La camera di Marcone era impregnata di un odore così dolciastro da far venire la nausea.
-Come fa a non venirti la nausea, con questo profumo?- disse Andrea, sdraiato sul letto con le mani dietro la testa. Fissava il lampadario di plastica che pioveva dal soffitto al quale era agganciato un acchiappasogni formato da tre cerchi.
Marcone gli era di spalle, seduto alla scrivania addossata alla parete, il volto illuminato dalla prepotente luce elettronica dello schermo del portatile. Con la mano destra agitava il mouse sul tappetino fermandosi di tanto in tanto per cliccare qualcosa. Nella sinistra gli fumava una canna.
-Questo è il profumo del paradiso, amico mio. Il profumo del paradiso.
-Mi sta facendo venire il mal di testa. Non c'è un sistema di aereazione o che ne so, per questo coso?
-Si chiama Grow Box. No, non ce lo voglio. Devo immergermi in questo profumo, amico, capisci. Non posso permettere che si disperda al vento.
Andrea sospirò.
-Non possiamo sentire qualcosa di meno aggressivo?- disse.
-E chi sei, mia nonna? Sei mia nonna. Senti come spaccano questi ragazzi. Senti questa, per esempio. Si intitola Visetto. Parla di uno che la tipa lo hai tradito con un tale che lui conosceva, e questo canta augurandogli le peggio cose a entrambi, ma sai, mi piace proprio il modo in cui dice le cose, mi piace proprio il tono che usa, capisci, senti che belle parole, senti.
Marcone si era rilassato stravaccandosi sulla poltrona reclinabile, il volto fisso al soffitto, lo sguardo perso nei pensieri, dondolandosi un poco con i piedi sulle rotelle della sedia, portandosi la canna alla bocca ogni quattro-dieci secondi e tirando lunghe boccate facendo crepitare la brace e rilasciando nell'aria polverosa della stanza nuvole di fumo filiformi e fiocchi di carta incenerita.
Andrea fissava l'acchiappasogni sopra di lui.
Poi la canzone smiagolò nel nulla.
-Bella, eh?
-Hm, hmm.
Marcone tirò un'ultima boccata dalla canna stringendo il mozzicone tra
Sempre più spesso si parla delle situazioni di disagio e di malessere che vivono molti ragazzi oggi…
Spesso sono portata a riflettere sul ruolo che deve avere un genitore e spesso mi confronto con tanti genitori che come me hanno l’abitudine di mettersi in discussione per cercare di migliorare…anche se poi risulta sempre molto difficile trovare la strada giusta.
Sono convinta che fare il genitore sia in assoluto il compito più difficile. Non esistono ricette, istruzioni per l’uso, manuali validi.
Ogni figlio poi è diverso dall’altro e, quanto è facile sbagliare!
Spesso gli errori non sono fatti con consapevolezza;spesso li commettiamo per il troppo amore e per il desiderio di dare loro quello che a noi è stato negato.
Purtroppo così facendo subentrano una serie di problemi, e, quando ce ne rendiamo conto, talvolta è tardi.
Perché?
Spesso tendiamo ad accontentare i nostri figli (grandi o piccoli che siano) nei loro richieste(oserei dire talvolta capricci…);spesso è proprio la stanchezza che ci porta ad assecondarli…È più facile dire di sì…
Purtroppo però non prendiamo nella dovuta considerazione le conseguenze del nostro frequente accondiscendere a tutte le loro richieste…..
Assecondandoli in tutto e per tutto non li aiutiamo a crescere perché avere tutto e subito significa non fargli capire ed apprezzare il valore di ogni singola cosa….
1) Quante volte i nostri bambini non riescono a giocare con i giocattoli per più di pochi minuti e poi si annoiano?
2) Perché tante volte capita che loro stessi non sanno più esprimere un desiderio?( hanno tutto, troppo, non sanno più che cosa chiedere..)
3) Perché sono spesso insoddisfatti ed annoiati e talvolta aggressivi?
4) Perché hanno difficoltà a relazionarsi con i loro coetanei?
5) Perché i nostri figli, in particolare gli adolescenti, sono spesso in crisi e sono particolarmente fragili emotivamente?
Queste sono solo alcune delle do
Non è lei. Quel viso così magro, quegli occhi così tristi, quei seni così svuotati non sono i suoi. Il pranzo è ancora intatto davanti a lei. Evita accuratamente di posarvi lo sguardo. Non riesce più nemmeno a guardarlo, il cibo. Seduta nel letto della clinica in cui è ricoverata guarda il panorama. Non guarda, piuttosto vede. Lo sguardo è vuoto, inespressivo. Dalla camicia da notte spuntano le gambe, così magre da non distinguere la coscia dal polpaccio. Così magre che persino io non riesco a guardarle. Stringo la sua manina fragile tra le mie non riuscendo a fare altro. Tutto quello che le potevo dire gliel'ho detto. Non ha ascoltato me, la sua migliore amica, né la sua famiglia. Posso solo starle vicino e farle capire che io per lei ci sono.
"Mia madre mi ha portato questa" la sua voce è come un soffio. Mi passa la busta bianca appoggiata sul comodino. "Penso di sapere cosa ci sia" una lacrima le riga il viso "io non riesco a guardarla". Questa è lei. Sulla spiaggia di Corfù, con una mano si tiene il cappello di paglia e sorride all'obiettivo. Gli occhi sono lucenti, il sorriso euforico, i capelli brillano al sole. Scendo con lo sguardo lungo il corpo, così florido e perfetto, ricoperto da un'abbronzatura dorata. Bella. Bella come nessuna. Qualche mese prima della sua rovina. Prima d'incontrare quel manager che le propose di fare la modella, prima di conoscere Carmen, la sua "amica", già famosa indossatrice, che la faceva sentire inadeguata. Troppo robusta. Grassa. L'ha aiutata a perdere peso, a suo dire.
"Solo qualche chilo in meno" mi aveva detto "per sentirmi meglio; non sono più a mio agio in questo corpo, vorrei solo star bene con me stessa".
Ripongo la foto nella busta e l'appoggio sul letto. "Sono orribile" sussurra "non riesco nemmeno a guardarmi allo specchio". Continuo a tacere. Non ci sono parole giuste da dire. Io non le conosco. O forse non le hanno ancora inventate.
"Ho perso tutto" di nuovo una piccola lacrima.
"No" provo a
Erano le 5 e un quarto. Di già. E lei non c'era. Aspettando vedevo gente passare in continuazione, donne e uomini, persone che ridevano, scherzavano beate, altre in lacrime, qualcuno si guadagnava da vivere suonando la chitarra, chi mendicando mentre gli altri passavano con un grande senso di superiorità, non degnando nessuno di alcuno sguardo. Io mi soffermavo sui loro occhi. Non tutti erano accesi, non tutti brillavano allo stesso modo. E provate a indovinare quali erano i più spenti? I loro, sì, proprio i loro, quelli che portavano quell'atteggiamento di superiorità, con magari un buon lavoro, ben retribuito e assicurato, una bella casa, una Mercedes bianca, una moglie con cui ogni giorno rischiavano il divorzio, un figlio viziato e il giro di puttane. Loro, quelli che hanno più potere in questa società.
E grazie al cazzo che è chiamata l'epoca delle passioni tristi - pensai - guarda che branco di depressi sta ai vertici di questo sistema.
Mi venne subito in mente Levi-Strauss, un antropologo, proprio questo era ciò di cui avevamo bisogno, di una società incentrata sull'uomo. I miei pensieri incominciavano a sbocciare così decisi di rollarmi una sigaretta. Forse per spianare a loro la strada. Oppure per dargli un po' di carburante. L'intento preciso neanch'io lo sapevo. Già dopo la prima boccata iniziai a ragionare, intuii la necessità di fare qualcosa, stringere legami, diffondere idee, costruire alternative partendo da un nuovo modo di convivenza, parlare ad amici e parenti ed ascoltare. Tutti.
Mi alzai per buttare la sigaretta nel posacenere. Il sole era calato oltre la chiesa di San Petronio da diverso tempo, il flusso di gente iniziava a diminuire mentre io ero ancora lì ad aspettare. Legami, idee, alternative. Sogni. Con questi propositi decisi di andarle incontro. Alla vita.
Era una bella giornata di sole. La solita routine dava inizio alle danze. Quella mattina camminavo con passo veloce, e mentre cercavo di schivare autisti impazziti e mogli inviperite con i loro mariti, il mio corpo era immerso in sane emozioni, brividi d'amore che si hanno quando si ha una cotta per qualcuno. Mi sedetti ai primi banchi di una grossa aula della mia facoltà. L'aula era particolarmente fredda quella mattina, ma non me ne preoccupai più di tanto perché ad un tratto vidi lei, la mia musa poetica, ispiratrice di tutte le mie virtù, dei miei canti segreti e delle mie insonnie notturne. Il suo sorriso accarezzava dolcemente la mia pelle ruvida che diveniva limpida per magia dell'amore, e quella che inizialmente sarebbe stata una classica lezione universitaria divenne la mia lezione più bella e non capivo come mai lei avesse questo grande potere su di me, o ero io che mi facevo influenzare da lei, visto lo stato in cui mi trovavo. Ogni volta che mi passava accanto, giravo lo sguardo, respiravo affannosamente mentre, madido di sudore, cercavo di non attirare la sua attenzione, poiché molto probabilmente non avrei potuto proferire parola. La giornata trascorse tranquillamente in sguardi furtivi scambiati da lontano, mentre tutte le storie raccontate dal professore rimanevano nell'aria, aria piena dei miei pensieri e di tutte le mie paure che stavano iniziando a prendere forma cominciando seriamente a spaventarmi. Queste paure le vedevo riunirsi dinanzi a miei occhi, formavano l'Ombra di quell'Alessio tanto sensibile e spesso frainteso dai suoi amici.
Il ricordo di quella giornata riflette, in parte, anche quello che sono ora, ciò che posso fare o che la mia mente dice di non poter fare. Lo stravagante Alessio, avvilito, pieno di emozioni, emozioni che di solito non prova, uno strato di ghiaccio che spesso raffredda il suo organismo ma che alimenta la sua Ombra che lo segue anche nei posti più luminosi del pianeta. Mi sono sempre chiesto come può un
All'anagrafe Ciro Scapece, dagli amici chiamato Ciro o'bello, per tutti gli altri semplicemente don Ciro.
Il soprannome se lo era guadagnato per via di uno sfregio sotto la mascella destra, dovuto ad un duello fatto con la famosa "Molletta" ( Coltello con apertura a scatto ). Quando si ha 15 anni e facile perdere la testa, soprattutto se si permettono d'infamarti con epiteti riservati a quelle persone che hanno la madre che di professione intrattiene uomini a pagamento. " Figl'è zoccola" per colpa di questa frase si fece due anni di riformatorio.
La madre nonostante tutto era persona perbene, faceva quel mestiere solo per dare da mangiare ai suoi 5 figli. Dopo la morte del marito avvenuta in un campo di lavoro in Germania, dove fu imprigionato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, la signora si trovo sola, con un'unica scelta possibile. La donna capi subito che per Ciro stare sulla terrà ferma era pericoloso, per il suo carattere ribelle, ecco perché decise di mandarlo a lavorare su di un peschereccio.
Il giovane Pescatore era un ragazzo sveglio, i fratelli Scognamiglio proprietari dei 5 pescherecci della flotta, gli volevano bene, dopo pochi anni lo misero a capo di un'imbarcazione. Si era guadagnato la stima dei propri capi, tra tutte le imbarcazioni la sua era quella che tornava con più pesce a bordo. A nulla servivano le lamentele dei colleghi che l'accusavano di sabotaggio, infatti più di una volta si erano trovati con grossi problemi da dover affrontare: reti tagliate, mancanza di gasolio, guasti improvvisi. I Capi avevano fiducia del giovane, che oltre dalle soddisfazioni lavorative, venivano gratificati ulteriormente dalle conoscenze femminili del ragazzo
Don Ciro però di tutto questo non era completamente appagato, apri anche qualche pescheria per sistemare il resto dei fratelli, ma sentiva di valere di più. In pieno boom economico, Napoli divenne il crocevia del contrabbando di sigarette, ecco l'occasione di una vita: per lui persona
“Hey Calh, che mi dici dei peperoni?”
Calh non risponde, ma muove appena l’angolo destro della bocca, socchiudendo contemporaneamente gli occhi, e la signora che ha posto la domanda capisce, unica nel negozio, che è meglio lasciar perdere, i peperoni li comprerà la prossima volta.
Sono passati solo cinque anni da quando Calh ha rilevato il suo negozietto, ma la clientela è già ben delineata e lui sa bene che la signora alla quale ha appena fornito l’informazione circa i peperoni da non acquistare è una cliente fissa, una buona cliente, ed il mancato guadagno di oggi si tradurrà in un doppio guadagno domani, quando lei, gratificata dal trattamento riservatole, tornerà, e spinta dal senso di riconoscenza metterà nella sua borsa un quantitativo di merce doppia rispetto a quello che aveva intenzione di portare a casa.
Calh conosce bene queste dinamiche, anche i suoi erano nel commercio, pur se in un settore diverso, e certe cose funzionano allo stesso modo un po’ dappertutto.
Il ricordo di quelle mattine trascorse in quello squallido mercatino, (ma che era squallido Calh lo capisce solo ora che è a contatto con questa realtà nuova), a vendere roba sostanzialmente inutile come quelle collanine confezionate da sua madre con ciò che si trovava in spiaggia e canestri intrecciati alla meno peggio da suo padre a gente sostanzialmente bisognosa di tutto, era uno dei più vividi nella sua memoria e, seppure in maniera più naturale, senza un calcolo dietro, anche i suoi invogliavano la sparuta clientela nello stesso modo in cui Calh aveva fidelizzato al suo esercizio la signora dei peperoni.
Lui sa bene che le sorti di quel piccolo bugigattolo da fruttivendolo sono fondamentali per sé e per la propria famiglia nucleare venuta qui assieme a lui, senza contare i tanti parenti rimasti in patria - primi fra tutti i genitori?" e dipendenti in larga parte dalle sue rimesse monetarie.
No, il negozio, (chiamato semplicemente “Da Calh”), è troppo im
La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Problemi sociali.