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Racconti del mistero

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FRANK... liberamente tratto da...

Potrei passare la vita ad osservare i colori e le vicende che scorrono in queste strade popolate da artisti e ciarlatani, dove i profumi delle spezie provenienti da ogni parte del mondo, si mischiano alle voci, ai baci profusi a centinaia, a questi marinai appena attraccati. Vedo sacche trascinate stancamente e abbracci e pacche sulle spalle, saluti calorosi della mia gente. Ci chiamano xeneizes qui, esattamente come dall’altro capo dell’Oceano, nella nostra Zena.

Quello che non vedo e non vedrò mai più è il sorriso di Frank, mio amico, mio fratello, ora mio angelo se davvero esiste un cielo.
Lo ricordo ancora quando lo incontrai su quella nave. Eravamo entrambi imbarcati come mozzi per la compagnia Allan di ritorno dal Canada. Non si stancava mai Frank, anche quando noi tutti eravamo provati dai lunghi mesi passati con la solitudine del mare, lui sorrideva ancora e lavorava duro.
Lo persi di vista quando arrivammo allo scalo di Dublino. Io trovai subito un passaggio per raggiungere la mia famiglia e lui proseguì con un gruppo di marinai in cerca di un alloggio e di un buon bicchiere di Guinness.

Quando lo rividi, parecchi mesi dopo, stentai a riconoscerlo. Vestiva abiti da civile e aveva tagliato quei capelli scuri che tanto piacevano alle ragazze. Era scavato nel volto e nell’anima. I suoi occhi neri sembravano persi in una interminabile burrasca. La barba copriva la bocca, ora non più aperta in un sorriso caldo e sincero e le parole, prima sempre profuse a voce squillante, restavano imprigionate nelle labbra serrate.
Lo salutai ma non chiesi niente della sua vita. Tornai di lì a poco con una coperta e del the caldo, poi tornai ai miei servizi. Per giorni e giorni ripetemmo questo walzer di silenzi. Frank guardava il mare, io mi prendevo cura di lui.

Fu soltanto quando intravedemmo da lontano la costa dell’ Argentina che si decise a parlarmi. Gli portai l’ormai rituale tazza di thè. Lui mi guardò con tutta la malinconia che un u

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   0 commenti     di: Laura Defendi


Tosse

Non riusciva ad individuare quale fosse la chiave d’ingresso, troppo simile alle altre del mazzo; o forse la sua vista era troppo annebbiata. Le grosse dita afferrarono una per una le singole chiavi, nella speranza che il tatto lo aiutasse a trovare quella giusta. I riflessi lo rallentavano. Un colpo di tosse gli scosse il petto, seguito da un altro ancor più violento e¿  rumoroso. La respirazione si faceva affannosa, ansimante. Si resse al pomello esterno della porta, sentiva le gambe cedergli e se fosse caduto nessuno lo avrebbe aiutato a rialzarsi. Tentò con una chiave. Non era quella giusta. La infilò bruscamente nella toppa tanto da incastrarla, per fortuna con uno strattone riuscì ad estrarla. Goccioline salate iniziarono ad imperlargli la fronte. Respirava a fatica. Sudava.
E tossiva.
Finalmente la chiave girò, gracchiò nella serratura e, accompagnata da un cigolio sinistro, la porta si aprì dinanzi a lui. Una sciabolata di luce, proveniente dal freddo neon del ballatoio esterno all’abitazione, squarciò il buio dell’ingresso. L’uomo richiuse la porta dietro di sé e l’oscuritÿ  inghiottì di nuovo la stanza.
Tossì.
Avanzò a fatica, reggendo la propria stanchezza sulla spalliera di una vecchia sedia sfondata, appoggiata ad un tavolo al centro della stanza. L’interruttore non funzionava. Ma no, ricordò che la luce l’avevano staccata da un pezzo. L’unico segnale di vita era il suo respiro affannoso, faticoso, stanco. Si trascinò verso il divano dove sprofondò poco dopo.
Tossì.
I colpi di tosse erano come tuoni che squassavano un’atmosfera di morte, di solitudine disastrata, di esistenza che rubava giorni senza senso. Non riusciva a respirare, la tosse lo tramortiva; picchiava duro nella sua testa, gli infuocava la gola. Già , gli infuocava la gola. Forse è per questo che ogni giorno se ne andava in quel lurido bar a consumare qualche goccia di fuoco liquido, malsana estasi, piacere proibito e violento. Quel basta

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LA FONTANELLA

LA FONTANELLA


La salita era ripida. Maledettamente ripida. Al termine di essa si arrivava sempre con un nodo in gola, sia che si faceva a piedi, sia in macchina. Sembrava un'espiazione ai nostri peccati. Il cancello semi aperto era lì, davanti a noi. Il mondo dei morti ci attendeva nel nostro viaggio quotidiano. Accanto, a circa quattro passi, c'era la fontanella. L'unica fonte di vita di quel luogo.

La cappella stretta era il nostro luogo di preghiera e di lacrime. Un bacio alla foto, ricordi che si rincorrono in una giostra di emozione e di rimpianti. Troppo giovane per morire in un giorno di Maggio, troppo poco è il tempo che è passato dall'ultimo bacio.
Conto solo nove anni della mia vita, ed ancora non ho capito cos'è la morte. Forse è un viaggio, dove si sa quando si parte, ma non si sa quando si torna. Forse è un sogno, dove non ci si sveglia mai. Forse domani tornerai. Forse. Forse mai.

Fuori dalla stretta cappella, c'era un balconcino che dava sula campagna sottostante.
Eravamo nel punto più alto del paese. In fondo si vedeva il lago, il Trasimeno. Le case mi sembravano finte talmente erano piccole ai miei occhi. Cercavo la casa dei nonni. Eccola e lì, un puntino bianco nell'immenso verde della campagna umbra.
E da lì immaginavo la vita di tutti i giorni dentro la casa. Il nonno al lavoro tra i campi, la nonna in cucina a preparare il pranzo, mia cugina nella sua camera a giocare con le bambole, mio fratello con il vecchio motore del nonno, i cani che si rincorrono, mentre il più piccolo dei miei fratelli era qui con noi che teneva la mano di mia madre. Aveva solo tre anni.
I fiori, colorati, profumati, simbolo di amore. Eterno amore. Bisognava cambiare l'acqua nelle brocche portafiori.

È lì, alla fontanella, mentre scorreva l'acqua, osservavo mia madre nei suoi movimenti. Tutto l'amore possibile racchiuso in semplici gesti. Con cura sciacquava dapprima le brocche, e poi tagliava gli steli ai fiori. Schizzi d'acqua

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Il mio ricordo più bello

Ricordo ancora come se fosse ieri il giorno in cui sei entrato a far parte della mia vita.
All’epoca non ero altro che una giovane ragazza di 16 anni a cui non interessava altro che leggere, era così che passavo ogni minuto libero della mia intensa giornata da studente. Poi sei arrivato tu, di quattro anni più vecchio, bello, intelligente e spigliato, mi hai subito rapito il cuore e la mente.
Ricordo quel giorno con nostalgia. Eri venuto a casa nostra per lavorare ad un progetto universitario con mio fratello. Io ero rinchiusa nella mia stanza a leggere l’ennesimo libro, m’infastidiva avere degli estranei per casa. Ero talmente immersa nella mia lettura che non mi accorsi nemmeno che qualcuno aveva aperto la porta e mi stava osservando. Mi ero seduta a terra, come facevo spesso, e tu mi fissavi senza dire una parola. Fu la voce di mio fratello che ti chiamava che mi fece alzare gli occhi e guardare verso di te.
Eri li, i capelli castani scompigliati e gli occhiali malamente appoggiati a metà naso. Indossavi dei jeans sdruciti e una polo. Lessi nei tuoi occhi interesse e stupore, come se stessi guardando un essere strano, come se per te fossi una sorta di alieno. Mi persi subito nei tuoi meravigliosi occhi verdi, così intensi e vivaci.
Dopo un lungo minuto di silenzio finalmente mi decisi a parlare
“Ciao” dissi bruscamente, non so perché infastidita dal fatto che non avevi bussato o per il turbamento che sentivo guardandoti “A casa tua non si bussa mai prima di entrare nelle stanze degli altri?”
Il tuo sguardo mutò velocemente e da stupito divenne cupo “Scusa” mi dicesti con tono seccato “Pensavo che questo fosse il bagno”.
In quel momento, quasi a voler salvare la situazione arrivò mio fratello che t’intimò di non darmi retta e ti mostro dov’era il bagno. Nel chiudere la porta potei ascoltare qualche stralcio della vostra conversazione, mio fratello che ti diceva “Non devi farci caso a mia sorella, vedi lei è come la

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Into the Darkness - Nell'oscurità

Novembre. Gli alberi puntano i rami spogli al cielo plumbeo che li sovrasta. Folate di vento fendono l'aria, l'erba, i corpi.
Emma e Save rabbrividiscono, stretti l'uno all'altra, infagottati negli spessi cappotti invernali.
Emma prende un respiro profondo, allontanandosi lievemente da lui e dalle sue labbra infuocate.

Era stato dolce, all'inizio. Le aveva dato i suoi tempi, non l'aveva forzata a far nulla. Ma adesso che Emma era pronta, lui voleva tutto.
E lo voleva adesso.
Con un gemito di tristezza, Emma riflette sullo sconfinato squallore della loro situazione attuale: Save era fidanzato. E a quanto pare lei era l'unica a ricordarselo. Erano tante le cose che Emma aveva imparato su di lui durante quella loro relazione clandestina. Una di queste era che Save era capacissimo di scrivere un messaggino romantico zeppo di "ti amo" falsi e cliché amorosi alla sua ignara fidanzata, proprio mentre stringeva Emma e la intrappolava nella morsa delle sue labbra voraci e braccia vigorose. Emma lo amava più di quanto avesse mai amato qualcun altro in vita sua, ma neanche l'immenso sentimento che provava per lui poteva impedirle di comprendere chi fosse davvero Save.
Un ragazzo bellissimo, che sotto l'apparenza angelica e innocente celava un'essenza per certi versi diabolica. Ricordò improvvisamente ciò che le era stato riferito da un amico: quando un compagno di classe aveva fatto notare a Save che uscire con un'altra ragazza era piuttosto sbagliato nei confronti della sua attuale fidanzata, lui aveva semplicemente risposto che non gliene importava.

Emma lo guarda negli occhi, sgranando i propri con aria stupita e ferita insieme. Per la prima volta, sente di riuscire a vedere Save per ciò che davvero è: bugiardo, manipolatore, egoista, subdolo, infido.
Predatore.

I suoi occhi continuano a fissarla, impazienti, mentre il suo respiro caldo le accarezza il collo le accarezza il collo e le strappa ulteriori brividi. Le sue mani dalle dita lunghe e affusol

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Quando un libro aiuta

È noto come le condizioni in cui si attua la vita di un individuo possano essere cagione di curiose coincidenze: a chi non è capitato di osservare la somiglianza, anche fisionomica, che intercorre talvolta tra un padrone e il suo cane, o il fatto di alzare la cornetta per telefonare a qualcuno e accorgersi che il qualcuno in questione è già in linea perché stava telefonandoci a sua volta? Anche nella mia vita si manifesta una coincidenza degna di nota.
Io lavoro in città, ma abito in una località ad una quarantina di chilometri di distanza ed impiego circa un’ora di treno per recarmi in biblioteca: si, perché sono bibliotecario. E proprio questa attività e il mio quotidiano viaggio mattutino, sono motivo della coincidenza.
Come molti pendolari sanno certamente, sulle “tradotte del lavoro” si vedono quasi sempre le stesse facce, molte si conoscono e con alcune si fa anche amicizia: tuttavia, alle 6, 30 del mattino, pochi sono disposti a forme di socializzazione di particolare dinamismo ed entusiasmo. L’attività più diffusa è la lettura: di un giornale, di un libro, di un testo di studio, di un documento di lavoro. Alcuni scribacchiano: scolari che hanno tralasciato le fonti del sapere per non sottrarre tempo prezioso alla play-station, o professionisti che mettono a punto una relazione; si nota qualche computer portatile. Qualcuno pensa o sogna ad occhi aperti: così come, ad occhi aperti o chiusi, altri sonnecchiano. Una coppia di fidanzatini si tiene per mano in un silenzio gonfio di parole, rimpiangendo fin da subito il momento della separazione all’arrivo.
Eccola la coincidenza della mia vita: quando scendo dal treno e mi reco in biblioteca trovo spesso una umanità non dissimile. Calati in un silenzio (stavolta non sonnacchioso, ma richiesto e dovuto) ritrovo altri che leggono, che studiano, che scrivono: anche quelli col computer. Ritrovo anche coloro che sognano ad occhi aperti e, più raramente, ad occhi chiusi.

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   1 commenti     di: Carlo Favale


Questa Mattina. . .

questa mattina. . . rileggendo alcune delle tue mail, mi sarei fatto prendere volentieri dalla voglia di tornare a scrivere una poesia. . . ormai è da tempo che non lo faccio, da quando mi sentivo pieno d'amore
Oggi invece vivo giorni in cui mi sento vuoto. . . insignificante, eppure oggi avrei voluto tanto potesse essere uno di quei giorni di primavera, carico di colori di luce, di sole di silenzio.
Se lo fosse stato, avrei rubato questa giornata alla mia vita per regalarla alla mia voglia di vivere, in passata l'ho fatto tante volte. . . si, me ne sarei andato alla ricerca di un posto da poter definire tutto mio. . . e li me ne sarei stato da solo ad ascoltare il rumore della natura, delle onde, degli animali.
Ed invece. . . sono rimasto qui, tra il fare ed il pensare ha vinto l'illusione di tornare a fare. . . però, un sorriso me lo sono sentito nascere dentro, perchè ho capito che quella voglia di andare arrivava da te.
Sei tu che oggi mi hai fatto tornare ad aver voglia di scrivere, e non scrivere a caso ma tornare a scrivere poesie, che altro non sono che emozioni che sentiamo dentro, e che vogliamo cercare di trasmettere a chi ci sta intorno. . . a chi ci sta vicino, a chi vogliamo bene.
Piccole frasi gettate d'impulso per cercare di fermare come una fotografia ciò che in questo momento stiamo provando.
La mente corre veloce, e la mano tenta di lasciare impressa su un foglio di carta ciò che il pensiero ed il cuore ci suggerisce,
e lo fa senza nessuna selezione, senza correzioni, senza essere rivisto.
Questo modo di scrivere lascia a te che leggi lo spazio per interpretare quel che il mio messaggio vuol dire. . . . trasportare a te parte delle mie sensazioni sotto forma di parole. . . di sensazioni.
Oggi le emozioni sono pericolose, esiste l'organizzazione, esistono le regole,
la perfezione, l'apparire. . . si, l'apparire è molto più importante dell'essere.
Chi si ferma è perduto. . .è per questo che non si vede mai nessuno sedu

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