sono solitamente animali antropomorfizzati che rappresentano vizi e virtù degli uomini. La presenza di un intento morale le differenzia dalle fiabe - Approfondimenti su Wikipedia