Questa volta sarà per voi una vera novità, pensate, che pur trovandosi nella solita cucina, appaiono sul solito tavolo, degli ingrediente stranieri quasi. In un bel sacchetto e ben sigillato si pavoneggiano i signori crauti, vicino a loro con un po' di timidezza giace il cumino, poi alcune foglie di alloro impertinenti, sale pepe e peperoncino, arroganti, nei loro bei contenitori son presenti e non si spostano neanche un poco, ma peggio di loro appaiono delle salsicce affumicate ed un po' di funghi porcini essiccati.
Il piatto, che il cuoco, anche se un poco brillo, ma esperto nella sua arte culinaria, vuol presentarci è la Kapustnica, in italiano zuppa di crauti. Una specialità austro-ungarica, ancora in voga da queste parti.
Il tegamino, un poco stanco, poverino, lo lasciamo riposare. Mentre la pentola veterana e la sua figlia cucchiaia si presentano in servizio. Quindi il cuoco tutto contento, può cominciare la sua opera con uno squillo di tromba.
Dà un' occhiata al tutto, ma vedendo la solita fiaschetta e il calice attaccato, non si far pregare nemmeno un poco, e uno ne tracanna. Voi dite di che? DEl solito bicchiere di vino rosso fatto da mani esperte. Anche in Slovacchia infatti, si produce dell'ottimo vino, sia rosso che bianco, ma non voglio su questo argomento dilungarmi per rispetto del cuoco e la sua arte. Il quale più brillo di prima, ma sempre bravo si mette all'opera.
Dimenticavo, sapete un po' distratto, nella pentola bollivano già delle patate, che essendo ben cotte venivano schiacciate.
Il cuoco allora ci fece entrare i crauti, al suon di tromba seguirono le salsicce, i funghi porcini, il cumino, timidamente, quasi per non guastare il tutto, un piccolissimo pizzico di sale, alcuni grani di pepe, prepotenti le foglie di alloro con un po' di peperoncino. Lasciando la pentola brontolare per ore ed ore sul fuoco del fornello a bassa voce.
Era rimasta una salsiccia fuori gioco, al cuoco la cosa spiacque un poco.
- Ma tu da dove salti
Ci troviamo in un giardino privato, dove c' è un angolo cottura apposito, fatto di una specie di caminetto aperto, dove c' è anche un bel calderone di rame, pronto per essere utilizzato.
Una piccola pila di legna da ardere è lì ad aspettare.
- Che brutta fine ci tocca fare a noi poveretti!
Esclama un piccolo pezzo di legno secco; poi aggiunge:
- arsi sotto questo calderone sconosciuto.
Il calderone risponde:
- Non ti lamentare, dovresti esser contento, d' esser utile a qualcosa.
Il pezzo di legno ribadì:
- Il mio genitore albero era un bell'imbusto, prima di invecchiare e d' essere abbattuto.
Il calderone:
- Per quel che so io, non siete di legno nobile, destinati a far bella figura come armadietti o comodini alla moda, per cui il vostro miserabile destino è quello di alimentare il fuoco sotto il mio sederino.
Il pezzo di legno:
- Per far che?
Il calderone:
- E che ne so io!
A quel punto entrarono in scena dei valletti, con vassoi in mano, portando in ordine:
cipolla ed aglio ben tritate, con olio di girasole;
tocchetti di carne suina, con patate tagliate grossolanamente;
sale, pepe in grani, cumino, peperone rosso dolce in polvere e peperoncino in quantità;
per finire, l' ultimo tocco, maggiorana in quantità.
Disposti disciplinatamente attendevano il cuoco, a noi ormai ben conosciuto, che brillo come sempre, portava solo la fiaschetta nota ed il suo calice prediletto.
Mise sotto il bel calderone di rame la legna da bruciare, e con un po' di carta straccia e un fiammifero speciale diede fuoco.
Poi tracannandosi a sua volta un bel bicchiere di vino rosso, cominciò l' opera.
In quel calderone di rame entrò per primo l' olio di girasole, seguito dalla cipolla e l' aglio ben tritati. Appena rosolati entrarono trionfanti i bei tocchi di carne suina.
Nessuno si accorse, nemmeno il cuoco, che la legna scoppiettando, in realtà piangeva. Infatti lacrime un po' strane apparvero sulla legna, che man man
In un regno delle Indie c'era un re molto buono, che viveva felice seppur povero, condividendo così la sua sorte con quella dei suoi sudditi e le sue sei mogli.
Era una notte qualunque, o almeno così sembrava, una sola stella con una bella coda dominava la volta dello scuro manto.
Non si sa bene, se da desto o in sogno un Angelo bellissimo al Re Magio apparve e gli parlò:
- Aliman, alzati e cammina seguendo quella Cometa!
Spaventato il Re Magio:
- Chi sei?
L'Angelo:
- Sono un Angelo inviato dal tuo e mio Signore!
Il Re Magio:
- E bé! Perché dovrei seguire quella Cometa?
L'Angelo:
- Fra non molto in una terra alquanto lontana, a Betlemme nascerà un Bimbo, che si chiamerà Gesù.
Il Re Magio:
- E per un bambino io dovrei andare così lontano?
L'Angelo:
- Non è un bambino qualunque, ma è Gesù Bambino, il Salvatore.
Il Re Magio:
- Mi dispiace, ma io non capisco!
L'Angelo:
- Già altri Tre Re hanno intrapreso il cammino per onorarlo, portandogli doni molto significativi.
Il Re Magio:
- Ma io non ho nulla da poter regalare!
L'Angelo:
- Il tuo cuore puro e la tua anima pia ti sembrano poco?
Così convinto s'alza, si veste, avverte le sue mogli, sale in groppa al suo dromedario e alza gli occhi al cielo. La stella con la bella coda scintillante era ancora lì ad aspettarlo.
Il cammino fu lungo e tortuoso, come unici compagni di viaggio aveva il suo fedele dromedario e quella Cometa, che da lassù sembrava sorridergli incoraggiandolo.
Prima di arrivare a Betlemme fu avvistato dalle guardie del re del luogo e avvicinato.
Una delle guardie:
- Chi sei straniero?
Il Re Magio:
- Sono Aliman, re di una lontana terra delle Indie.
La stessa guardia:
- E come mai sei qui?
Il Re Magio:
- Seguo quella Cometa lassù!
La seconda guardia:
- Sappiamo di quella Cometa, prima di te altri Tre Re l'hanno seguita, quindi anche tu sei diretto allo stesso luogo?
Il Re Magio:
- Si!
Antonio era un gran sognatore ed era convito un giorno avrebbe cambiato il mondo con le sue idee, non sopportava i prepotenti, i gradassi ne tantomeno sopportava
il salumiere sotto casa che guadagnava troppi soldi vendendo alimentari d’ogni genere.
Non gli andava bene nessuno, tanto meno se stesso ,
qualche volta aveva perfino alzato la voce e apostrofato
una brutta parola di scherno d’avanti allo specchio :
ridicolo tu vorresti cambiare il mondo, tu simile ad una pulce, tu che non riesci a stare un minuto fermo a riflettere sulla realtà delle cose mi fai ridere pusillanime gridava e scappava via facendosi marameo allo specchio.
Antonio Vadodifretta sempre di corsa come se avesse
dei tizzoni ardenti nelle tasche dei pantaloni, sempre
in giro per la città.
Non era alto assai, aveva denti da coniglio, occhi come
il mare, capelli castani come le castagne che producono sogni ricoperti di spine. Antonio non aveva tanti amici
non gli piaceva stare in compagnia, amava viaggiare
con la fantasia di starsene
da solo a pensare ad un mondo possibile a sua misura dove egli avrebbe imperato o fatto quello che gli pare senza dar conto a nessuno. Sapeva trasformarsi essere mille facce , mille personaggi, mille individui ora un viaggiatore distratto nella metro, ora un passante raffinato lungo
il corso principale, ora un spettatore di teatro, ora un imbecille fermo alla fermata dell’autobus, ora se stesso,
ora l’altro che gli stava di fronte.
Antonio sapeva volare, camminare sui tetti delle case
divenire un tenero romantico ammirare il tramonto
e dipingere l’orizzonte a sera sulla sua tela di carta pecora.
Antonio aveva diciottanni, non aveva un padre e viveva da solo con la sua vecchia madre che non si sapeva neppure per certo se fosse per davvero sua madre naturale.
Antonio faceva tutto di fretta senza badare a domani senza riflettere su ciò che facesse e per questo
C'era una volta una bambina di cui non ricordo il nome e neppure il momento della sua nascita, ma ricordo che era bella e aveva gli occhi profondi come un lago disteso nella notte. Quando iniziò a parlare, tutti rimasero stupiti, perchè nel suo farfugliare di bimba, diceva cose del mondo che non poteva sapere e, quando nessuno la guardava, si alzava in volo per un attimo, per poi tornare a terra. Col tempo, imparò a dimenticare e smise di volare.
Quando divenne fanciulla sentì il bisogno di fare un viaggio, per ricordare.
Iniziò a scalare un'impervia montagna, gradino per gradino e con le mani sanguinanti giunse fino alla vetta coperta di neve. Rimase stremata sulla cima della Montagna per molti giorni, fino a quando la Montagna le disse: "Fanciulla che cosa fai qui? Devi scendere a valle, non puoi rimanere"
La Fanciulla rispose: "Pensavo tu fossi la mia casa, per questo mi sono fermata"
La Montagna stupita disse alla Fanciulla: "Tu sei bella e buona, ma io sono già abbastanza affaticata, non vedi quanta Neve porto sul capo e lungo i fianchi, quanto vorrei che portassi via un po' di questa Neve"
"E che cosa dovrei dire io" interruppe la Neve "che il Sole mi trafigge giorno per giorno trasformandomi in acqua? Portami via Fanciulla dove non c'è il Sole"
La Fanciulla, allora, si alzò e disse: "Ho compreso, cercherò la mia dimora altrove. Ma non posso portarti via Neve, devi restare proprio qui, per alimentare lentamente il Fiume, quello giù a valle. E tu Montagna sei importante perchè consenti alla Neve di raggiungere il suo scopo"
La Fanciulla iniziò a scendere per il pendio, salutando la Montagna e la Neve.
Ma da quel giorno la Montagna si fece culla di magnifici ghiacciai e la Neve iniziò a brillare come una cascata di diamanti.
Arrivata a valle, la Fanciulla vide un Albero. Decise di arrampicarsi e sedersi su un ramo fiorito. Appena posata, sentì un Fiore brontolare: "Ma chi sei? Che cosa vuoi? Non puoi rest
In un paesino nascosto da vette sempre innevate e boschi impenetrabili, viveva un popolo dedito all'agricoltura. Nessuno conosceva la sua esistenza e gli abitanti del paese se ne guardavano bene dal farsi trovare. Conoscevano la crudeltà e l'indifferenza che regnava sulla terra.
Per questo si erano organizzati in modo da non aver bisogno del mondo esterno.
Il paese era formato da tante casette di mattoni rossi, ad un solo piano.
Ognuna di loro aveva giardino, orto e stalla. Le case erano calde ed accoglienti e nelle lunghe serate invernali si riunivano tutti nella casa del sindaco del paese, dove un enorme camino irradiava il caldo
dei ceppi che i boscaioli si procuravano tagliando gli alberi che ormai erano arrivati alla fine della loro lunga esistenza. In estate il popolo si riuniva sotto le fresche ombre delle secolari querce.
Passavano gli anni e tutto procedeva serenamente. Le mucche davano il latte, i campi il grano, le galline le uova.
I bambini crescevano sani e forti fin quando, un triste giorno, passò per il paese un viandante avvolto in un nero mantello, nessuno sapeva da dove venisse e nonostante il suo aspetto orripilante, lo accolsero con amore. Lo rifocillarono, lo fecero riposare e quando fu ora di ripartire gli regalarono cibo per il viaggio.
Lo accompagnarono alle porte del villaggio e nel salutarlo gli chiesero
-Come ti chiami viandante
Questi si girò verso loro, aprì il suo nero mantello, nel cielo apparvero nuvole nere che oscurarono il sole, il suo ghigno diventò ancora più orribile e dalle sue invisibili labbra uscì una voce stridula
-io sono crudeltà e invidia e da oggi il vostro paese conoscerà solo miseria e disperazione.
Poi scomparve.
Passarono gli anni e purtroppo la maledizione di quell'orribile essere si avverrò, molti animali morirono di misteriose malattie, i campi diedero raccolti miseri, il sole non riusciva più a perforare con i suoi caldi raggi la coltre di nuvole nere. Ma il fatto più inquietante era
Un velo d lacrime le ricoprì gli occhi, la bambina dagli occhi tristi era ancora più triste da quando il suo cane era appena deceduto.
"Esisterà un Paradiso anche per i cani e tu adesso starai assieme ai cani più buoni" - diceva a se stessa.
Fancy, aveva un muso dolce, scodinzolava davanti agli estranei e ai bambini e amava in ugual modo la solitudine come la compagnia, qualunque essa fosse.
Più volte la bambina dagli occhi tristi aveva pensato: "se rinasco voglio essere una femmina di cane. Voglio una padroncina che mi curi e mi ami e altrettanto farò io con lei. Giocheremo tutto il giorno e quando arriverà l'ora di cena, la giornata mi sembrerà breve come un battito di ciglia!".
Intanto la bambina dagli occhi tristi aveva imparato il linguaggio canile, conosceva la filosofia di vita di qualsiasi razza, le loro abitudini, i gusti in fatto di cucina e di sesso e persino la loro depressione.
A causa dell'anzianità, gli ultimi mesi di Fancy erano stati un po' tristi. Il meticcio, un incrocio tra un volpino e un barboncino aveva perso un po' la sua allegrezza e un alone di malinconia era apparso sui suoi occhi languidi. La notte poi, di colpo si svegliava, e cominciava ad abbaiare furiosamente, come se un altro cane lo avesse appena azzannato.
"Malattia senile" era stato il responso del veterinario. E non c'era cura, non c'era farmaco che potesse guarire o migliorare lo stato di salute del vecchio cane.
La bambina dagli occhi tristi era disperata. Non poteva accettare una situazione simile. Doveva fare qualcosa. Pregò allora il dio dei cani: "Se tu esisti veramente, guarisci la mia Fancy ed io ogni giorno della mia vita, invocherò il tuo nome" e poi attese.
Nonostante il voto preso, la bambina dagli occhi tristi progettava il suo futuro: "quando sarò grande voglio mettere al mondo una bella cucciolata di meticci. Li allatterò ai miei seni e cresceranno forti e robusti. È vero: ho le sembianze di una donna umana, però mi sento più vicina alla
Questa sezione contiene storie e racconti su fate, orchi, giganti, streghe e altri personaggi fantastici
Le fiabe sono un tipo di racconto legato alla tradizione popolare e caratterizzata da componimenti brevi su avvenimenti e personaggi fantastici come orchi, giganti e fate. Si distinguono dalle favole per la loro componente fantastica e per l'assenza di allegoria e morale - Approfondimenti su Wikipedia