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Racconti horror

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Buon vicinato

L'edificio era in netto contrasto con tutto quello che lo circondava, sembrando più vecchio di almeno cinquant'anni rispetto a ogni altra costruzione e dando l'impressione che nessuno si occupasse della sua manutenzione da parecchio tempo. In compenso gli affitti erano molto bassi, come è ovvio che sia per un rudere del genere, e sfortunatamente era tutto ciò che potevo permettermi di pagare. Appena varcato l'ingresso, l'anziana padrona di casa, una donna grassoccia dall'aspetto non molto rassicurante, mi si avvicinò offrendosi di accompagnarmi fino al mio nuovo appartamento. Arrivati al quinto piano, l'anziana donna mi consegnò le chiavi e mi fece le ultime raccomandazioni, portandosi via una buona ora del mio tempo. Poco prima di andarsene mi guardò negli occhi, sorridendomi in modo piuttosto strano, quasi ghignando. "Sono sicura che ti divertirai qui". "Non fare troppo caso ai rumori." mi disse uscendo velocemente dalla porta e non lasciandomi neppure il tempo per chiedere a quali rumori si riferisse. Andai a letto di buon ora, il trasloco mi aveva distrutto. A mezzanotte in punto dei forti rumori, come di violenti colpi su un tavolo mi svegliarono. Incuriosito, ascoltai meglio e capii che proveniva dall'appartamento di fronte al mio. Aspettai qualche minuto dopodiché, esasperato, decisi di uscire sul pianerottolo e andare a dirne quattro a quell'idiota che si era messo a fare casino in piena notte. Il nome sul campanello diceva che la casa apparteneva a un certo signor Hoffman. Bussai alla porta e questa si rivelò inaspettatamente aperta. Siccome non ottenni risposta alcuna decisi di entrare, giusto per controllare che tutto fosse a posto. Percorsi il corridoio fino ad arrivare nella cucina, dove mi si palesò la fonte dei rumori. Il signor Hoffman stava facendo a pezzi con una mannaia il corpo ormai senza vita di una giovane donna. Accortosi della mia presenza, l'uomo si girò verso di me. "Lei deve essere il nuovo inquilino". Perdoni se non le stringo

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   0 commenti     di: max


L'INSETTO

Stava lottando contro le larve.
Un insetto aveva proliferato dentro l’armadietto in cui teneva gli alimenti per la co-lazione e così, non senza riluttanza, si stava dando da fare ad aprire barattoli e sac-chetti nella speranza di trovare il nido. Con la faccia contratta in una smorfia, osser-vava i minuscoli vermetti bianchi strisciare lungo le lisce pareti di legno alla ricerca vana di una via di fuga. Non potevano essere sbucati dal nulla, eppure non riusciva ad individuare la fonte del loro sostentamento. Biscotti, caffè e zucchero parevano in buono stato, ed anche il miele non era stato intaccato.
Poi la sua attenzione cadde su una confezione di barrette di crusca abbandonate lì da chissà quanto tempo. Le tolse dall’involucro e notò che la plastica che le contene-va, in alcuni punti, era come lacerata, corrosa. Non riuscendo a spiegarsene il motivo, scosse la testa e cominciò ad esaminarle una ad una. All’apparenza sembravano intatte, ma quando spezzettò la prima si accorse che conteneva un inaspettato ripieno.
Una manciata di vermetti bianchi comparve sul tavolo tra le briciole e prese ad e-spandersi a vista d’occhio. Le larve si districavano le une dalle altre e si davano alla fuga in ordine sparso, come se fossero consce del pericolo incombente su di loro. Per un istante rimase ad osservarle, affascinato dal loro istinto di sopravvivenza, poi corse in ripostiglio e fece ritorno con una spugna ed il flacone dell’alcol etilico.
Dopo aver riempito d’acqua il lavello, cominciò a raccogliere gli insetti con fare meticoloso. Passò la spugna sul tavolo, sui ripiani e lungo le pareti dell’armadietto. Quando la sua mano incombeva su di loro, i vermetti si raggomitolavano su sé stessi in un estremo tentativo di difesa. Era stupefacente guardarli. Per quanto fossero piccoli?" degli esseri che racchiudevano forse una manciata di cellule?" sembravano perfettamente consapevoli della morte e facevano di tutto per sfuggirla.
Affogò l’int

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   3 commenti     di: Filippo Fronza


Il fantasma di Paola

Quando avevo l'età di 18 anni con i miei genitori abitavamo in un palazzo del vecchio borgo di napoli, una zona molto antica, anzi storica.
Si stava bene li, avevo amici, le ragazze e tutte le comodità urbane vicine, fino a quando mio padre per motivi lavorativi decise di cambiare casa per trasferirci in periferia.
Io ero molto deluso della situazione che si creò, ma in fondo non sarebbe stato drammatico anche perchè comunque mi sarei trovato in provincia, non molto vicino ne molto lontano.
Arrivato il fatidico giorno venimmo seguiti dal camion dei traslochi fino a casa nuova, quando arrivammo ne rimasi stupito da quello che vedevo.
Una bellissima villa a tre piani incredibile e nel giardino anche una piscina, bellissimo.
I miei rimpianti cittadini svanirono subito a quella vista, mentre esploravo il giardino udii provenire dal recinzione in ferro una voce femminile che accennava con esclamazioni mi per farmi avvicinare, infatti colse la mia attenzione.
Mi affacciai e vidi una ragazza che tentava di affacciarsi sulla villa aggrappandosi sulla recinzione, io la vidi e gli chiesi con aria sorpresa cosa stesse facendo, e lei mi rispose che era curiosa nel vedere chi fossero i nuovi vicini.
Uscii dalla villa e mi recai sul retro per incontrarla e conoscerla da vicino. Mi presentai
e a sua volta anche lei lo fece con modi molto garbati, si chiamava Paola e disse che abitava nella villa accanto indicando con la mano l'abitazione.
Dopo un paio di minuti a conversare mia madre mi chiamò per aiutare nello sfratto, mi congedai da lei e mi diressi sul davanti della villa mentre Paola disse che la sera sarebbe passata di nuovo.
Mia madre mi domandò con aria sospettosa dove mi trovavo e le risposi che ero sul retro della villa e avevo fatto una nuova conoscenza, le spiegai il tutto poi tornammo a portare dentro mobili e il resto delle cose.
Stette una giornata alquanto lavorata, mi recai in bagno per farmi una lavata e rilassarmi un po, indossai dei pantaloncin

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   2 commenti     di: gaetano


L'edificio

-Quando sono arrivata qui, non era come ora- diceva a tutti "La Pazza" , una vecchia, curva, di cui tutti, persino lei, ne ignoravano l'età e che viveva da sola.
Aveva il corpo ricoperto da strane ferite e graffi profondi ormai cicatrizzati, che avevano contribuito a darle quel soprannome.
Era rimasta vedova da tanti anni, ma aveva avuto una bambina, che giocava quel giorno, vicino all'edificio appena costruito dove erano arrivati tanti nuovi amici.
E non era più tornata.
I bambini, si sa, inventano le cose, ma "Il Rosso" sembrava convinto di quel che diceva e piangeva disperato davanti ai poliziotti e alla madre che, arrabbiati, gli dicevano di dire la verità.
La verità era quella: l'aveva presa l'Edificio!
Veniva chiamato così quello stabile di cinque piani costruito nel dopoguerra.
In quegli anni, poche erano le persone che avevano visto un simile mostro d'acciaio e cemento poiché arrivavano quasi tutti dalla campagna in cerca di una situazione di vita migliore in fabbrica, in città.
Erano abituate a grandi cascine con molte stanze, dove abitavano più famiglie e dove, per avere acqua, dovevi andare al pozzo, fuori in cortile.
In città ogni famiglia aveva la propria abitazione e l'acqua arrivava direttamente in cucina, dal rubinetto.
Quasi una magia.
Dove avevano costruito l'Edificio, c'erano i resti carbonizzati di un antico rudere, circondato da grandi campi coltivati, ma all'improvviso, tutto fu recintato e ci furono scontri fra i proprietari terrieri e le forze dell'ordine.
C'era un mandato della contea e non si poteva discutere.
Lì sarebbe nato un palazzo di cinque piani e avrebbe dato rifugio alle famiglie dei venti nuovi operai che avrebbero iniziato a lavorare alla grande fabbrica della città!
Era stato messo ai voti democraticamente.
I più anziani, li avevano avvertiti, quelli là, i capi cantiere, di non fare niente... loro non sapevano... non erano del posto.
Ma veniva riso loro in faccia dicendo che le superstizioni non po

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   0 commenti     di: maida


Colt

-No ti prego no lasciami - Ramona era terrorizzata da quello che le si presentava davanti, -ti ho detto di starmi lontano-, disse urlando con tutta la forza che le rimaneva. Quello che fino a pochi minuti prima le era sembrato l'uomo della sua vita era in piedi davanti a lei, con un coltello da bistecca in mano. -dai baby, non fare la difficile con me, so che mi vuoi- la sua voce era completamente cambiata come se fosse un'altra persona, Ramona ne era terrorizzata, pensava a tutti i bellissimi momenti passati con lui e le sembrava impossibile quello che stava accadendo, -Mattia ti prego- della lacrime rosse cominciarono a rigarle il viso -guardami ti prego sono io Ramona- disse in preda al dolore -cosa credi che mi sia rimbambito?- replicò lui -certo che so chi sei, è proprio per questo che voglio ammazzarti- alla fine delle sue parole rise di gusto, come lei non l'aveva mai visto ridere, era sempre stato un tipo cupo ma a lei piaceva così -ti prego, amore..- -amore un cazzo cosa credi che non sarei mai venuto a sapere delle tue scappatelle con marco? Eh?- gli occhi di lei si dilatarono, il suo viso perse del tutto colore, allora sapeva, tentò di nascondere l'evidenza -no, no, non è vero niente io.. io non ti ho mai tradito- -puttana- la interruppe lui -hai anche il coraggio di mentire così spudoratamente?- furioso le si gettò addosso col coltello puntato alla gola, Ramona riuscì a spostarsi di lato e a coprire la gola così che non potesse sgozzarla, ma il colpo andò a bersaglio lo stesso, le usciva del sangue dalla spalla, non riusciva più a muoverla -lurido stronzo figlio di puttana- urlò lei, ma quel dolore lancinante l'aveva riportata alla realtà, doveva scappare da lui e cercare aiuto -non pensare di scapparmi lurida puttanella- ora anche la sua faccia era deformata in una specie di ghigno -Ramonaaaaa dove sei?- si era nascosta dietro il divano, fortunatamente aveva fatto di testa sua e lo aveva comprato, se avesse dato retta a lui non sarebbe

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   2 commenti     di: mattia dezi


Sogno di Tenebra

Oscurità. Era l’unica cosa che i suoi occhi riuscivano a raggiungere con lo sguardo. Buio, nero, le tenebre più totali e nient’altro. Sbirciando da sotto le coperte solo un infinito nulla alla sua vista. Un atroce incubo l’aveva destato in piena notte, ed aveva impiegato qualche attimo a rendersi conto di essersi svegliato, a riprendere il controllo e a ricacciare il panico in fondo allo stomaco. Ma si era davvero svegliato? Ora che non riusciva a trovare un punto di riferimento nel vuoto assoluto che gli si parava davanti, non ne era più tanto sicuro. Si infuse coraggio e si sforzò di pensare con razionalità: era notte e di notte l’oscurità è normale. Ma quella in cui si trovava immerso adesso la normalità non la sfiorava nemmeno; non un solo raggio di luce attraversava la finestra, come se la luna e le stelle avessero deciso tutto ad un tratto di spegnersi.
Decise a quel punto che era il momento di agire, non poteva sopportare quella situazione, doveva fare qualcosa, insomma doveva accendere una luce. Ma come? Si mise a sedere sul letto, ma il buio lo terrorizzava a tal punto che non riusciva a pensare, a trovare una soluzione. Continuava a fissare la finestra?" o dove la finestra dovrebbe essere stata?" e maledicendo le nuvole che, secondo la spiegazione che si era dato, oscuravano il cielo stellato, e l’isolata campagna circostante, che non presentava neanche un semplice lampione. E allora il panico e gli incubi che l’avevano fatto sobbalzare nel cuore della notte gli tornarono prepotentemente in testa: visioni di demoni, di atrocità, di sangue, di puro terrore; ed ora il pensiero che tutto questo gli era intorno, pronto a sopraffarlo col favore delle tenebre, centuplicava la folle paura che aveva provato in sogno.
Si prese il capo tra le mani e si costrinse a scacciare quegli orribili pensieri, concentrandosi esclusivamente su di un modo per far luce. “Sciocco!” si disse “la lampada sul comodino!”, ed un sospiro di sollievo ri

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   2 commenti     di: Dario Lo Cascio


Il guardiano notturno

Ho ottenuto il posto di guardiano notturno a motivo della mia malformazione alla gamba. Un altro tizio aveva raggiunto un punteggio più alto del mio, ma all'ultimo momento ha rinunciato all'incarico.
Così eccomi qui, completamente solo, in questa fabbrica di verdure conservate. Sono le 1 e 45 di una notte di novembre. Stando dentro alla guardiola sento dei rumori in lontananza. Sono colpi ripetuti a volte forti a volte appena percettibili.
Decido di fare un giro di ispezione nel magazzino.
Il magazzino è un locale sopraelevato pieno di scatole, pile di lattine, una basculla e un montacarichi... Fuori dalle finestre il vento fa oscillare la lampadina sul cortile affossato, pieno di botti. Le lance in ferro del cancello creano ombre dentate. La fabbrica è vecchia e avrebbe bisogno di riparazioni.
Intanto il rumore è cessato. Dopo un po' riprende di nuovo.
Entro nella sala del lavaggio e cammino sul pavimento allagato. Alla cruda luce delle lampade vedo tutto in ordine. I lunghi tavoli di smistamento, la caldaia nera. Il nastro forato per calibrare le cipolle, la trancia per le carote, rape, cetrioli... Tutto è immobile e sembra abbandonato per l'eternità. C'è freddo e silenzio qui dentro. Il rumore sembra provenire da più lontano.
Apro un'altra porta e scendo giù per ispezionare le cantine. La fila di lampadine sotto il soffitto rischiara l'ambiente basso e umido, pieno di botti. Silenzio opprimente. Forte odore di salamoia.
Quando apro la porta della cantina successiva sento rumore di passi e un respiro profondo. Tiro fuori la pistola e faccio scattare l'interruttore delle luci gridando: "Chi va là?"
Con precauzione cammino fra le botti. Non c'è nessuno qui. Penso che forse ho sentito male o forse saranno stati i topi.
Improvvisamente sento una corrente di aria fredda sulla schiena. Mi volto di scatto. Nulla. La porta dietro è chiusa.
Apro la porta successiva ed entro nel deposito dei tini per l'aceto. I tini alti sui piedistalli torreggiano sc

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   4 commenti     di: sergio bissoli



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