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L'ex principe azzurro (essere superiore 2)
... Mi mancava mia madre. Mi mancavano i miei nonni. La mia casa. Durante la mia prima prima le mie insegnanti mi sembravano tutte delle vere arpie. Dico la mia prima prima perché io la prima elementare l'ho dovuta ripetere. Io e mio fratello. Il mio fratello-gemello.
Che ricordo bene, di quella mia falsa partenza, è il senso di mancanza di responsabilità. Non mia, o per lo meno non solo mia, ma più che altro da parte dei miei genitori.
Ad esempio è capitato qualche volte che ci facessero saltare la scuola. Certo molto spesso per buoni motivi. Ma quello che sorprendeva, che mi sorprendeva già allora, era che per loro non era così grave farci saltare la scuola. Ci hanno, forse inconsapevolmente, trasmesso una sorta di leggerezza nei confronti delle cose importanti della vita, così comunque recepite normalmente come tali da tutti, pericolosa e affascinante al tempo stesso.
C'è stato un periodo, poi, in cui io e mio fratello dovevamo frequentare un "dopo-scuola", per il "recupero".
Adesso che ci penso durante la mia infanzia avevano consigliato a mia madre di mandarmi dallo "strizzacervelli" (è probabile che io fossi anche un po' dislessico perché spesso confondevo alcune lettere e capitava, a volte, che invece di "finestra" io scrivessi "vinestra" o cose così!).
E adesso che ci penso un po' su probabilmente avrebbe fatto bene a mandarmici.
Diciamo che ero un bambino molto timido. Eppure io mi ricordo di essere stato anche un bambino molto solare.
Una delle cose che mi è rimasta più impressa di quel periodo in cui io e mio fratello andavamo al "dopo-scuola" è uno scambio di battute avvenuto tra mio fratello e una nostra insegnate diciamo di "recupero". Lei gli chiese: "Ma perché picchi sempre tuo fratello?"
E lui candidamente le rispose: "Perché guardalo! È bianco come un materasso, come fai a non picchiarlo?"
Col tempo uscì fuori che io ero più intelligente di mio fratello. A furia di sentirmi dare dell'intelligente di tanto in tanto, nell'arco della mia giovane vita, ci ho pure creduto.
Di certo studiavo molto. Alle elementari sapevo tutto sugli assiri e i babilonesi, e sugli antichi egizi.
Alle medie invece mi dedicai allegramente all'attività di "cazzaro". Ne usci con una sufficienza tirata. Un po' me l'aveva gufata mia madre quando una volta mi disse: "Vedrai ai galletti come te la cresta alle medie gliela fanno abbassare!"
Non so perché lei fosse così "cattiva" con me. Già da piccolissimo mi pigliava per il culo perché sculettavo.
Però i tre anni delle medie me li ricordo proprio come i più belli della mia infanzia-preadolescenza. In quegli anni mi pare di essermi divertito discretamente, di aver avuto amicizie discrete. Avevo tre amici maschi ufficiali. Il Fondraini; uno stralunato spilungone con gli occhialini; e lo spigliato e molto carino Panucci e... beh con il terzo, il Pattarini, non è che io andassi veramente d'accordo, anzi, ce le dicevamo, e una volta lui me le diede, di santa ragione. Ma essendo anche lui un caro amico degli altri due io volente o nolente me lo trovavo sempre in mezzo alle palle.
Tra le ragazze la mia migliore amica era la Elena Ronconi. L'unica conoscenza, chiamiamola così, che è durata nel tempo.
In quegli anni avevano iniziato a serpeggiare dei "rumors" sulla mia presunta (verissima!) omosessualità. Ma a me non me ne importava niente.
Me ne importava così poco che sempre in quegli anni per "allietare" i miei compagni di classe, oltre che a "inventare" e a cantare, con quel modesto strumento che è la mia voce, canzoni che cantavo a cappella in classe davanti a tutti, mi ero inventato un "personaggio" che mi faceva apparire come una sorta di drag queen non travestita.
Quel personaggio si chiamava Rossella Latalpa, in onore di una certa Rosalba Volpe, mi pare di ricordare, sensitiva, sempre che la memoria, ovviamente, non mi giochi brutti scherzi, perennemente presente in quegli anni nelle televisive domeniche pomeriggio firmate Maurizio Costanzo.
Era molto popolare Rossella nella mia classe. Mi faceva sentire invincibile fingere di essere lei...
No, è inutile girarci intorno tutto iniziò ad andare veramente storto nel periodo (con un anno di ritardo!) del liceo. Che poi alla fine io il liceo non l'ho fatto perché ho scelto un indirizzo della scuola professionale. Che poi scelto è una parola grossa. Credo che a quattordici anni uno ha dei seri problemi a scegliere se cambiarsi o meno le mutande che indossa da un po' di giorni a quella parte, figuriamoci la scuola e quindi, in un certo senso, scegliere del proprio futuro.
I miei professori delle medie non mi ritenevano abbastanza intelligente per il liceo. No, e nemmeno abbastanza "artista" per fare comunque, almeno, l'artistico.
Così m'iscrissi ad un indirizzo piuttosto sperimentale (allora come oggi, sempre che oggi esista ancora!) della scuola professionale della mia cittadina valtellinese. M'iscrissi al "Chimico e biologico". Mia madre prima che iniziassi questa nuova avventura scolastica mi disse: " E vedi di non farti bocciare che io non voglio spendere tutti quei soldi in libri per niente!"
Mi fece così tanta paura che m'impegnai fin da subito e tantissimo. Come al solito volevo dimostrare a mia madre che ero qualcuno e non la nullità che lei pensava.
Ma ottenere buoni voti per me era anche una sorta di buona ipoteca sul futuro. M'illudevo, infatti, che diplomandomi, con ottimi voti, poi avrei avuto un futuro migliore magari lontano da casa mia. Speravo tanto nelle porte del riscatto insomma.
Il mio eccessivo impegno nelle cose di scuola però mi portò a isolarmi e a essere considerato, all'interno della mia classe, un secchione. Per me fu l'inizio della fine. Gli altri iniziarono a sentire in me l'odore della diversità. E annusando a fondo sentirono pure l'odore della mia omosessualità. Non mi perdonarono quelle che loro consideravano le mie puzze!
Anni orribili, mi ripeto, anche se, di quegli anni mi rimase impresso un particolare episodio, avvenuto, mi sembra il quarto o forse già al quinto anno. Forse un episodio da niente... però fate voi io ve lo racconto:
"Era uno di quei pomeriggi in cui facevamo lezioni particolari con tematiche, diciamo così, extrascolastiche, e che si chiamavano ore di terza area. Si trattava di una lezione di "comunicazione".
L'insegnate, una morettona che io ricordo molto algida e austera nell'aspetto, ci propose di fare una sorta di "gioco", molto in stile "Alcolisti anonimi", che consisteva nel scegliere un nostro compagno di classe a noi "poco conosciuto" e raccontargli la nostra vita. Inutile dirlo che nessuno lo fece veramente. Si ricostruì solo il "gruppo", solo in versione dualistica, più "intima".
Forse lo facemmo solo io e Danny. Ovviamente non fui io a scegliere lui ma venni scelto..."
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