C'era una volta, una graziosa bimba di nome Nicole. Aveva gli occhi azzurri, i capelli biondi e lunghi che accarezzavano le spalle, come onde di mare poco mosse. Aveva circa dieci anni e viveva in una splendida villetta con il padre. La villa era molto grande, con un cancello in ferro decorato e due colonne di marmo, dove sulla cima c'erano le statue di due leoni seduti. Poi un incantevole giardino fiorito seguiva un sentiero che portava alla porta d'ingresso.
Il padre era un uomo serio e aveva un valore nella società, con capelli corti e baffi neri. Era molto affettuoso e affezionato a Nicole, perché aveva perso la madre da piccola e non ricordava nulla di lei, aveva solo un ritratto, che spesso osservava nel corridoio, dispersa nei suoi tristi pensieri. L'ammirava molto, perché era una bella donna e ne sentiva tanto la nostalgia. Purtroppo il padre era spesso in giro per lavoro e lei rimaneva con la balia e la servitù per la cura della casa.
La balia si occupava della sua istruzione e oltre ad istruirla, le dava lezioni di pianoforte con le quali lei sfiorando i tasti faceva vibrare dolci melodie e poi le dava lezioni di danza.
Una sera non riusciva a dormire e si sentiva sola, agitata e aveva più paura del solito. Aveva accanto il suo gattino come tutte le sere, ma non bastava così decise di uscire dalla stanza e andare a cercare qualcuno. Era buio, ma non accese la luce del corridoio, si prese un piccolo lumino e si avvicinò al quadro della mamma.
In giro non c'era nessuno e decise di osservare per qualche minuto il quadro, ricordando la sua dolce mamma, per farsi forza. Era una donna graziosa, bionda come lei e dagli occhi verdi, il viso delicato e un sorriso sincero. Aveva un piccolo ciondolo, che portava al collo di colore azzurro a forma di fiore.
Accanto al quadro, c'era una stanza, dove le era stato vietato di entrare, lei non osava neanche provare ad aprirla durante il giorno, perché sapeva che era chiusa a chiave. Era molto curiosa,
Spesso l'isolamento volontario o il sentirsi isolato per assenza di anime vive, pur essendo circondato di anime che furono, teneramente amorose e colmi di attenzione, stuzzica e stimola il desiderio di esternare remoti sensazioni: Rivedo la nascita dei miei eredi, esistenti assenti, ricordo la presenza dei miei avi e dei miei cari non più e pur presenti con i quali colloquio più del presente e non del passato noto e indelebile nella memoria. Assicuro nessuna deformazione mentale ma intrinseca convinzione della realtà.
Tanto tempo fa, in un piccolo paesino di campagna, viveva Camilla. Una fanciulla di circa venticinque anni, dai capelli lunghi e folti color castano chiaro, che legava spesso con un nastro rosa e gli occhi azzurri. Essa abitava in una semplice piccola casetta, con il padre Anselmo di cinquanta anni e con i capelli neri, ma anche qualcuno bianco. Accanto alla casetta c'era un negozio di antiquariato, dove il padre lavorava e Camilla lo aiutava.
Fin da quando era piccola, aveva vissuto lì e osservava sempre gli oggetti preziosi, che il padre recuperava da ogni parte del mondo, facendo viaggi, quando era molto giovane, oppure gli erano consegnati da molta gente. Purtroppo Camilla, perse la madre, perché era malata, quando aveva circa cinque anni, ma il padre riuscì a crescerla bene lo stesso. Lei diventò una ragazza seria, perché era molto responsabile delle sue azioni, dolce, sensibile, ma allo stesso tempo molto forte. Il padre era sempre stato buono con lei, anche se non voleva dimostrare tenerezze e amore, Camilla capì fin dall'inizio quanto le voleva bene.
Le sue azioni quotidiane, oltre ad aiutare il padre a sistemare il negozio, erano diverse. Puliva la casa, faceva da mangiare e lavava i panni al fiume come tutte le donne. Poi andava a prendere l'acqua in un pozzo, come faceva anche la sua mamma, quando lei era molto piccola. Il pozzo non era tanto distante da casa, si trovava su una bassa collinetta vicino all'entrata del bosco, era di una semplice forma circolare costruito con pietre, che lo contornavano per circa un metro di altezza e due colonne che reggevano una copertura di legno, decorato con foglie e fiori. E infine una carrucola con secchio di legno.
Il negozio era di piccole dimensioni e poco illuminato, (con minuscole finestre) per creare anche l'atmosfera antica e misteriosa. Conteneva cose antiquate, tra le quali c'erano una credenza con vetri e una libreria, non tanto grandi ed entrambi in noce massello. Quadri con splendide cornici deco
Le umiliazioni che tu hai inferto, come il più disumano degli aguzzini, non sono volate via ingoiate dal tempo, esse vagano sul tuo capo come avvoltoi affamati che inseguono la preda.
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La dea della vita, giunse al vivere dei suoi campi, e prese a camminare per i prati in fiore. Era bellissima e piena di luce, ed uno scarafaggio guardandola ne restò incantato:
Meravigliosa creatura, tu al di sopra di tutte, tu luce che rischiari la vita, tu anima gentile, si inchina il mio capo al tuo cospetto.
Ma la dea della vita, sapeva bene chi invero fosse quel buio animale e pertanto al suo gentil parlare rispose:
Alza pure la fronte, non devi a me questo rispetto, ti conosco e so che non hai mai dimostrato gentilezza al vivere, se non a chi ti è apparso superiore.
Io?
Disse offeso lo scarafaggio.
Madre della vita, ti starai confondendo con altri, non esiste scarafaggio più altruista di me, te lo dimostra il fatto che mi sia rivolto a te con grande rispetto senza neppure conoscerti.
Continui a creder che il viver dorma, figlio ingrato, ho osservato ogni passo del tuo cammino e le umiliazioni che hai inferto al più piccolo dei miei figli e come se le avessi inferte a me.
Non posso dimenticare il dolore che hai procurato, e sino a quando i miei figli continueranno a versar lacrime sui tuoi misfatti, io non ti perdonerò.
AHHAHAHH e che mi fai, ho avuto una vita bellissima e piena di soddisfazioni, ogni qualvolta ho desiderato qualcosa me la sono presa. Posso davvero ritenermi soddisfatto di ogni cosa, dimmi ora cosa puoi togliermi forse la vita?
Prenditela pure, era già previsto ma non cambierei una virgola del mio passato.
Tu dici? Parli così in virtù della tua limitata visione di vita, ma se comprendessi che la tua esistenza e solo all’inizio e non alla fine così come pensi, le tue certezze incomincerebbero a vacillare e piangeresti lacrime amare, per come hai lavorato qui sulla terra.
Le umiliaz
Mamma Canguro aveva già versato fiumi di lacrime per la prematura scomparsa della sua creatura : un piccolo canguro di pochi giorni.
La sua caratteristica borsa addominale era rimasta vuota ma lei sentiva ancora il forte impulso di nutrire un cucciolo.
Tanto era forte il desiderio che la sorte arrivò in suo aiuto.
Stava percorrendo mestamente, a piccoli salti, la prateria australiana, quando la sua attenzione fu attratta dai lamenti disperati di un piccolo essere sporco ed affamato.
Si trattava di un Koala che la madre, morta mentre lo dava alla luce, aveva lasciato tutto solo.
Mamma canguro gli si avvicinò tutta emozionata e mentre lo prendeva delicatamente in braccio si accorse che alcuni metri più in là, ai bordi della strada un altro koala, di dimensioni poco più grandi anche lui abbandonato giaceva a terra.
Quello che la mosse a compassione, fu il silenzio di questo secondo cucciolo, così disperato per la sua infelice situazione da non riuscire ad emettere nemmeno un piccolo verso.
Mentre pensava: “Anche loro sono dei marsupiali come me, e hanno bisogno d'aiuto, di coccole, di cibo per poter sopravvivere”, li raccolse entrambi e li mise dentro la sua sacca per riscaldarli e per nutrirli con il suo latte.
Il tempo trascorreva e la balia si prodigava in tutti modi verso i cuccioli adottivi, cercando di non far loro mancare nulla.
Li leccava spesso in tutti i versi per tenerli puliti e stringeva a sé la pelle della sacca per meglio riscaldarli.
Ogni tanto per far credere ai piccoli di essere la loro vera madre emetteva anche degli strani suoni che aveva udito fare dai suoi amici koala.
Osservandoli bene mamma canguro si era accorta che, giorno dopo giorno, i due cuccioli si sviluppavano in modo diverso: uno di loro, il più debole e denutrito, era cresciuto a vista d'occhio, mentre l'altro, che all'inizio sembrava quello più forte, era rimasto del tutto inalterato nel suo aspetto.
Questa situazione, unita al fatto che
Una bambina passava molto tempo alla finestra della sua camera. Contava le ore del giorno pregando passassero rapide, camminava su e giù per la sua stanza aspettando solo di vederla. Perchè da quella sera si era innamorata.. Era successo tutto per caso. La testa le doleva tanto, quel giorno distante, che il letto era diventato la sua gabbia per l'intera giornata. Il suo pianto dolente era il suo unico compagno mentre tutto pulsava e girava. Si sentiva sola, occhi serrati come se li avesse cuciti. Poi posò le lucide iridi al di fuori della finestra.. e quel fioco bagliore sembrò invaderla totalmente con una dolcezza infinita. Tonda e argentea, la Luna sembrò sorriderle. Rimase ammaliata e per ore seguì la sua lenta vita su quel cielo, ignorando le stelle che pullulavano attorno alla sua corona soffusa, dipingendola nella sua mente per non dimenticarla. E il dolore svanì. E imparò a sorridere cancellando forse per sempre la sua solitudine. Perchè lei, fedele, ogni volta era sempre lì, in alto a guardarla, a cullarla con la sua sola presenza.
Di giorno spariva, eppure manteneva la sua tacita promessa: sarebbe tornata. E la bambina l'avrebbe aspettata.
Ma la bambina amava troppo... e anche per questo, pur sognando ogni sua parola, non avrebbe mai chiesto alla Luna di parlare. ma la Luna era bella, così perfetta da fare male... e così lontana da essere la punizione peggiore per la piccola osservatrice. Le bastava guardarla, è vero, ma che desiderio di poterla toccare, che desiderio di poter assaporare il suo abbraccio consumava lentamente la bambina! Lei era stata sola e ora che aveva visto quell'unico vero sorriso, avrebbe voluto che la Luna sorridesse a lei soltanto. Le notti passavano e la bambina la implorava. Amava tanto da desiderare di essere l'unica, l'unico sguardo della Luna, l'unico sorriso, l'unico suo cielo. Ma la Luna era sempre silente, lontana e abbagliante, d'uno straziante candore. E a volte illuminava nuove lacrime sul volto della bambin
Uno scoiattolo, un verme e un uccellino facevano tutti insieme una passeggiata al fresco della piccola foresta vicino al mare.
A un tratto videro un cartello con una freccia, dove c'era scritto: L'albero dei desideri.
Lo scoiattolo corse subito a vederlo, era un grosso pino, tutto storto dal forte vento di libeccio che batteva in quella zona. Arrivato prima degli altri, chiese subito all'albero:
"Voglio una ghianda gigantesca per quando avrò fame".
L'albero scosse la sua chioma spelacchiata e, quando l'ultimo ago cadde a terra, esaudì il suo desiderio.
Appena avuta la ghianda, tutto contento, ne cominciò a mangiare un pezzetto dopo l'altro.
L'uccellino, vedendo il gusto che lo scoiattolo provava nel mangiare il suo desiderio, preso dal suo istinto e vedendo il verme lì vicino disse:
"Voglio avere il verme in pancia!"
Lo scoiattolo, sorpreso, smise di mangiare. L'albero restò fermo, titubante sul da farsi, ma poi si apprestò a esaudire il desiderio iniziando a muovere la rada chioma.
Il verme, stupito anche lui, approfittò della sorpresa dell'albero per esprimere il suo desiderio e, prima che l'ultimo ago finisse in terra, disse:
"Voglio uscire dalla sua pancia ancor prima di entrarci!"
L'albero fu ben felice e sollevato di poter esaudire il suo desiderio, perché, senza fare niente, era riuscito a liberarsi di due desideri in un colpo solo.
Alla fine di quell'avventura i tre amici, che erano arrivati insieme, se ne andarono ognuno per conto proprio. Il verme arrabbiato perché l'uccellino avrebbe voluto mangiarlo, quest'ultimo perché il suo desiderio non era stato esaudito, e lo scoiattolo perché era rimasto da solo.
Lo scoiattolo, allora, durante la notte, tornò sul posto e tolse il cartello che indicava l'albero, per evitare che degli animali fossero messi in pericolo dagli istinti di altri.
E che alcuni perdessero i loro amici, com'era capitato a lui.
Questa sezione contiene favole e storie per bambini e adulti, racconti con morale e allegorie
Le favole sono dei racconti breve che trasmettono un insegnamento di carattere morale o didascalico. I protagonisti sono solitamente animali antropomorfizzati che rappresentano vizi e virtù degli uomini. La presenza di un intento morale le differenzia dalle fiabe - Approfondimenti su Wikipedia