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Racconti horror

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Il vecchio salice

Durante quell'anno lavoravo nella fattoria di Caramory. Venendo dalla strada la fattoria appare con il lato nord grigio e pieno di inferriate aldilà di un fossato e un filare di salici.
Un pomeriggio mentre lavoro nei campi vedo che il cielo è diventato rosso dietro alla fattoria. Bagliori rossastri si levano dietro alle stalle là dove sicuramente i pagliai hanno preso fuoco.
Corro gridando assieme agli altri braccianti ma oltrepassata la fattoria ci fermiamo allibiti.
Non c'è nessun incendio. Una aureola rossa color brace sorge a nord, dietro alla fila di salici.
Mentre osserviamo intimoriti lo strano fenomeno vediamo che l'aureola va rapidamente rimpicciolendosi. Il suo colore si va smorzando, diventa sempre più cupo, fino a lasciar intravedere il cielo celeste.
Una mattina all'alba sono svegliato da grida e rumore. Alcuni contadini camminano sbraitando sotto i salici piantati lungo il fossato che divide la strada dai campi. Corro anch'io sul posto per vedere cosa è successo.
Ci sono strani anelli bianchi sull'erba intorno a un salice. Sembra muffa o cotone.
Quando provo a toccarli noto la loro inconsistenza e ritiro le dita bagnate.
La gente intorno commenta e fa domande. Parlano sottovoce chiamandoli <<cerchi delle fate>>.
La stessa sera l'uomo venuto a prendere il latte avverte i contadini che un albero ha preso fuoco.
Ancora una volta percorriamo la riva del fosso. Si intravede un chiarore là in mezzo agli alberi.
Quando sono vicino vedo un albero che irraggia una luce smorta, un chiarore pallido e sfumato. É un salice comune, mezzo secco, con un ciuffo di rami verdi rivolti a nord. Restiamo lì a guardare fino a mezzanotte e siamo affascinati e sbalorditi.
Il pomeriggio seguente al calar del sole arriva gente a piedi, in bicicletta o con il carro, per vedere l'albero luminoso. Oltre ai contadini dei dintorni ci sono persone che non ho mai visto prima. Sono arrivati anche alcuni signori ben vestiti venuti appositamente fin qui dalla città.

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   1 commenti     di: sergio bissoli


Come i maiali

"Lei sta insinuando che io sto mettendo all'ingrasso mio figlio per...". Il signor Foster sembrava indispettito e divertito allo stesso momento. I suoi denti bianchi lo guardavano e Matt guardava i suoi denti bianchi.
'Si, è quello che sto dicendo', pensò Matt. Anche se adesso non ne era più molto convinto; anzi, iniziava a sospettare della sua stessa sanità mentale. Come gli era potuta venire in mente un'idea del genere? 'È solo uno dei tanti bambini obesi che popolano la nostra città anche se prima era magro come un chiodo e sorrideva sempre'.
Il poliziotto lo guardava con aria divertita. Aveva ricevuto una chiamata dalla stazione dieci minuti prima: bambino in pericolo o qualcosa del genere. Aveva acceso le sirene e si era precipitato sul posto. Ora si stava grattando la fronte, in evidente imbarazzo. "Signore, farò finta che questa chiamata non sia mai arrivata. Lo sa che potrebbe passare un brutto guaio se il signor..."
"Foster". Denti bianchi famelici.
"... se il signor Foster decide di denunciarla?" Il poliziotto guardò Matt. Il suo sguardo di comprensione era lo sguardo di comprensione che si rivolgeva di solito ad un pazzo, ad uno da rinchiudere, la tipica persona che vostra nonna affetta da uno stato avanzato di Alzahimer non ci penserebbe un attimo a definire 'strano'. Questo sguardo infranse per un momento tutte le convinzioni di Matt.
"Io... ecco...", aveva la gola secca. "Penso che... no, no, lasciamo stare, chiedo scusa, mi scusi tanto".
Matt si girò e tornò verso casa a testa bassa. Solo quando la porta fu chiusa alle sue spalle iniziò a provare un po' di sollievo e la convinzione di quello che aveva fatto (chiamare la polizia per denunciare un tentativo di omicidio) riprese vigore in lui.
Aveva le prove, e anche se non poteva dimostrare facilmente quello che il signore e la signora Foster avevano intenzione di fare a loro figlio... be, qualcosa avrebbe fatto. Aveva visto la metamorfosi del bambino, il suo corpo gonfiarsi di g

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MYSKI - Il mattino

Ho deciso di iniziare a scrivere la mia schifosa …
Si!!! La “mia schifosa”... la o il “MYSKI”, la definirò così quella frase.
Può essere interpretata come un’ ora, una settimana, un anno, una cosa, una persona o forse tutta la MYSKI vita e tutto ciò che sono costretto ad incrociare… sempre… ogni giorno.
Uno stress incredibile da nascondere continuamente, per non sembrare un malato di mente quale già appaio, causa di irrefrenabili istinti omicidi che non controllo.
In quei momenti perdo la ragione. Esco dal MYSKI corpo. Mi gira la testa e di colpo vedo tutte le cose e le persone di color rosso fino a sbiadire in un bianco che non mi fa vedere più niente. Non distinguo più nulla per qualche secondo e un brivido mi scende lungo le mani, fino a farmi tremare la punta delle dita. All’improvviso mi riappare tutto davanti, con la sola voglia di annientare e far sparire tutto definitivamente dalla MYSKI vista.
Finora questi istinti omicidi li ho controllati, ma domani? Chissà?
Aspettando domani continuo a scrivere…

Il “MYSKI” mattino!

Urla terribili mi sfondano i timpani. Stanno sgozzando due maiali con un coltello da trenta centimetri, appesi a testa in giù, agganciati al paranco per il nervo dello stinco.
Un frastuono incredibile causato da uno dei due porci che afferra con i denti il secchio nel quale sta scolando il suo sangue. Lo lancia contro il muro imbrattandolo di rosso. L’odore acre si spande in tutta la stanza.
Mi sveglio di colpo sobbalzando nel letto. Una goccia di sudore mi scorre dalla fronte scendendo sul MYSKI viso, fino a perdersi nella barba incolta di una settimana. La mano mi formicola, visto che ci ho dormito sopra una notte intera. Il cuore batte talmente forte che sembra non riesca più a contenerlo all’interno del torace. Le orecchie mi scoppiano… forse per la troppa pressione del sangue. Accendo la luce ed infilo un dito dentro l’orecchio per controllare che il sangue non stia schizzand

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Piccoli paradisi

Nelle mia passeggiate serali per favorire la digestione mi piace percorrere una strada di campagna nel paese di M***.
Anche questa sera cammino lungo questa strada solitaria, dove raramente incontro qualche contadino. Oltrepasso un ponte sul fiume ascoltando le rane che gracidano al tramonto. Più in là c'è una pompa arrugginita attaccata a un pilastro. Ancora più avanti, dopo una curva, passo davanti a una vecchia casa abbandonata.
È una casa grigia, lunga e stretta, con il fumaiolo smozzicato. L'intonaco scrostato lascia vedere i mattoni. Erbacce crescono tutto intorno e c'è un bidone appoggiato al muro. Una delle finestre è aperta e viene fuori odore di muffa e umidità.
Calpestando ortiche e calcinacci mi avvicino di più, per vedere l'interno semibuio. C'è un camino fuligginoso, una credenza marcita e uno specchio rotto. Forse una di queste sere entrerò dalla finestra per visitare anche le stanze al piano superiore.
La sera seguente percorro ancora quella strada e rimango più tempo davanti alla casa abbandonata. In quella solitudine mi imbevo del suo passato, assorbo momenti della sua storia.
Sono convinto che nelle vecchie case sono registrati e conservati gli avvenimenti che si sono svolti. Tutti i gesti della commedia della vita; i gesti tipici dell'amore, che sono stati ripetuti per decine di anni. Sicuramente le scene di vita familiare sono ancora impregnate in questi ambienti. Con un poca di sensibilità è possibile percepire le memorie dei muri, cioè i piccoli paradisi che sono racchiusi dentro queste stanze.
La sera seguente sto ancora camminando lungo la strada che porta alla vecchia casa. I giorni si accorciano e la luce del crepuscolo è più grigia e più smorta.
Quando arrivo davanti all'edificio in rovina la luce è ancora più scarsa.
Dalla finestra adesso vedo la stanza all'interno come se fosse piena di fumo. Ma non sento odore di bruciato. C'è una strana luce polverosa dentro alla stanza e in quella nebulosità si muovono a

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   1 commenti     di: sergio bissoli


Notturno

1.
L'odore dominante di quel locale sotterraneo era quello di muffa, ma piacevolmente lieve e per nulla stantio, quasi a ricordare l'originale funzione per cui le cantine erano state inventate. In quella, però, non vi erano rastrelliere piene di polverose bottiglie di vino o salumi allegramente appesi a profumare l'aria di intensi effluvi alimentari. I pochi oggetti presenti nell'ambiente erano un paio di sedie, un tavolino di formica e una strana cassa la cui oscura mole svettava in un angolo quasi completamente buio nella parte opposta del locale.
Sulla seconda sedia, quella non occupata da me, vi era una figura umana, polsi e caviglie strettamente assicurati da una corda e con la testa reclinata sul petto, inerte come fosse narcotizzata o priva di sensi. Ancora non dava segno di volersi svegliare, quindi mi assestai meglio sulla traballante e vecchia seggiola impagliata che occupavo e attesi.
Girai la testa verso l'unica feritoia che collegava quel locale ipogeo con il resto del mondo. In realtà la feritoia non dava direttamente verso l'esterno, ma su di un pozzetto in cemento che sbucava all'aria aperta un paio di metri più in alto. Un altro piccolo accorgimento, pensai, per rendere la sua tana ancora più sicura e inaccessibile al mondo esterno. Un lieve chiarore filtrava ancora da quell'angusto pertugio, ma stava velocemente scemando. Eravamo già oltre l'ora del tramonto e gli ultimi baluginii di luce solare stavano cedendo il campo all'oscurità della notte.
«C'è ancora tempo. » pensai e mi alzai per assicurarmi che i legacci fossero ben stretti e lo trattenessero alla sedia metallica senza che potesse avere alcuna possibilità di liberarsene. Se fosse successo, non sapevo cosa sarebbe stato di me, ma in quel momento ero convinto che non sarei sopravvissuto per scrivere questo resoconto.
In quegli ultimi attimi prima che il confronto iniziasse, ebbi un moto di dubbio per ciò che mi apprestavo a fare. Dall'inizio dell'impresa sapevo c

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   1 commenti     di: Fabrizio Piazza


Chi è più blue?

La notte, lungo le calli veneziane, puoi sentire solo te stesso, il lento e ovattato rumore dei tuoi passi sulle pietre, il tuo respiro, mentre l'umidità ti entra fin dentro il midollo.
Un uomo di mezz'età, dall'aria imponente e severa, cammina parallelo a un canale, fiero e implacabile, una quercia non piegata dal vento che si sta sollevando sulla città.
Sembra non andare in nessuna particolare direzione, indifferente alle sporadiche persone che incontra, all'improvviso rallenta fino a fermarsi, i suoi occhi attirati da una qualche improvvisa apparizione.
Seduta su uno scalino che dà sul canale c'è una figura, piccola e piegata su se stessa, che cerca di ripararsi con l'enorme zaino da quell'improvviso vento gelido.
L'uomo le si avvicina con circospezione: è una ragazza giovane, molto giovane, dall'aria smarrita.
Pare non accorgersi della sua presenza, finché lui non le parla.
- Si è persa, signorina? Ha bisogno di aiuto?
Si volta a guardarlo, non sembra spaventata da quell'enorme e improvvisa presenza maschile a quell'ora tarda, addirittura balena un'ombra di sorriso in quel volto pallido che contrasta con i capelli scuri, sporcato dal pesante trucco degli occhi che si è sciolto.
- In realtà non so dove andare... Ho speso quasi tutti i soldi per il biglietto del pullman e per un hamburger...
La situazione si fa interessante...
- Non conosce nessuno qui a Venezia che possa ospitarla?
- Veramente no... Non so nemmeno perché sono venuta qua. Una volta, anni fa, ci sono venuta in gita con la mia classe. Ero stata felice... forse per questo ho deciso di tornarci... ma non mi rendevo conto di quanto fosse cara...-
Nei suoi occhi appare un'ombra di malinconia, è sola, sicuramente fuggita da casa, infreddolita, eppure non sembra intimorita. Forse è abituata a quella vita, probabilmente è anche tossica.
Molto probabilmente...
- Quanti anni hai?
Ne dichiara diciotto, mente ovviamente... non può averne più di sedi

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   1 commenti     di: Sabrina Abeni


Winchester House

la Winchester House è una gigantesca villa situata a San Jose in California; essa fu la residenza di Sarah Pardee Winchester, vedova dell'industriale William Wirt Winchester che fu proprietario dell'omonima fabbrica di armi. Alla morte di quest'ultimo e della giovane figlia Annie, la donna, affranta e in preda ad una forte depressione, si convinse che la causa di tutte le sue pene fosse una maledizione lanciata su di lei e sulla sua famiglia dalle vittime delle armi Winchester. Sarah consultò un medium che le disse di lasciare la sua abitazione a New Haven ed andare ad ovest per costruire una grande casa per lei e per tutti gli spiriti dei morti caduti sotto i colpi delle carabine della famosa armeria, predicendole che sarebbe vissuta finché avesse continuato a costruire la casa. La vedova decise allora di edificare, con i soldi ereditati dopo la morte del marito, un grande chalet in cui avrebbe vissuto per il resto della sua vita e che avrebbe continuato a costruire fino al giorno della sua morte per placare gli spiriti. La casa, dovendo essere continuamente edificata, risultò colma di elementi architettonici bizzarri ed inutili: finestre che si aprono sul nulla, scale che non portano a niente, ascensori orizzontali, porte che finiscono sul tetto e molte altre stramberie di vario genere. I lavori, iniziati nel 1884 sotto la costante guida di Sarah Winchester, vennero eseguiti quotidianamente, 24 ore al giorno, 365 giorni all'anno per ben 38 anni, fino al 5 settembre del 1922, giorno della morte di Sarah, causata dalla peste, all'età di 82 anni.

Anno 1973. La giovane Allison, insieme a suo marito Adam e al loro figlio undicenne Colin, si erano appena trasferiti nella loro nuova abitazione, al 525 di S Winchester Blvd nel nord di San Jose in California; avevano ereditato questa strana villa di fine ottocento dopo la morte del ricco zio di Allison che gestiva la fabbrica di armi Winchester, conosciuta in tutta il mondo; la loro precedente abitazione era un pic

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   2 commenti     di: Francesco



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