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Racconti sulla nostalgia

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Una sirena tra i banchi di scuola

Quella mattina del 16 novembre del 1985, il sole stentava ad uscire sul cielo della Sicilia.

Nel resto del paese, intanto, era in corso una manifestazione di protesta contro la riforma scolastica proposta dal Ministro dell'Istruzione, Franca Falcucci.

Le piazze delle maggiori città italiane si erano riempite vertiginosamente di studenti.
Roma, Milano, Palermo, tutti uniti a rievocare il simbolo della “Pantera” degli anni 60 e 70.

A Catania, intanto l’affluenza massiccia degli studenti, aveva cancellando l'immagine apatica e superficiale di quei tanto denigrati anni 80. Gli studenti delle superiori, si erano dati appuntamento in piazza Roma sotto la sede dell’ istituto "De Felice" e dopo aver raccolto un discreto numero di partecipanti, erano partiti in corteo sfilando per le vie del centro.

Le strade erano pervase dai loro slogan, diversi quattordicenni estranei al corteo, si aggiunsero a loro strada facendo. La maggior parte non aveva mai partecipato ad una manifestazione simile e non aveva le idee ben chiare. Tra di loro vi erano alcuni che si erano uniti al corteo solo per esibire in pubblico il proprio look da “madonnaro” o da "Rock Billy, tutti erano comunque mossi da una energia “sincera e spontanea”.

La pioggia intanto fece la sua apparizione cadendo timidamente sulla città, senza tuttavia impedire che il corteo dopo aver attraversato le vie principali, giungesse a destinazione fermandosi davanti il palazzo degli Elefanti, sede del Comune.

Come sempre in testa al corteo, c'erano sempre i ragazzi del "De Felice". Al centro della prima fila, a sorreggere insieme ai suoi compagni lo striscione dell’istituto, c’era Piero Cortesi. Faccia pulita, lunghi capelli castani, raccolti e tenuti fermi da una bandana di colore chiaro.

Indossava, come la maggior parte dei suoi coetanei, jeans chiari della "EL CHARRO", stivaletti “CULT” con la punta di ferro e la suola trasparente, ed un giubotto tipo bomber di colore ve

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Al mio miglior errore

La notte odorava di sesso e fatalità. Aveva scelto il profumo adatto e si era agghindata a festa con tutte quelle stelle lontane e lucenti di desiderio. Entrambi camminavamo in silenzio verso nessun posto, evitando l'uno lo sguardo dell'altra. Parole non venivano dette, ma entrambi le percepivamo, trasportate dalla brezza estiva caratteristica di quelle nottate d'agosto senza nome. Ci ritrovammo sotto casa sua quasi per caso, come due turisti che dopo aver imboccato vicoli sconosciuti, scoprono di avere davanti il bar che cercavano. Guardai il portone di casa sua e poi lui. Mi domandai a chi dei due fosse venuta l'idea di guidare l'altro lì, ma la risposta era che ci seguivamo l un l'altra, ignari di dove i passi ci portavano. Ci guardammo sapendo benissimo che quella notte era già scritta. I suoi occhi verdi mi mostrarono il nostro primo incontro.
Era aprile ed io ero seduta sul marciapiede di un vicolo vuoto e senza identità. Lui passò proprio di lì con la birra in mano, mi guardò un attimo e come se ci conoscessimo da sempre, si sedette accanto a me e me ne offrì un sorso. Nei suoi occhi ritrovai me stessa e fu forse per non perdermi che passai sette anni della mia vita con lui. Io non lo amai mai, mentre lui amava abbastanza per entrambi. Non ci lasciammo nemmeno. Fu un tacito accordo: una sera di ottobre mi guardò con le lacrime agli occhi e capii che quell'amore sbagliato a lui faceva solo male. Molte notti avevo sperato fosse così cieco da non accorgersi che io in quel rapporto non avevo alcun ruolo emotivo, ma lui era perspicace e il mio volto era sempre stato un libro aperto. Quella sera feci le valige e me ne andai per strada, fra le foglie morte, trascinando un freddo ottobre via con me. Non mi girai nemmeno verso di lui, sapevo che mi osservava dalla finestra, guardando la donna che avrebbe dovuto odiare andarsene.
Così quella sera d'agosto, dopo un paio d'anni, ci eravamo ritrovati. Ci scambiammo un cenno di saluto e ci incamminammo i

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   3 commenti     di: Persefone


Patonsio si reincarna!

Patonsio si reincarna!

Dopo una gozzoviglia notturna da alterazione mentale che avrebbe lasciato livido d’invidia il Signor Lucullo in persona, ?" se egli mai avesse potuto accompagnarsi a una tal schiera di bei tipi?" s’era forse al caffé, o all’ammazzacaffé, o forse ad uno di quegli innumerevoli bicchierini della staffa che avevano la curiosa particolarità di fare il loro ingresso ancor prima degli antipasti?" ma è più giusto dire “dopo pranzo”, data la cospicua e previdente anticipazione?" quando un illustre commensale, il Signor Giglio Vittorio, che tutti, come era legittimo, chiamavano “Lo Stoccato”, ?" parecchio avendo travisato su frasi smozzicate, come pure a proposito di parole slegate e altri informi brandelli che gli era parso d’intendere nel pieno del delirio etilico?" gettò sul tappeto la questione dello spiritismo.
Le empie parole del beone produssero negli altri convitati?" ormai indubitabilmente estenuati dalle bevute sovraccariche?" un terrifico effetto: ci fu chi credette di veder volteggiare suppellettili ed oggetti come morte foglie sospinte dall’alito raggelante e flebile dell’anime dei defunti: bisogna pur sempre rammentare qual si fosse la congrega riunita e lo stampo che la marchiava.
La più agitata delle conversazioni ricevette allora densi contributi d’aneddoti e frammenti concernenti i foschi dominî dell’occulto, della stregoneria, della magia, e poi ancora cabala, satanismo, teosofia, esoterismo, aldilà, aldiquà, giù di lì, su di qua, là per là, e tutto quel che ormai poteva rimestarsi in quelle menti votatesi al disturbo e al disordine.
Da un lato scorgevi gli spiritualisti che dardeggiavano barbagli d’un fuoco interiore dagli occhi, i materialisti che facevan spallucce e freddamente acconsentivano che i discorsi vagolassero con un loro disordinato abbrivio, mentre gli indifferenti consolidavano la loro attitudine, consistente nell’annientare le giacenze dei beveraggi più e

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... Aria Colorata

Strofino la manica del maglioncino contro il vetro della finestra, dando vita a un piccolo quadrato di chiarezza, che mi permette di vedere al di fuori della casa.
Goccioloni d'acqua scivolano lungo quella superficie liscia e l'umidità ne appanna la maggior parte.
La pioggia è da giorni che incessante riempie l'asfalto di se.
E la mia anima, ormai spenta e distrutta, di malinconia.
Riesce a rappresentare pienamente me stessa questa pioggia prorompente e forte, cruenta.
Premo le dita sulla parete creando due cerchietti, e affiancandomici con gli occhi osservo i mille ombrelli colorati dare un pugno di colore alla città.


Cammina con la mano destra nella tasca del cappotto e con l'altra regge l'ombrello rosso sulla sua testa.
"Amore esistono gli ombrelli per non bagnarsi" mi avvisa sorridendo.
Cammino all'indietro non distogliendo mai il suo sguardo dal mio.
"Vale ma guarda che natura, cioè è pioggia, acqua. Magnifica."
Apro le braccia mentre le gocce si infrangono sulla mia pelle, sui miei capelli, bagnandomi completamente.
Ma chissenè adoro sentirmi bene sotto questa cascata d'acqua.
"ti prenderai un accidenti"
aumenta il passo raggiungendomi e coprendomi con l'ombrello.
"sei pesante Vale"
Alza un sopracciglio circondandomi la vita col braccio e facendo cozzare i nostri corpi.
Porto le mani a sfiorare il suo petto avvolto in un maglioncino grigio, e a stringermi tra la stoffa del suo cappotto, bagnando anche lui.
"tu sei un'incosciente piccola"
Sorrido, alzandomi sulle punte e raccogliendo velocemente le sue labbra perfette tra le mie.
Il suo sapore mi avvolge e mi fa sentire viva, come la pioggia pochi minuti prima.
Un forte venticello mi porta i capelli a sbattermi sul viso e la stoffa dell'ombrello di Valerio a staccarsi dai sottili ferri che la tenevan stretta ad essi.
Scoppiamo a ridere staccando appena le nostre labbra.
Alza gli occhi al cielo e la pioggia gli batte potente sul volto.
Sbuffa sonoramente.
"ma porca..."
Poggio

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Le mie colline

Le colline del Monferrato sono la mia patria. Sono nato, a metà del ‘900, in una casetta in mezzo ai vigneti, in cima ad una ripida collina, con stradine polverose in estate, fangose d'inverno.
La strada che la fiancheggiava, per noi bambini del borgo, era l'attrazione, il divertimento: si giocava al pallone, nella polvere si costruivano piste per le biglie... Si facevano epiche battaglie con pistole di legno, le nostre armi segrete erano le fionde… Talvolta i giochi venivano interrotti dal rombo di un'automobile, che lentamente arrancava su per la salita, ci si buttava nel fossato e si guardava stupefatti il modello, il guidatore, quasi sempre era un commesso viaggiatore fornitore dell'unico negozio del paese.
Il paese stava, anzi sta ancora, appoggiato su una collina. Dalla sommità di questa la veduta è veramente spettacolare: una successione di colli, sui quali si arrampicano i vigneti, lavorati con amore, rubati ai boschi meno redditizi, che di tanto in tanto lasciano affiorare gruppi di casupole che paiono spuntare dal suolo come funghi. La piazza dominata dalla chiesa con l'oratorio, la scuola incorporata nell’ edificio municipale, in fondo c’era la bottega, con il pavimento in legno, il banco di vendita fatto a U per i vari scomparti: frutta, pane, cartoleria, tabacchi... insomma entrando si sentivano gli odori più disparati, dalla fragranza del pane fresco, all’aroma del tabacco misto al profumo di frutta matura…Un centinaio di case, che stanno in piedi perché da secoli si appoggiano l’una all’altra, costruite quando ancora i mattoni non erano cotti nelle fornaci.
In ogni casa c’era la cantina, ove si custodiva gelosamente il vino prodotto.
Prima di Pasqua, i mediatori vinai, iniziavano il giro delle “Crote”, così
venivano chiamate le cantine. Ricordo, con rabbia, la cerimonia dell’assaggio: spillavano il vino dalla botte in un bicchiere, ne verificavano la trasparenza in controluce, si sciacquavano a lungo la bocca

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   3 commenti     di: Gian AR


Sabato

SABATO

“ Verrà un giorno dove il cielo sarà piu vicino….”

È sabato. La campanella suona e gli alunni corrono entusiasti verso l’uscita. Varcato il cancello principale, i loro sguardi ne cercano uno complice. Simone non riesce a vedere nessuno, c’è troppa confusione, e la leggera pioggerellina autunnale diminuisce ulteriormente la visibilità. Di solito non tarda, lui è un tipo preciso, puntuale. Ha fatto la guerra, sa cos’è la disciplina. Vicino alla sua Panda blu, si sbraccia e chiama a gran voce il nipotino.
“Ciao nonno” - esordisce Simone?"“oggi abbiamo fatto il tema”- gli comunica eccitato.
“Oh bene” ?" esclama entusiasta il nonno?" “e che cosa hai scritto di bello?”- gli domanda, mentre lo aiuta a sfilarsi lo zaino.
“Ho scritto tre pagine lunghe così”, dice posizionando le mani a una certa distanza nell’aria.
“Bravo”. Il nonno sorride e apre la portiera con la mano libera. Reclina il sedile e posiziona lo zaino dietro il suo schienale. Sistemato il sedile infila una gamba, si siede, poi l’altra. Con un movimento rapido del braccio chiude la portiera. Mentre sta per mettere la chiave, si volta verso destra. Dietro il finestrino appena appena appannato, c’è il nipotino in piedi dove l’aveva lasciato. Muove solo le pupille, a cercare quelle del nonno, che gesticolando gli fa cenno di salire. La pioggia ora è più forte. Simone la sente battere sui capelli sempre più bagnati. Apre la portiera e sale. La chiude quel tanto che basta.
“Hai deciso di prenderti un raffreddore?”.
”Beh, che succede?”gli domanda il nonno posandogli una mano affettuosa sulla guancia umida.”Nonnooo…”inizia il bimbo guardando distratto le macchine passare. ”Si, dimmi…” dice una voce premurosa. “Com’era la nonna?” riesce a dire Simone, cercando nuovamente gli occhi del nonno. Egli è un po’ sorpreso, poggia le mani sul freddo volante e risponde:”La nonna? La nonna era…”- sospira e prende fi

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   1 commenti     di: Matteo Zanetti


Sere del Sud : la televisione ed il boom economico (2)

In tre anni, dalle emissioni sul territorio, la televisione si era abbastanza diffusa ma non tutte le famiglie ne sentivano ancora l’esigenza o potevano permettersela. Le case dei propri vicini o i bar erano diventati luoghi prediletti per visioni di gruppo. Nel palazzo giallo, la sera a casa di Luisa, c’era il ritrovo. Ognuno portava la sua sedia e cercava di occupare la postazione migliore in quella sorta di cinema casalingo. L’orario delle famiglie a cena era ormai cambiato. Si doveva far presto per ritrovarsi tutti là in quella grande famiglia a godere della bella novità. Superando la riservatezza che gli apparteneva, arrivava anche il “ragioniere” che viveva solo con la madre. Ore 20, 50 iniziava “Carosello” e là davanti allo schermo grandi e piccini. tutti a sognare! Verso una certa ora in quella casa restavano però solo gli adulti “affezionati” a guardare commedie in bianco e nero o telequiz con Mario Riva o Mike Bongiorno mentre i bambini ritornavano nelle loro case con grande gioia della madre di Luisa che così ritrovava un po’ di calma e di tranquillità.
Il boom economico degli anni sessanta di li a poco portò la modernità anche nel quartiere. Le vecchie flebili lampadine con lunghi fili elettrici che passavano da un palo di legno all’altro, delizia di cani randagi, furono sostituite da moderni lampioni in metallo. Questi davano alla strada una atmosfera da città ma toglievano l’intimità. Gli uccelli non ebbero più uno spazio per dormire vicini sui fili elettrici e tutta l’atmosfera serale, così intima e confidenziale cambiò totalmente.
Si escogitò perciò tra le ragazze, Mara e le sue amiche, ormai adolescenti, un nuovo sistema per appartarsi e raccontarsi degli amori segreti. Non più muretti nascosti e angoli bui dei palazzi ma terrazze condominiali che sembravano quasi a contatto con le stelle. Quelle terrazze di giorno animate da lenzuola bianche di bucato, danzanti leggere come ballerine, la sera, di

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   3 commenti     di: MD L.



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