Ogni volta, lo stesso pensiero, ogni volta che chiudeva gli occhi, il piccolo Gianni rivedeva l’immagine di quei due corpi senza vita, sulla spiaggia.
Erano trascorsi alcuni giorni e, cosa strana, suor Riccarda si comportava in modo diverso dal solito, il suo essere era più dolce, quasi a voler proteggere quegli orfanelli che, malgrado avessero disobbedito, erano adesso, spaventati e indifesi.
L’aria di mistero che avvolgeva l’orfanotrofio fu scossa quando, una mattina, la dottoressa Susy, dopo aver ricevuto una telefonata anonima, da una persona che, fissandole un appuntamento le aveva promesso di svelare il nome dell’assassino, mentre si recava alla tenenza, per raggiungere il Maresciallo Bove, fu uccisa con due colpi di pistola, esplosi da un’auto nera in corsa.
Ancora una vittima, e nessuna risposta, quale misterioso assassino si nascondeva dietro tutto questo?
Suor Riccarda cercava di calmare il piccolo Gianni, che ormai non parlava neanche più, e nessuno, neanche i suoi piccoli amici, riuscivano a distrarlo, coinvolgendolo con giochi fatti in comune.
Lo scalpore per l’omicidio di un magistrato, aveva fatto accelerare le indagini e venne fuori che le due prime vittime (entrambe giustiziate come dai risultati antropici) erano coniugi, ed erano probabilmente, giunti alla Colonia dell’Orfanotrofio, per vedere o forse per riprendersi un loro figlio, affidato, alla nascita, alle pubbliche istituzioni.
Ma quale dei piccoli era cercato?
Nella memoria di Elio, c’era il ricordo della visita e dell’incontro assai animato fra suor Riccarda e le due persone della spiaggia, e Sabrina, inoltre, ricordò, parlandone con il maresciallo che aveva più volte intravisto suor Riccarda piangere, e una sera, l’aveva sentita urlare disperata, nella sua camera, ”No, Gianni no, non è possibile…. no!” dopodichè la piccola, impaurita era corsa a letto cercando di dimenticare.
Una mattina, il maresciallo Bove si presentò all’Orfan
Seduto in una di quelle piccole, sobrie poltrone di un cinema ormai lontano dagli standard moderni, con i rivestimenti di un velluto elegantissimo, e l’odore di tempi che ormai non tornano più. Tutta la sala occupata, pronta, vivida, carica di aspettative, brulicante di gente che ingoia uno dopo l’altro film a raffica senza nemmeno digerirli. Atmosfera piacevole, rilassata, espressioni distese.
Una ventina di teste sconosciute davanti alla mia e una serie di facce che non distinguo dietro le mie spalle. Non so cosa stia per iniziare, “un biglietto” ho detto, senza nemmeno costatare che la trama fosse esaltante, l’attrice bella e sensuale, il regista vincitore di un qualche importante premio. Non avevo la minima intenzione di finire qui dentro, ma la folla dietro la strada era davvero invitante e il luogo ideale.
Ed eccomi qui, sistemato tra due coppiette disgustosamente ingorde di pop-corn, bicchierone gigante da tre, quattro euro.
La poltroncina è scomoda, inizio a diventare impaziente.
Il bisbiglio di fondo termina, calano le luci ed appaiono le montagne della Paramount. Scorrono veloci i titoli di un film che non ho scelto, i nomi di attori che non conosco, e anche se il ritmo della colonna sonora è veramente incalzante, io non sono assolutamente interessato. Non sono qui per bere Coca-Cola né tanto meno per carezzare timidamente la gamba della mia compagna, per mangiare liquirizie o per capire se il protagonista merita quel cazzo di Oscar. Inizio a sudare, inizio a sudare perché sono fermo da almeno cinque minuti. Odio stare fermo, lo odia anche il mio corpo.
La scena si dipana all’interno di uno di quegli uffici che vivono esclusivamente nelle realtà americane; un mare di impiegati con la camicia bianca, ognuno nel suo mini box con un computer a schermo piatto della prossima generazione e una stampante ultramoderna. Pannelli divisori bianchi panna, persone perfettamente curate, uomini appena rasati, colletti candidi, giacche stirate.
Mi misi a giocherellare con un elastico quando esordii: "Mettiamo caso che avessi portato di proposito le patatine salate per farti venire sete. Poi mettiamo anche caso che mentre andavi in bagno abbia aperto la tua borsa e che abbia avvelenato la tua acqua."
Il suo sorriso svanì in un attimo.
"Forte, no?", le chiesi sorridendo.
"Stai scherzando, vero?"
"Io dico che tra qualche minuto lo scopriamo."
Poi la fissai, e notai che anche lei mi stava fissando a sua volta. La fronte corrugata.
M'indicai, e senza distogliere lo sguardo dal suo viso, dissi: "Credo che ti stia uscendo del sangue dal naso."
Fluido scivolò rosso sporcandole la bocca, il collo, la camicetta e i pantaloni. In poco tempo si ritrovò urlante imbevuta nella pozza del suo stesso sangue, mentre io quasi me la facevo addosso dalle risate.
Otto e mezza di lunedì mattina appena passate. Dalla finestra del mio ufficio guardavo le persone indaffarate nello shopping natalizio, chiedendomi dove avrei passato il Natale. Mi alzai e andai in mensa per un rifornimento di caffeina. Due colleghi si avvicinarono e mi posero la fatidica domanda
<<Dove passi il Natale?>>
<<Ho in programma un pranzo in famiglia.>> risposi, mentendo spudoratamente.
<<Noi abbiamo organizzato una festa tra colleghi.>>
<<Dove?>> chiesi, fingendomi interessato.
<<In un locale a pochi chilometri da qui.>>
<<Ah. Beh, non contate su di me.>>
<<Ok. Però a capodanno ci sarai, vero?>>
<<Certo.>> avevo risposto poco convinto.
<<Comunque se dovessi cambiare idea…>>
<<So dove trovarvi.>>
“Passerai il Natale da solo come gli altri anni” pensai.
Mentre bevevo appoggiato al muro della sala relax sentii squillare il telefono nel mio ufficio. Alzai la cornetta al dodicesimo squillo e temetti che avessero riagganciato, quando sentii la voce del sovrintendente Corsi chiamarmi per grado.
<<Ispettore Morante?>>
<<Si.>>
<<È arrivata una segnalazione di un cadavere ritrovato tra i rifiuti alla discarica comunale.>>.
<<Va bene, Corsi. Grazie.>>
“Si può morire il giorno prima di Natale? Non dovevano essere tutti più buoni a Natale?” pensai scendendo le scale che conducevano in garage.
Salutai l’agente di guardia all’ingresso e svoltai con la mia auto sul lungomare.
Arrivai alla discarica mezz’ora più tardi, a causa del traffico natalizio.
Scesi dall’auto e una ventata d’aria gelida mi ricordò che non avevo preso la sciarpa dall’ ufficio. Imprecai tra le labbra e mi avvicinai alla scena del delitto.
Un’agente mi riconobbe e sollevò la striscia fluorescente della polizia di stato, facendomi passare. Riconobbi una collega accanto al lenzuolo che copriva il cadavere e mi avvicinai.
Si chiamava Alessandra Montevago, era alta, castana, ab
La pioggia bucherellava le acque inquiete del fiume e picchiettava sulla testa grottesca di Goffredo, che tuttavia non provava alcuna repulsione e, anzi, accettava quel tocco brioso come un'energica eppur tenera carezza. Se era vero, infatti, che tutto quanto nasceva, sgorgava, si ergeva dal suolo era opera del diavolo, era altrettanto vero che ogni cosa che veniva giù dal cielo o in esso viveva era una benedizione del Signore.
Aprì il rubinetto di una piccola cisterna da raccolta e si versò un generoso bicchiere di pura acqua piovana. Non ne beveva altra e non mangiava che uccelli, perché quelle erano le offerte di Dio e lui lo rispettava. Il ponte dell'imbarcazione ondeggiò e lui con esso, rischiando di rovesciare l'acqua, ma riuscì a bilanciarsi sulla gamba più corta e rientrò in coperta.
Quella vecchia motonave turistica era la sua casa, una casa che poggiava sulla disgustosa urina di Satana ma che, in effetti, lo faceva sentire come Caronte, un traghettatore di anime dannate. Inoltre aveva il vantaggio di tenerlo alla larga dalla gente, gente che poteva tentarlo, gente che poteva incriminarlo. Lui non camminava spesso per le strade, e teneva le proprie lezioni sempre a pochi passi dal Po, per poter sparire senza lasciare tracce. E, infatti, non l'avevano mai preso.
Ma lo faranno, lo rimproverò suo padre, perché semini indizi ad ogni passo. Ti prenderanno, è solo questione di tempo, quindi datti una mossa!
I richiami di suo padre lo ferivano, ma erano giusti, sempre. Lui faceva quel che poteva con ciò che aveva a disposizione, perciò doveva necessariamente lasciare corde e ami sui luoghi delle lezioni, essendo le uniche cose di cui disponeva; e, ovviamente, c'erano le impronte, le impronte irregolari lasciate dai suoi piedi diversi. Avrebbero messo insieme i pezzi, prima o poi, magari avrebbero scoperto il cadavere del vecchio da cui aveva preso la barca ed il cappotto che indossava, ma lui sapeva cosa fare in tal caso, aveva un posto do
Capitolo 1
Mi chiamo Serena, ma è solo un nome, perchè la mia vita è tutt'altro che serena.
Ho 30 anni compiuti, lavoro come aiutante per le pulizie in casa, lavapiatti al ristorante. No, non è per quello che mi reputo non serena, certo se avrei un lavoro più stabile.. Ma pazienza.
Mio padre se ne andò di casa più o meno dieci anni fa, lasciò mia madre per una mora ventenne tutta curve che conobbe al bar dove si ubriacava spesso. Avevo un buon lavoro, ma mia madre cadde in depressione e io non stavo meglio e quindi persi il lavoro.
Da allora le strade per un buon lavoro si chiusero completamente, non ero mai stata molto fortunata nell'amore e nelle amicizie, ma le cose peggiorarono.
Un giorno, conobbi Andrea, un ragazzo molto carino.
Per un po' mi riusci difficile pensare di instaurare una relazione, mia madre aveva sempre più problemi, la sua depressione peggiorava, io volevo starle vicino e, un po questo e un po il fatto che mi ero quasi chiusa in un mondo tutto mio, non riuscivo a pensare a me stessa. Andrea sembrava paziente, dolce, fino ad una sera che accettai che mi accompagnasse a casa.
Al solito, mi disse che era giusto che pensassi a me stessa, che dovevo prendere una decione, che lo stavo lasciando aspettare un po troppo.
Poi si fermò molto prima di casa mia.
Io lo guardai, non capivo perchè avesse fermato l'auto, lui avvicinò la sua mano al mio viso, per un momento quella che pensai fosse dolcezza, mi fece piacere.
Ma d'improvviso, quella mano apparentemente dolce, scese fino al mio collo e mi immobilizzò.
Dalla sua bocca uscirono frasi che non scorderò, le trovai oscene.
Iniziò a mancarmi l'aria, stringeva forte, poi vidi l'altra mano avvicinarsi alla lampo dei miei jeans.. E li trovai tutta la forza di reagire.
Non fù semplice, perchè mi sentivo soffocare e lui era forte.. Ma in quel momento fui fortunata almeno, riusci a divincolarmi a colpirlo e riusci a scendere dall'auto e ad andare di corsa verso casa.
Il dottor, Ernesto Braghin, un quarantino alto e biondo, nato a Vicenza, se ne stava seduto nella sua poltrona, dintra l'ufficio al 4° piano della Procura della Repubblica, di Carratini, uno di quei tanti paisi siciliani, cà si affaciano sul mare azzurro e verdi come gli occhi suoi, da una muntagna a dirupo. Il paisi che non offriva molto, aviva però conservato quel fascino tutto suo, dell'entroterra della sicilia, che era del tutto diverso dai paisi e delle città che erano sul mare. - Il sostituto procuratore Braghin, era piecato in due supra un fascicolo: "Atti relativi all'omicidio del Prof. Rosario Barreca, di anni 55, avvenuto qualche settimana prima, in una afosa e sciroccata giornata di agosto, nella piazza principale di Carratini. Il professore Barreca, era stato sorpreso da due killer, mentre era seduto al tavolo del bar Roma che beveva un caffè".
Il dottor Braghin, aviva ben poco da studiari il fascicolo, dintra c'erano soltanto: uno scarno rapporto dei carrabbinera, indovi c'era scritto anche le poche indicazioni di testimoni prisenti all'omicidio, cà parivano divintati sordi, muti e distratti, come spesso accade in sicilia quannu avvengono fatti del genere; e allegate vi erano anchi delle littiri anonime, cosa che il dottor Braghin, sotituto procuratore, per sua indolenza non sopportava, e detestava sommamente. - Il delitto, come si diceva nel gergo, era di "quelli "pisanti", in quanto il professor Barreca, era un dei figli pridiletti di Don Tano Barreca, un vecchio boss mafioso e mammasantissima del paisi, che durante la sua vita, aviva fatto e disfatto a suo piacimento: racket, omicidi, droga, pizzo, ecc.. Anche il modo dell'ammazzatina, non lasciava dubbi: trattavasi di un omicidio mafioso in piena rigola, e apparentemente senza nessun movente.
Certo, che una cosa era vera: il professor Rosario Barreca, non faciva nulla per non farsi notare in paisi, questo almeno fino alla morte del fratello primogenito, avvenuto un frisco mat
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