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Racconti gialli

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Sorelle

Anita glielo aveva già detto almeno un centinaio di volte. Quella maledetta serratura doveva essere cambiata, la porta di servizio sul retro, quello era il punto debole. E infatti era proprio da lì che era entrato.
Anita sapeva che era fiato sprecato comunque. Sua sorella Irene era la sua adorabile compagna della sua vita, ma era anche svampita e inaffidabile, viveva in un suo mondo fatto di sogni e per le questioni pratiche di tutte i giorni come cambiare una serratura per esempio non era certo la persona più adatta a cui rivolgersi.
Così alla fine aveva dovuto pensarci lei, come sempre. Ma questo non cambiava niente comunque: lei glielo aveva detto, almeno un centinaio di volte.
Max non si riteneva certo un professionista della truffa, ma quello sembrava davvero un colpo alla sua portata. Aveva conosciuto la cara, oh si la carissima signora Irene quando lei fu ricoverata presso il reparto dove lui lavorava come inserviente. Una signora sulla sessantina, un po stramba certo, ma simpatica e socievole. Era stata ricoverata per via di quello che era stato il suo problema fin da bambina: la bulimia. Questo le causava ricorrenti crisi che la costringevano a brevi ricoveri. Max e la signora Irene erano diventati amici. Chiacchieravano spesso e fu così che una volta Irene raccontò che lei e la sorella non si erano mai fidate delle banche e che nascondevano le loro pensioni in casa. Da diversi anni... da diversi anni. Un rapido calcolo diceva diverse migliaia di euro, una vera fortuna per Max, soprattutto a portata di mano. Bastava andare a prendersela direttamente a casa della vecchia. Certo c'era l'altra sorella, la megera. Anita si chiamava. Più giovane di Irene di qualche anno ma molto più scorbutica e poi brutta, brutta come ne aveva viste poche: rugosa, con un grosso porro proprio sul naso, gli ricordava la strega Bacheca di Braccio di ferro nella versione cattiva, per adulti. Ma, si diceva Max, non sarebbe certo stata la megera a fermarlo; che cazzo l

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Chiavi & misteri

Questo racconto è nato per una nota manifestazione bresciana riguardante il giallo, e l'anno con cui ho partecipato al concorso per le scuole "A qualcuno piace giallo" i testi da presentare dovevano presentare i personaggi o stili del romanzo giallo tipico di Agatha Christie.

Io ho deciso di far vivere il mio racconto ai suoi 2 personaggi meno noti... i coniugi Beresford magari meno soprendenti di Ercule Poirot o Miss Marple ma ugualmente intelligenti ed interessanti, ora vi lascio alla lettura del mio:

CHIAVI & MISTERI

Personaggi:

Thomas (Tommy) e Prudence (Tuppence) Beresford:
Una simpatica coppia di coniugi investigatori inglesi.

Miss Helene Mahy:
Giornalista libera, residente a Toronto, da ormai 20 anni, negli ultimi mesi, si stava occupando di un articolo “scottante”.

Clarissa (Cle) Lake:
Psicologa d’origine irlandese, amica fidata di Miss Mahy e Mrs Beresford.

Ashley Lake:
Figlia adottiva di Clarissa Lake.

Lady e Miss Carson:
Madre e figlia.

Miss Mary Johnes:
Erpetologa francese, vicina di appartamento di Helene.

Mr. Jerome Dart:
Imprenditore

Mr. Jonathan (Jhonny) Dart:
Figlio di Jerome Dart.

Commissario Westall:
Un gigante buono, grande e grosso, dagli occhi di bambino.







C’è strana posta, oggi, per i coniugi Beresford.
Oltre alla solita posta, nella cassetta delle lettere, c’è una busta di carta azzurro-verde, con un non so che d’infantile. Sembra che faccia parte di uno di quei set che si regala ai bambini, di carta colorata, magari con qualche decoro o disegno, come alcune di quelle buste in cui si mettono le cartoline d’auguri…
La lettera viene da molto lontano. Ha attraversato l’Atlantico, per arrivare lì da loro. Viene da Toronto, in Canada, ed è indirizzata alla signora Beresford.
Albert, il domestico di famiglia, ha raccolto da poco la posta e ora la sta portando alla coppia. Andiamo a vedere cosa succederà…

I P

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Lo Scettro Invisibile

Se non avete di meglio da fare,  
immaginate per un momento
di governare il mondo.  
Pare sia un'esperienza unica.
 
         
        
Con una punta di compiacimento, accompagnata da un sorriso appena sfumato, Alfredo tolse la mantellina, disegnò un'ampia voluta nell'aria, come fosse una muleta, e la lasciò cadere sul ripiano di marmo rosa. Poi, preso lo specchio con entrambe le mani, panoramicò a rallentatore da sinistra a destra e ritorno, in modo che gli occhi potessero fermarsi su ogni  dettaglio.
Mr. G, seduto sulla vecchia Koken di cuoio consunto e pedana in ottone massiccio, che si diceva avesse ospitato anche il deretano di Albert Anastasia nel giorno della sua scoppiettante dipartita, fece un cenno di approvazione, si alzò, gli strinse la mano augurandogli una buona giornata, infilò la porta e - tra effluvi d'acqua di colonia - sparì  come teletrasportato  in qualche angolo dello sterminato palazzo.
       
        Alfredo Lucchesi, americano di terza generazione, era figlio d'arte: suo nonno  e suo padre avevano esercitato la professione prima in una barbieria di Little Italy, poi nel saloon di un importante hotel di Midtown. Lui, pur continuando la tradizione di famiglia, dopo aver frequentato la scuola per parrucchieri di Londra, aveva trovato più appagante fare il free lance: barbiere a domicilio. Di fiducia, aggiungiamo noi. Talmente fidato che annoverava fra i suoi clienti solo uomini ricchissimi, i cui nomi venivano a malapena sussurrati nelle ristrette élite economico-finanziarie del globo. Uomini che non amavano far parlare di sé. Tanto influenti da non essere sfiorati neanche lontanamente da stampa e televisione. Alcuni, con ogni probabilità, non figuravano neppure all'anagrafe.
        Alfredo non aveva fissa dimora, o meglio, per averla l'aveva, solo che  trovarlo in casa era come vincere un terno al lotto. Correva da una città all'altra. Da un continente all'altro. Lo chiama

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Antichrist VI

Sono quasi le sei del mattino ed è già da mezz'ora che ci troviamo nel mio ufficio. Lei si è data una ripulita. Ora, senza sangue appiccicato addosso e con il viso ripulito appare sotto un altro aspetto, non certo quello trasandato, da cerbiatta in fuga, com'era un'ora fa quando è stata trovata, rannicchiata e tremante seminascosta dal vecchio portone in via Palestina.
La osservo attentamente mentre è tutta intenta a sorseggiare un tè caldo, non ha voluto caffé né latte. Ora non trema più, evidentemente si sente al sicuro, lontana da ogni pericolo, ma nonostante ciò non smette di guardarsi intorno e sobbalzare ad ogni piccolo rumore. L'istinto della cerbiatta non l'ha del tutto abbandonata. Lascio che finisca di bere il te per continuare a interrogarla. Per la verità da quando è comparsa sulla scena non è che abbia detto granché, tranne che si chiama Chiara e che si trovava sul posto del delitto perché esortata al telefonino. Da chi? Lei ripete spesso un nme "Gerard" , accompagnato ogni volta da un sussulto.
"È il tuo ragazzo, questo Gerard?" le chiedo.
"Sì, era l'uomo della mia vita" risponde a muso d'uro, ostinatamente.
"Da quando lo era? Lo conoscevi da molto?"
"Che importanza ha il tempo quando si tratta di sentimenti?"
"Uhmm! Quindi era il tuo uomo ma non lo conoscevi da molto, è così?"
"Lo conoscevo da quanto basta e a voi cosa importa?"
"Importa perché se lo conoscevi abbastanza bene per avere con lui una relazione non ci dovrebbe essere nella tua rubrica telefonica la dicitura <chiamata da uno sconosciuto> o mi sbaglio?"
"Uffa, ma che volete da me? Vi ho già detto come stanno le cose. Non sono stata io a ucciderlo, semmai avrei dovuto essere la seconda vittima"
"Di chi? La vittima di chi, Chiara?"
"Dell'assassino, mi sembra ovvio"
Uhmm! Allora facciamo un attimo il punto. Sei la donna di Gerard, la vittima, ma non lo sei da molto, vieni chiamata sul telefonino dall'assassino, che non conosci affatto, e non sai il perché,

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   4 commenti     di: Michele Rotunno


Il topo - seconda parte: la soluzione

Mary, Lucy e George furono presto convocati. Insieme a loro, come richiesto dal detective Brown, erano venuti tre poliziotti. L'investigatore guardò tutti attentamente. Poi si decise a parlare: " Allora, signor Erintong, come vanno gli affari?" sorpreso da quella inaspettata domanda, l'altro balbetto' : " B... bene" poi si ricompose: " Anche se si sono un po' bloccati dopo l'incidente; lo so che dovete investigare, ma no posso tenere un intero piano sigillato per molto tempo" " Oh non si preoccupi; presto sarà tutto finito. Qualcuno vuole fare una confessione?" silenzio: " Bene, allora proseguo; innanzitutto dobbiamo considerare che non è stata usata nessuna arma da taglio o contundente o a proiettili, eccetera" " Ma allora come spiega la ferita sulla testa?" chiese la signora Coster : " Torneremo dopo su questo argomento, sognora Coster; per ora è essenziale smasherare il colpevole" studiò tutte le espressioni dei sospettati: " Mi è dunque venuto un dubbio : in che altri modi si può uccidere un uomo? Pensando a questo ho capito che è stato avvelenato, ma non con veleno liquido; facendo un'analisi dell'aria, infatti, ho scoperto che c'era..." George tentò di scappare, ma fu subito fermato da una degli agenti: " Del gas asfissiante. Usato probabilmente per uccidere il povero Karl; ho ragione signor Erintong?" lui strinse i denti per la rabbia: " Credo di sì; ma non era soltanto per i debiti, giusto?" passò un dito sopra la scrivania: " Questa cos'è signor Erintong? Guardi che io lo so e se non lo dice..." "Cocaina! Va bene!" Luke capi allora cosa era successo: " Lui lo aveva scoperto e lo ricattava; così, dato che poteva intromettersi nei condotti dell'aria, lo ha ucciso con il gas" " Giusto" confermò Brown. Mentre i poliziotti ammanettavano George, Luke andò dal suo compagno: " Non hai mai fatto analizzare l'aria, come..." "Il topo. Correva lento perché era avvelenato e correva dopo aver mangiato la droga" " E mi scusi, come spiega la ferita?" " Un incidente

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   1 commenti     di: Dario


L'ultimo contratto

"Vendesi mandarino rosso" l'annuncio era più che esplicito, dovevo rientrare quanto prima, ovviamente seguendo tutte le regole relativa alla sicurezza. Il giorno stesso ho interrotto le ferie in Tunisia, col primo volo ho raggiunto Catania, in autobus a Messina, traghetto e a Reggio l'Eurostar per Milano.
Sono sceso a Taranto, con un altro autobus ho raggiunto Bari e adesso sto aspettando un altro Eurostar per Milano, che non raggiungerò direttamente perché scenderò a Piacenza e quindi con un regionale arriverò finalmente a Milano. Il tempo del percorso si triplicherà ma non avrò lasciato tracce dirette del mio viaggio.
È quasi sera, pochi minuti alle diciotto, lo speaker annuncia l'arrivo del treno, è in orario, non sosterò a lungo sul marciapiedi. Ho preso un biglietto di prima classe, non lo faccio quasi mai ma siamo ad ottobre e prevedo la prima classe abbastanza vuota e al riparo da viaggiatori impiccioni.
Non mi sono sbagliato nello scompartimento vi sono solo due persone, un bambino di circa cinque anni e una donna, probabilmente la madre. Lui ha un aspetto birichino, di sfrontata ingenuità lei, invece, è bella da morire, il suo sguardo mi ha trafitto cuore e cervello, non mi è mai successo fino ad oggi una simile sensazione. Come un adolescente alla prima cotta le punto addosso gli occhi, lei fa altrettanto, nessuno abbassa gli occhi e restiamo a fissarci per un minuto abbondante. Ho modo di osservarla attentamente, il vestito dalla gonna larga non lascia intravedere le forme ma è snella e ben fatta, anche il volto, per le sue fattezze, non è eccezionalmente bello ma i suoi occhi azzurri posizionati su un anso piccolo e a punta in su mi hanno letteralmente catturato, non riesco a distogliere i miei dai suoi, e pare che sia ampiamente ricambiato. Non so chi per primo ha abbozzato un sorriso, peraltro subito ricambiato, ma il nostro reciproco rapimento viene interrotto dal piccolo che tirandomi i pantaloni mi chiede a voce alta:
"N

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Unghia di gatto

La pioggia autunnale è meglio di quella estiva perchè ha un odore più tollerabile. In estate può succedere che piova per pochi istanti e che rilasci più caldo e umidità di prima che toccasse terra. E succede che dall'asfalto sale un odore soffocante.
Quando tornavo da scuola sentivo sempre quell'odore, in estate, per le strade. Un odore acre, che si mescolava a quello della paura, e del sangue.

"Resto nell'ombra quando ti uccido,
ti stringo il collo e perdi il respiro.
Gli artigli s'infilano dentro la carne,
non serve a niente dare l'allarme.
Neanche gridare, nessuno ti sente,
vederti impaurito mi piace, lurido... verme", canticchiai in attesa.

"Ehi ehi... che ci fai qua tutta sola?", esordì barcollando uno dei due uomini in completo elegante. "È pericoloso girare senza compagnia, la notte."
Io non risposi e quello insistette. "Forse sei timida. Senti... noi due ci stavamo chiedendo se per caso non avessi un'altra amica. Andiamo a farci un giro noi quattro, e magari poi voi ci fate un pompino. Che ne dici?"
L'uno cerco la complicità dell'altro e scoppiarono in una fragorosa risata.
"Ma i pompini si fanno a chi là sotto ha qualcosa", risposi a quel punto frenando la loro ilarità.
Quello che aveva finora blaterato divenne allora serio. "Che cosa hai detto?"
Feci qualche passo e mi mostrai alla fioca luce dei lampioni del vicolo.
Sheldon Cooper indietreggiò; una chiara espressione di terrore sul suo volto obeso.
"Non... non è possibile...", balbettò. "Tu... tu... ma cosa..."
"Quanto tempo... sono onorata che tu mi abbia riconosciuto. Dieci anni in fondo sono tanti."
Con una mano afferrai Sheldon per il collo e lo portai spalle al muro. Volsi lo sguardo verso il suo amico, che terrorizzato stava dandosela a gambe.
"Che carino, ci ha lasciati soli."
Tornai sull'avvocato.
"Scommetto che non la sai quella storia che raccomanda di correre più in fretta dei propri conti in sospeso", parlai. "Ti sei fatto troppo grasso e lento, Sheld

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   0 commenti     di: Bobby P. Storm



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