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L'Ultimo Duello
Un bagliore argenteo. Poi il fragore di un tuono a rompere il silenzio. Una stanza un tempo nobile e ricca. Una Tavola Rotonda in cui solo i più forti e coraggiosi possono sedere. Un giuramento. Un patto di fratellanza fatto nel nome di antichi ideali. Un sogno ormai spezzato. Un macchia indelebile nella storia di Camelot. Una macchia indelebile sull'armatura splendente di Re Artù.
Dicevano che era l'uomo più saggio del regno. Dicevano che mai cavaliere ebbe compiute gesta più gloriose quanto Artù di Camelot, figlio di Uther. Aveva commesso solo un errore. Un solo fatale errore, accogliere Sir Mordred fra i suoi nobili cavalieri. Attorno a quel tavolo erano tutti uguali. Erano tutti come fratelli. Credevano tutti nello stesso sogno. Tutti tranne uno. Sir Mordred aveva dato inizio al fratricidio che stava dilaniando il regno.
Lo scroscio della pioggia scandiva il tempo in quella notte buia. Da una finestra infranta giungevano echi della battaglia. Rumori di acciaio, urla, odore di sangue, fiamme. Immagini di morte. Una folata di vento agitò uno stendardo. Un corvo appollaiato su una trave gracchiò. Il suo eco si spense nella stanza quasi buia. Solo poche candele rischiaravano con fatica l'oscurità. Fuori da quel castello tutti i cavalieri del regno si stavano dando battaglia. Sir Gawain era caduto, per mano dei traditori. Sir Yvain era caduto, per mano dei traditori. Sir Kay era caduto, per mano dei traditori. Un funebre elenco a cui si aggiungevano nuovi nomi di minuto in minuto. Ma per Re Artù al momento tutto questo era solo un dettaglio, perché finalmente aveva trovato Sir Mordred, il Traditore. Quando era entrato nella stanza lo vide seduto alla Tavola Rotonda, creata per ordine del Re dietro consiglio di Merlino. Tante mani avevano lavorato per tanti giorni la pietra prima riuscire a creare quel gioiello, degno di accogliere i cavalieri più nobili. Simboli antichi quanto il mondo ne decoravano il bordo. Davanti ad ogni seggio un nome era stato scolpito nella roccia e nella storia. Sir Mordred era seduto al suo posto. Quando vide Artù si alzò e prese la propria arma. Sapevano entrambi perché erano lì.
- Perchè, Mordred? Perché hai fatto tutto ciò? - chiese il Re.
Nessuna risposta.
Artù aveva capelli biondi e la pelle era dorata dal sole. La sua barba era sempre curata in ogni dettaglio. Una cicatrice gli solcava le labbra che teneva serrate. L'armatura dorata era macchiata di sangue, ogni goccia del quale era stato spillato ai traditori. Gli occhi azzurri non si staccavano nemmeno un sol secondo dall'avversario. Il Re aveva combattuto tante battaglie. Ma quella notte il guanto che stringeva la lama sembrava pesare più del solito. Cercava di mantenere la calma, ma il suo viso tradiva la tensione.
Perché si ostinava a non parlare? Perché quei gesti lenti, quasi ritualistici?
Sir Mordred non prestava attenzione al Re. I passi pesanti della sua nera armatura riecheggiavano nella grande stanza. Era parecchi anni più giovane del Re. Molti lo ritenevano un bel ragazzo, anche se era noto per il suo carattere cupo e riservato. Passeggiava attorno alla Tavola Rotonda. Con la punta di un dito tolse un po' di polvere dalla pietra.
- Sarà difficile ripulire tutti questi intarsi dalla polvere -
La sua voce era calma e non lasciava trasparire alcuna emozione. La sua pelle color della luna era troppo giovane per delle cicatrici. Un altra folgore. Un nuovo boato. Un alito di vento gli agitò i lunghi capelli corvini. Ad un tratto Mordred si fermò. Volse i gelidi occhi azzurri verso il Re. Artù sostenne il suo sguardo. Sentì l'ira avvampare nel suo spirito. Gli stava parlando della decadenza di quella stanza. Quella decadenza di cui lui era la causa. Strinse la lama e con un urlo si lanciò all'assalto del traditore. Mordred rimase in silenzio. Parò i colpi con maestria. Aveva appreso l'arte della spada dal Re stesso. Aveva imparato fin troppo bene.
- Dovevo capire che non avevi mai creduto nel nostro codice d'onore - disse il Re
Nessuna risposta.
- Hai disonorato la mia casa, Mordred. Stai cercando di usurpare il sovrano a cui avevi giurato fedeltà -
Nessuna risposta.
- Rispondi cavaliere! - tuonò Artù
La sua voce era imperiosa ed energica. Ben poche persone trasparivano un'autorità maggiore del Re.
- Sei uno stolto, figlio di Uther. Sono ben altre le cose che dovresti capire -
La voce di Mordred era simile ad un sussurro in quella notte gravida di terribili suoni. Di nuovo il corvo gracchiò ma nessuno dei due cavalieri gli diede importanza. Sembrava parlare per enigmi. Sembrava alludere senza rivelare. Artù decise che per il bene del suo regno tutto ciò doveva finire. Si lanciò di nuovo alla carica. Impugnò la spada con entrambe le mani. La sollevò oltre la testa e calò un fendente. Mordred riuscì a parare. Il Re spostò il peso del proprio corpo in avanti per avere ragione dell'avversario. Una smorfia increspò il viso di Mordred. Forse rabbia, forse solamente lo sforzo di non cedere alla forza dell'avversario. Respinse la spada del Re e si lanciò addosso ad Artù con un affondo. Il sovrano evitò il colpo e fece rovinare il traditore per il pavimento. Mordred ansimava, Artù ancor di più. Lo sovrastava puntandogli la lama alla gola.
- È finita, Mordred -
Nessuna risposta.
Il sudore imperlava la fronte di Artù. Doveva solo affondare la lama e tutto sarebbe finito. Ma non ne ebbe la forza. Si scostò e diede modo all'avversario di rialzarsi. Un sorriso sbocciò sul viso di Mordred. Sapeva che il Re non lo avrebbe ucciso. Artù chiuse gli occhi. Aveva sempre retto il regno con ferma decisione, eppure aveva esitato nell'uccidere il proprio nemico. Quando riaprì gli occhi si trovò il pallido viso di Mordred di fronte. Gli occhi azzurri del cavaliere si incrociarono con quelli del sovrano. Artù cercò di capire quale fosse il segreto celato nell'animo del traditore. Scrutava il suo sguardo e la sua anima. Ad un tratto capì. Ad un tratto fu tutto più chiaro. Come un lampo che illumina la notte. Come un tuono che squarcia il silenzio. Lasciò cadere la sua lama pesantemente a terra. Morderd attese che il silenzio tornasse a regnare nella stanza.
- Non hai mai commesso un errore - disse il nero cavaliere al Sovrano.
Parlava lentamente, scandendo ogni sillaba come se leggesse da un libro.
- La mia unica colpa è essere fra tutti proprio tuo figlio. Mi dispiace, padre -
Artù stava per rispondere quando sentì la lama di Mordred squarciare la sua armatura e mordere la carne. Non ebbe bisogno di calare lo sguardo per capire che il suo costato sanguinava copiosamente. Rimase a guardare quegli occhi azzurri così freddi. Si sforzò di replicare. Si sforzò di dire le ultime parole al figlio. Mordred aveva ancora la mano sull'impugnatura della spada. Pose un dito sulle labbra del padre. Non voleva sapere ciò che stava per dirgli. Non più ormai. Estrasse l'arma. Artù sussultò. Il rivolo di sangue scendeva con fatica, come una lacrima scarlatta. Strinse a sé il padre. Lo cullò dolcemente come se Artù fosse suo figlio. La sua guancia era appoggiata a quella del padre. Le sue labbra sussurravano una lenta nenia all'orecchio del Re. Il corvo gracchiò per l'ennesima volta. Mordred appoggiò il corpo del padre alla Tavola Rotonda. Quella Tavola in cui Artù credeva. Quella Tavola per cui fino alla fine si era battuto. Quella Tavola per cui era morto. Con un lieve tocco del guanto scostò i capelli dal volto del Sovrano. Si chinò e pose le sue labbra su quelle del padre. Gli diede un lungo bacio. Sentiva che iniziava a raffreddarsi. Sentiva che presto sarebbe spirato. Amava il padre. Credeva anche lui negli ideali dei nobili cavalieri. Ma il Destino avevo deciso che non doveva essere nobile. Il Destino aveva scritto che sarebbe stato conosciuto come Mordred il Traditore. Il Destino gli aveva imposto di levar mano contro il padre alla testa dei cavalieri ribelli. Si avvicinò alla finestra. Finalmente poteva togliere quella maschera che celava il suo volto più di qualsiasi elmo. Poteva smettere di recitare. Le lacrime gli solcavano le guance. Stette qualche minuto a guardare l'esito della battaglia fuori dal castello. Guardò in lacrime Camelot in fiamme. Era la fine di un sogno. Il tramonto di un'epoca. Tutto a causa sua, eppure non ne aveva colpa. Fu destato dai suoi pensieri dal gracchiare del corvo. Lo vide dietro di sé come se lo stesse aspettando. Mordred capì che era arrivata anche la sua ora.
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- Il racconto de L'Ultimo duello inizia con il fragore di una battaglia: il cozzare degli acciai, il fumo degli incendi, le grida dei feriti a morte e poi anche gli inferi danno voce ad una battaglia che è lo scontro tra gli ideali e la meschinità del quotidiano, la nobiltà di intendi e la cupidigia del potere, il desiderio della ricchezza. Il mondo del mito deve lasciare, adesso è l'Uomo con la sua ferocia che deve scrivere la Storia, adesso sulla città del Mito gracchiano i corvi, il mondo reale ha vinto, costruirà nuove città e si darà nuove leggi, non ci saranno Tavole rotonde perché il potere ognuno lo conquista e lo vuole solo per se. Giuseppe Cerniglia ha scritto un bel racconto, Non ha evitato lo stereotipo dell'eroe Biondo buono ed eroico.
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