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Racconti del mistero

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Lo specchio

"Lo Specchio."

Accesi la luce e, lentamente, scesi coi piedi dal letto, appoggiai i gomiti sulle gambe e, fra le mani, presi una testa... terribilmente pesante.
Ero stanco. No,... in realtà ero distrutto, una stanchezza profonda.
Con i piedi, nella notte, avevo percorso chilometri, scandagliando tutti gli angoli più lontani del nostro materasso, alla sua ricerca.
Mi sarebbe bastato toccarla, ma che dico... mi sarebbe bastato sfiorarla perché il mio cuore tornasse a battere, per tornare vivo... e invece niente, tutta... quella... fatica... per niente.
Le mani mi scivolarono lentamente sul viso, sentii qualcosa di umido,... stavo piangendo, un pianto silenzioso e dolce... alzai il viso e guardando le mie mani vidi qualcosa di strano... le mie lacrime erano nere.
Quell'istante non so quanto durò, il tempo non aveva più alcun valore... poi,... qualcosa attirò la mia attenzione, un fruscio,... una sensazione, non saprei dirlo, mi girai lentamente e la vidi.
Sdraiata sul letto, ancora addormentata,... Perché i miei piedi non l'avevano trovata nella notte?... ma ora non era importante, era lì, nel mio letto,... nel nostro letto.
Il mio sguardo la percorse tutta, i lunghi capelli arruffati come un manto dorato le coprivano parte del viso, quel nasino che tante volte avevo baciato, quelle labbra dolci come il miele,... dalle lenzuola poi fuoriusciva un piccolo seno, una coppa a cui a lungo mi ero dissetato e una lunghissima gamba, un'autostrada che le mie mani avevano percorso migliaia di volte.
Piangevo. Piangevo di gioia, come un bambino che si era perso e ritrova la mamma... così... io... l'avevo... ritrovata.
Mi avvicinai lentamente, non volevo svegliarla... era così bella.
Mi accorsi di trattenere il respiro, come chi ha in mano un vaso di cristallo ed ha paura di romperlo... le arrivai così vicino da sentire il calore del suo corpo e quell'odore, no,... quel profumo che era la mia irrinunciabile droga.
Poi si mosse, un piccolo movimento del p

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   1 commenti     di: PAOLODAIMOLA


San Giorgio

SAN GIORGIO

L’aria era torrida e pesante in quell’assolato giorno estivo di campagna, in un imprecisato luogo di un imprecisato tempo. Il cavaliere, sceso da cavallo, osservava ansimante l’orizzonte, la sua fronte era madida di sudore, così come il suo corpo, pesantemente agghindato con l’armatura color selce, che lo ricopriva quasi per intero. Ansimava e scrutava il paesaggio, coi suoi occhi celeste chiaro, mentre teneva sotto braccio l’ elmo, riccamente cesellato dai migliori fabbri del regno, sul quale erano scolpite alcune delle sue più famose imprese, mentre cercava di far riprendere aria al volto, ai suoi fulvi capelli, riaccordati sopra la testa tramite un rosario di finissime perle bianche, dono di una vergine convertita, da lui prontamente salvata dalle libidinose mire dell’uomo a cui era destinata in matrimonio, e a quell’accenno di barba riccioluta che cominciava a crescere sulla parte inferiore del volto. Ma questa operazione poco serviva a non sentire l’arsura del sole allo zenit, un sole che nella sua perfetta immobilità, rendeva l’aria rovente e immota come una lastra di ferro appena uscita dalla fornace di un maniscalco.
Mentre il suo cavallo era leggermente discostato dalla strada ed era intento a brucare quei radi fili d’erba che riusciva a trovare, il cavaliere guardò la punta della lancia, che teneva saldamente stretta nell’altra mano, per osservare se qualche alito di vento agitasse lo stendardo a croce che vi era issato in cima. ma non un solo Zefiro era stato mandato, quel giorno, dalla Sapienza, per rinfrescare l’aria. “D’altro canto è mezzogiorno…. l’ora in cui il Diavolo è più forte…” disse tra sé e sé il cavaliere, sul cui volto parve comparire un accenno di disincantato sorriso.
L a posa statuaria che aveva assunto in mezzo alla strada, si mutò , nel batter di un ciglio, in un risoluto e marziale passo verso il suo destriero, sul quale rimontò in breve tempo, deciso a riprendere la st

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L'incubo

Mi sono addormentato... e mi son svegliato in agitazione... Ho fatto un sogno che mi ha turbato e che non riesco ad interpretare... Non so... ho parlato con una persona, che era viva nel sogno, la quale mi ha parlato di persone morte e di persone vive..
Quando mi son svegliato ho avuto la sensazione netta di aver davvero parlato ma con un morto.
Non è stato un sogno... è stata un avvenimento reale. Il sogno sembra essere stato solo una banale scusa per veicolare il manifestarsi di questa presenza. Non ho capito cosa volesse comunicarmi...
Tutto cominciò quando mi ritrovai, di notte, alla fine di una di quelle sagre di paese che si tengono dalle nostre parti.
Un acquazzone autunnale di quelli brevi ma violenti aveva fatto scappare la gente; le bandierine colorate penzolavano malinconiche e fradice d'acqua, mosse dal vento freddo che si era alzato e spazzava la piazza deserta.
Mi accorsi che Adriana, nella fretta di ripararsi, aveva dimenticato gli occhiali da vista e decisi di riportarglieli perché sapevo che altrimenti l'indomani si sarebbe preoccupata per averli persi.
Mi ritrovai sulla strada buia che portava a casa sua, illuminata da rare flebili lampade dalla luce gialla.
Arrivai davanti alla casa di Adriana e stranamente trovai tutte le luci accese; dalle grandi finestre si intravedevano anche le scale illuminate a giorno, ma tutto era deserto come anche nella strada. L'intero quartiere era sinistramente silenzioso.
Confuso, mi fermai ad accendere avidamente una di quelle sigarette ordinarie, forti e senza filtro, simile a quelle che fumavo ai tempi del liceo. La scena però era repentinamente cambiata. A quel punto mi ritrovai nel paese di mio padre, nella stradina stretta e acciottolata che portava a casa sua, nella parte più antica dell'abitato.
Improvvisamente sentii dietro la curva della strada dei passi pesanti e cadenzati di scarponi chiodati, che sembravano essere sbattuti apposta con forza sui ciottoli umidi, come se una persona vo

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L'uomo al balcone

Un uomo stava affacciato al balcone del secondo piano di una strada assai trafficata e osservava il caotico via vai d'auto, moto o autobus e l'intenso scorrere dei pedoni. Le ore scivolavano via una dietro l'altra, ma lui restava immobile notte e giorno su quel balcone, insonne.
L'uomo al balcone era depresso, viveva solo ed era disoccupato. In effetti era depresso proprio da quando era disoccupato, sostituito nelle vecchie mansioni da moderni macchinari e sconfitto nella sua ricerca d'una nuova occupazione dalla crisi economica, in quel periodo al suo apice. Aveva perciò perso l'equilibrio interiore e per giunta aveva cominciato a soffrire d'insonnia. Si girava e rigirava nel letto senza riuscire a dormire più di un paio d'ore e intorno alle cinque del mattino era già in piedi, più stanco di quando si era coricato.
Non sopportava né di star chiuso tra le mura di casa né d'uscire col rischio d'incontrare conoscenti a cui dover spiegare la propria triste situazione. Abbattuto com'era non desiderava frequentare né donne né amici. Inoltre aveva perso interesse verso qualsiasi svago, sport, cinema, internet, musica o lettura che fosse. Non aveva addirittura nemmeno più voglia di guardare la tv.
Così aveva preso l'abitudine, appena fatta colazione, di sistemare una sedia sul balcone, poggiare i gomiti sulla ringhiera e trascorrere lì le giornate, incurante perfino del sole, che sorgeva intorno alle nove da dietro l'edificio in diagonale e irraggiava la sua postazione durante le sette otto ore successive. Rientrava nel piccolo appartamento quasi solo per mangiare e dormire e usciva da casa appena due o tre volte la settimana, verso le 12, 30, quando i negozi erano semivuoti, giusto il tempo per comprare lo stretto necessario dal panettiere e dal fruttivendolo all'angolo.
Si era installato sul poggiolo ad aprile, non appena il clima di quell'inverno particolarmente freddo e piovoso aveva cominciato a permetterlo, e non lo aveva più abbandonato. Vi resta

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   12 commenti     di: Massimo Bianco


LA SOFFITTA DI ED

Sannyville era una piccola cerchia di anime nel Montana. Era perchè dopo gli eventi che vi andrò narrando di quel mucchio di case rimasero solo poche pietre disordinate.
Tutto ebbe inizio in un fatidico mercoledì pomeriggio nella mia soffitta. Erano circa le quattro quando Alan, Mike, George ed io facemmo un'insolita scoperta. Ci eravamo dati appuntamento a casa mia per rimettere in sesto la soffitta, volevo farci uno studio.
Abitavo in quella casa da quando ero nato, circa 33 anni prima, ed era logico che in tutti quegli anni la soffitta si fosse riempita di un considerevol numero di cianfrusaglie ed oggetti vari. Volevo liberarmene per ricavare qualche soldo, così da potermi pagare almeno i libri di testo per gli studi. Studiavo demonologia, ed i libri che mi servivano non erano certo roba che si tovava ovunque. Avevo bisogno di determinati manoscritti che dovevo far giungere dall'Europa. Comunque questo non è importante in questo punto del racconto.

Dicevo, che dovevamo liberare la soffitta. Quando i miei tre amici vennero all'ora che avevo stabilito, ci mettemmo al lavoro, non prima di esserci scolati due birre ed aver ascoltato l'ultima avventura amorosa di Alan.
Il nostro Alan Mayer era un donnaiolo, non perdeva tempo in preliminari, che considerava inutili per un incontro occasionale e per qualsiasi altro incontro, andava subito al sodo, in ogni faccenda che si trattasse di donne o meno. I resoconti delle sue serate in giro per i locali della città erano molto ricchi di particolari piccanti. Veri o fasulli che fossero.

Dopo quel breve preambolo ci mettemmos seriamente al lavoro. Salimmo in soffitta e cominciammo a spostare i primio sactoloni, ci eravamo così divisi il lavoro: io e Alan spostavamo l scatole mentre Mike e George le aprivano ed esaminavano il loro contenuto. La mia soffitta era molto ampia, appena aprii la porta i miei amic rimsero interdetti nel vedere la portata del lavoro che dovevamo fare, io li tranqu

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I fantasmi del passato.

Mattina presto.
Malgrado non ne avesse più bisogno non riusciva a svegliarsi più tardi delle 7.
Mancanza di bisogno di sonno o indotto senso di responsabilità?
Se lo era chiesto tante volte; senza risposta, come tante altre domande.
Un’occhiata alla stanza, sempre la stessa.
Sorrise pensando al disordine che regnava nella sua casa.
Malgrado tutti i buoni propositi nessuno aveva come dono quello dell’ordine.
Una famiglia tutto genio e sregolatezza, pensò dirigendosi verso la cucina per prepararsi il primo caffè della giornata.
In una mattina simile di molti anni prima si era trovato davanti alla prima vera responsabilità della sua vita: comunicare la morte del fratello più piccolo al fratello superstite.
Lo aveva incaricato la zia da cui erano stati mandati la sera prima.
Una telefonata durante l’ora di cena.
I genitori che scappavano e gli lasciavano confuse istruzioni, l’arrivo dei nonni, una seconda telefonata che aveva fatto stare male il nonno, la corsa alla ricerca di una medicina per il cuore.
In quel momento aveva realizzato che il più piccolo della famiglia era morto.
Il trasferimento dalla zia e quella strana sensazione…… doveva sembrare tutto normale.
Passata la notte e arrivata la luce del giorno però il mistero doveva però essere svelato.
Era stato scelto lui. Non gli sembrava possibile. Ancora non aveva inteso cosa volesse dire MORIRE e doveva comunicarlo al fratello.
Lo aveva fatto. Aveva immaginato pianti, disperazione, recriminazioni. Invece nulla. Aveva continuato a giocare al piccolo flipper di plastica rispondendo un semplice “lo so’.
Come tante altre volte si trovò a pensare se e quanto questo lutto avesse modificato la sua vita.
Ma la caffettiera cominciava a borbottare.
Si versò un’abbondante dose nella grande tazza e prese a sorseggiare la bevanda bollente.
Una volta la prima tazza di caffè era necessaria per accendere la prima sigaretta della giornata.
Da tempo aveva smesso. Era una cosa

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la vita in un sogno

I

Ricordo un pomeriggio d’estate passato in compagnia di una persona. Cupa e silenziosa essa stava ad ascoltare i miei sperduti discorsi. Mi accorgevo, dopo tanto tempo, di essere ascoltato, ammirato. Ma questo ascolto diminuiva con la mia stanchezza. Quando il mio ammiratore scomparve tornai a casa e mi misi a letto cercando di prendere sonno…in quei momenti stranezze. Solo stranezze. Mi chiedevo cosa stesse accedendo. Mi sentivo osservato, la stanchezza, bah. Una figura sfuocata, rapida e rumorosamente silenziosa…E in quella camera un avvenimento imprevedibile investì il mio esile corpo. Il mattino seguente mi trovai in una camera di un albergo di una sperduta via di una città sconosciuta. La prima cosa che i miei occhi fissarono fu il tenue bagliore emanato da una bottiglia scheggiata posta sul davanzale. Scheggiate sembravano anche quelle rose ormai morte che vi stavano dentro. In quel mattino seguente sapevo che avrei dovuto raggiungere il centro della città, ma non sapevo il perché. Mi trovavo in un luogo mai visto ma già incontrato. Durante il mio tragitto non potei non osservare gli occhi dei passanti che mi accusavano di qualche crimine che non avevo commesso… - a suo tempo?" pensavo senza un buon motivo?" ho conosciuto una ragazza speciale, che mi ha accompagnato nella mia esistenza. Ma il tempo provocava un’ effetto strano sulle nostre persone che si erano unite. Quella ragazza era il mio angelo, la mia vita, tutto in quel momento e nessuno sguardo scambiato era oscurato da pensieri cattivi, ma da parte mia era la solitudine.- continuavo intanto a camminare. E più quelle persone mi scrutavano, più il mio corpo era afflitto da un enorme peso…e così vivendo, da solo giunsi in una piazzola, semi- porticata dove sei figure erano ferme appoggiate ad una sola colonna. Nonostante riuscissi a difficoltà a riconoscere il loro sesso, esse mi osservavano…cigolavo. Giunto era ormai il tempo di chiedere informazioni per uscire dalla ci

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   7 commenti     di: Vittorio Bedani



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