Eravamo una famiglia felice, eravamo, adesso non lo siamo più. Mio padre è morto quando avevo sei anni e da quel momento la mia vita è stata un incubo; adesso ho dieci anni ma le cose non sono cambiate. Mi presento, mi chiamo Justin e vivo con mia madre in un piccolo paesino.
Una sera stavo facendo i compiti nella mia stanza, sembrava tutto normale, ma ad un tratto sentii delle grida, corsi spaventato in cucina e vidi mia madre che piangendo veniva portata via dai poliziotti, uno di loro mi si avvicinò e mi disse: "andrai in un collegio, mi dispiace".
Salii in macchina ma solo dopo aver fatto i bagagli; presi la foto della mia famiglia e pensai " che bella famiglia che eravamo, adesso è tutto distrutto" mi scese una lacrima che andò a finire su di essa, proprio in quel momento nell'auto entrò un assistente sociale che prese la foto e me la strappò in mille pezzi mentre rideva ero infuriato ma non aprii bocca, forse per timore.
Dopo un ora di viaggio la macchina si fermò davanti ad un edificio immenso era in pietra, una pietra antica, con ben venti finestre divise in file da cinque, notai un piccolo particolare, le finestre erano chiuse con le sbarre, questo mi face molta paura e mi faceva pensare che in quelle stanze accadessero cose orribili! Mi incamminai verso l'entrata; li ad aspettarmi vi era un vecchio signore. Aveva la faccia sgorbia e gli mancava un occhio. Mi fece molta paura; tutto mi faceva paura. Il vecchio mi prese per il braccio e mi portò in una stanza dicendomi: " Questa è la tua schifosa stanza, stupido bambino ih ih ih... ci vediamo alle sette per la cena e vidi di essere puntuale e... stai attento ai fantasmi ih ih ih". Quella risata era aghiacciante e al solo sentire la parola fantasmi mi si gelò il sangue; mi girai e vidi dei bambini dietro di me a cui dissi: " fa-fa-fa fantasmi? Qui ci sono i fantasmi?" uno di loro mi rispose: " si! certo come no, qui è pieno di fantasmi. Buu!!" Io saltai sul letto dallo spavento e tutti si mise
In quel giovedì mattina di settembre la brezza autunnale spirava e rendeva l'atmosfera rilassata. Mark camminava solo nel parco di fronte a casa sua. Nulla lo turbava. Si accese una sigaretta e si avviò per il lavoro. Scese le scale che lo avrebbero portato tra la ressa e tra i binari. La metropolitana era una città a parte. Ci trovavi chiunque, qualunque cosa. A Mark non piaceva molto; se non altro era veramente veloce e si evitavano gli ingorghi cittadini. Entrò nel mezzo che portava a Fulham. Si sedette in un sedile qualunque. Accanto aveva un uomo magrissimo, con gli occhi fuori dalle orbite. Tremava, aveva i vestiti laceri, e piangeva. Faceva davvero pena. Quando la carrozza si fermò, l'uomo si alzò di scatto, lasciando sul sedile un orologio d'oro zecchino. Davvero bellissimo. Mark urlò: "Signore! Signore! Il suo orol..." Non finì la frase perchè tanto l'uomo era ià sparito. Decise di tenerselo. In fondo, nessuno aveva assistito alla scena. Arrivò a lavoro. Nascose il suo nuovo orologio nella ventiquattrore e cominciò a dedicarsi alle mansioni lavorative. Quel giorno non aveva un granchè da fare, e per le 17, fu di ritorno a casa. Quello di Mark era un bel loft che dava sul Tamigi. Glielo invidiavano in molti. Grandi vetrate lucide, cucina di un blu laccato molto elegante, salotto esotico con enormi divani panna, due bagni luminosi con tutti i comfort e due camere da letto. Una delle due camere serviva da sgabuzzino; dato che Mark aveva solo qualche saltuaria relazione, una camera da letto bastava e avanzava. L'idea di avere una famiglia lo turbava. Si era quasi dimenticato dell'orologio. Accese la tivù e si mise un film. Si addormentò per mezz'ora e si svegliò alle 7. Decise di mettere su la cena. Preparò delle uova strapazzate. Non era male in cucina. Ad un tratto sentì un rumore. Poi nulla. Dopo un secondo altri due colpi. I suoi vicini non erano tipi da fare casino. Non ci fece caso. Mangiò di fretta la sua magra cena e si rimise sul div
[continua a leggere...]Siria strinse la mano al vecchio collega che ammiccò un sorriso alla bambina.
"Ora io ed Alys ce ne andiamo di la a parlare un attimo!" Disse ai tre.
"Vai amore! Vai con lui! È importante!" Sussurrò la madre.
Jacob non disse niente. Si limitò ad osservare la scena.
Sua figlia prese la mano di quel collega della mamma ed andò in un'altra stanza.
"Hai visto? Non ha fatto problemi Alys!" Siria disse rivolgendosi al marito.
"Strano! Con me è così silenziosa!" Pronunciò.
"Non so quanto quel tuo collega riuscirà a tirarle fuori; sempre ci sia qualcosa da tirare fuori." Concluse.
"È molto bravo credimi! L'ho visto all'opera e con i bambini ci sa molto fare." Sottolineò Siria.
Il dottor Albert Swan si presentò ad Alys con un ulteriore sorriso; non prima d'averla fatta mettere a sedere comoda di fronte a lui.
"Allora Alys! Come va?" Chiese.
"Questa sarebbe la prima domanda dottore?" Rispose.
"Ops.!! No.. era per metterti un attimo a tuo agio!" Gli disse.
"Prima di iniziare con le domande!" Concluse.
"Io sono a mio agio e lei?" Alys lo squadrò da capo ai piedi.
"Oh.. simpatica! Io sto benissimo! Ok.. vuoi una caramella? Qualcosa?" Le chiese.
"Alys guardò il vasetto pieno di caramelle ed aggiunse:
"Non accetto caramelle dagli sconosciuti!"
Il dottore parve trasalire un attimo.
"Va bene! Va bene! Dedichiamoci dunque a questa chiacchierata.
Tu lo sai perché sei qui vero?"
"Dottore!" Disse La bambina.
"Si?"
"Se continua così andiamo poco avanti! Se io so perché sono qua?
Forse perché la notte non riesco a dormire; forse perché certe notti ho febbre altissima, ma i miei non sempre se ne accorgono?
Forse perché proprio ieri ho sanguinato così tanto che sembrava il Nilo, mi pare di ricordare; quando una piaga lo colse! Ma non vorrei sbagliarmi"
Finì e gli piantò un sorriso.
Il dottore traballò dalla sedia.
"Quanti anni hai scusa?" Le chiese.
"Guardi nella cartelletta se non
Sulla provinciale per Anfin c'è, nascosta dai cespugli di sanguinella, una stradina bianca in discesa.
Quando la vidi per la prima volta mi sembrava di conoscerla già, di averla percorsa in una vita precedente.
Nella sera di fine estate il sole tramonta in un lago di sangue. Nelle fattorie buttano in aria il mais con le pale per liberarlo dalla pula. Le stoppie si levano nei campi dentro vortici di vento.
Poi all'improvviso il vento si quieta. Il sole manda i suoi raggi in uno scintillio di luci. Pesanti tendaggi rosso cupo e nubi a forma di capelli si stendono nel cielo.
Un gregge di pecore e capre avanza fra il rumore dei campanacci. Davanti c'è un pastore vecchissimo, alto e barbuto, che cammina appoggiandosi ad un bastone.
"Buonasera. Dove porta questa strada?" chiedo.
Senza parlare indica col bastone una targa arrugginita: "Località Vignalon".
La polvere sta sollevata nella stradina serpeggiante fra i fossati. Qui la campagna si fa più immensa, mi sovrasta nella sera stregata. Discendo per la stradina, e subito mi pento di averlo fatto, ma solo per poco.
Ancora la campagna nella sera infinita. Arrivo a un bivio e giro a caso verso destra.
La strada diventa stretta, tortuosa. Tutto si va incupendo adesso. Dopo una salita arrivo su un ponticello.
É tutto così strano stasera. Il fiume compie anse e giravolte, prima di perdersi nel folto.
Laggiù dopo una lunga curva c'è una donna con i capelli bagnati in piedi sulla riva, e guarda l'acqua.
É solo un'illusione, mi accorgo poco dopo. Si tratta di un salice contorto e una lapide piantata proprio sulla riva. Mi fermo a guardare; sulla lapide coperta di licheni si legge appena un'iscrizione: Sonya Greeder n. 1844 - m. 1863.
Guardo dietro di me il ponte di mattoni, il bosco di pioppi. Proseguo ancora
La strada si restringe e diventa un sentiero.
Le prime case che vedo sono fattorie grosse e senza segno di vita. Aie desolate.
Rumori e cigolìi mi fanno voltare di scatto. Un secchio rotola da solo
Non appena il Rabbi Josef cominciò ad attraversare il maestoso ponte Carlo, il sole, una grande sfera arancione bassa nel cielo, s'infranse contro l'imponente sagoma del castello. Josef non poteva vederlo perché in quel momento procedeva con il tramonto alle spalle, ma gettò lo sguardo alla sua sinistra e mantenendo un'andatura costante osservò lo strabiliante gioco di colori riflettersi nel letto placido della Moldava.
Non c'erano molte persone in giro a quell'ora, ma le poche che incrociava chinavano la testa in segno di saluto e rispetto. Josef rispondeva distrattamente, concentrato sul rito che avrebbe avuto luogo quella sera stessa. Quella notte la città di Praga era nelle sue mani, sebbene poche persone se ne rendessero conto. Il rito del sangue malvagio avrebbe placato la sete di vendetta del loro protettore.
Quel giorno ricorreva la morte del famoso Rabbi Löw, colui che per una vita si era battuto per il benessere e la sopravvivenza degli ebrei di quella città. Colui che per il bene di tutti aveva creato la vita dal nulla, dominando i quattro elementi e modellandoli in un uomo d'argilla.
Josef sorrise al pensiero che quell'essere conosciuto come il Golem un tempo si muoveva per il ghetto con il suo stesso nome: Golem Josef. E lui quella notte avrebbe saziato la sua sete.
Una volta superato il ponte svoltò a sinistra e seguendo il corso del grande fiume procedette verso il ghetto. Di solito non prendeva quelle strade, piuttosto avanzava fino alla torre dell'orologio per poi proseguire verso la sinagoga, ma quel giorno aveva bisogno di concentrarsi e scelse delle stradine secondarie, poco trafficate e buie.
Passò dietro il Bethchajim, il vecchio e sacro cimitero ebraico, e quando arrivò alla sinagoga Vecchia Nuova il cielo si era fatto scuro.
All'ingresso non c'era nessuno. Scese i gradini che portavano alla sala principale ed entrò nel luogo sacro più antico della città.
La sinagoga Vecchia Nuova aveva quasi mille anni di vita. La su
Mi alzai dallo sgabello senza sostenere gli occhi del mio interlocutore, avvolta in un velo di indifferenza verso ciò che avevo intorno. L'affare era fatto e almeno mi ero tolta un bel problema. Le chiavi dell'appartamento erano già nella borsa, pronte per l'uso. L'agente immobiliare mi strinse la mano col solito sorriso di circostanza associato a una non tanto celata contentezza per l'affare appena concluso.
Avevo scelto, a dirla tutta anche per l'aspetto economico, una piccola palazzina collocata al confine tra città e campagna e collegata ad una stradina polverosae dissestata ma piuttosto vicina all'autostrada. Il posto in sè non dava molto
spazio a salti di fantasia, non ispirava granché l'immaginazione ma era alquanto tranquillo, anche troppo. "Un po' isolato", pensai subito. Di altri palazzi ve n'erano ma non nelle immediate vicinanze. Il primo si ergeva a cento metri a destra per poi finire in un filare ordinato e omogeneo di altre palazzine dove, volendo, si sarebbe entrati in città a piedi nell'arco di un quarto d'ora. A sinistra e di fronte altri palazzi, moderni e dalla collocazione discontinua e più o meno adiacenti alla stradina. Un ambiente piuttosto banale che si sarebbe potuto confondere con qualsiasi altro luogo di periferia. Su tutto aleggiava un'aria di greve sonnolenza come se cose, persone, animali non vivessero davvero nella realtà ma in una sorta di dimensione parallela fatta di rumori attutiti e di eteree presenze. Tutta presa da questi strani pensieri, arrestai la mia vettura dietro alla palazzina in cui si trovava una piazzola per il parcheggio. Vi girai intorno con lo sguardo e notai alcune crepe che squarciavano l'intonaco grigiasto delle mura. Possedevano un insolito fascino e anzi donavano alla struttura una certa aria di decadenza misteriosa come nelle più belle ville descritte nei racconti di suspence. Eccomi arrivata all'entrata principale. Essa si presentava con una normalità sconvolgente: la facciata g
“Era una notte buia e tempestosa...” ... Uffa!
Erano ormai le due di notte e Theodore non riusciva a trovare un buon racconto horror per concludere la lunga giornata. Si era meticolosamente preparato per la sera successiva: tradizionale cena con amici a casa di Francoise e di seguito l’immancabile seduta spiritica... per impressionare le bimbe e farsi bello con Sharon. Stavolta però avrebbero fatto le cose in grande stile. Fremeva all’idea e spense la luce ricapitolando un’ultima volta tutti i punti che avrebbero scandito l’indomani.
Fu da manuale... Tutta la banda da Francoise. Mare e bagni a ripetizione, dalla mattina al primo pomeriggio. Ricca merenda e tornei di ping-pong... quindi a darsi una ripulita veloce per la cena e corsa ai posti della tavola imbandita.
Era un appuntamento fisso delle vacanze estive a Little Oak. Anzi, era l’appuntamento che sanciva l’inizio del periodo preferito di ogni adolescente: l’Estate.
Terminati gli obblighi scolastici la ridente località turistica ospitava villeggianti provenienti da varie parti del paese. Theodore e Jerry erano i primi a presentarsi, abitando in una città poco distante; di lì a poco giungevano poi Sam con la sorella Simone ed i loro cugini, Tom, sempre con i suoi invernali chili in più, e Christine, per gli amici Cri.
Era poi la volta di Dusty e di Phil, quindi Sharon. Francoise e Jennifer, sorelle, vivevano a Little Oak tutto l’anno.
Il compleanno di Francoise, la cena a casa di Francoise. Scherzi giochi e risate... e la seduta spiritica. Ma stavolta, stavolta avevano organizzato una gran cosa.
Sam, Phil e Tom erano arrivati alla casa la sera prima, dal mare, di nascosto. Sotto l’apposito tavolo, nel boschetto di pitosfori, avevano messo per terra delle pietre. Le avevano legate, con del filo da pesca, a dei rami delle piante di pitosforo vicine. Così, durante la seduta, al comando “dacci un segno”, Jerry, con le pietre legate di nascosto alle caviglie, avrebb
Questa sezione contiene storie dell'orrore, racconti horror e sulla paura