Ciao Governo
Ti guardo in tv mentre stringi la mano ai tuoi compari, bella la stoffa della tua giacca, stoffa pregiata, veste il tuo corpo senza appesantirlo, scivola lungo i fianchi donando una siluette perfetta, di rimando guardo la mia maglia, è pulita, ha di qualche rattoppo, è la mia maglia preferita, beh per dire il vero è l'unica che ho, la comprai molti anni addietro, su una bancarella al mercatino rionale, ricordo ancora la contrattazione con il venditore affinché me la cedesse per qualche lira in meno. Si, a quei tempi c'erano ancora le lire)la dovrei sostituire, troppo malridotta, non mi da più il calore di una volta, ma non posso farlo, non ho i denari necessari per acquistarne una nuova e poi ci sono affezionata, in questa maglia consunta, in questi rattoppi c'è il mio orgoglio di essere umano, orgoglio deriso dal tuo armadio pieno zeppo di stoffe pregiate.
Ehi, Governo sto preparando il pranzo, non so cosa ne uscirà fuori, ho dovuto mischiare le verdure, sai lo scarto tra i rifiuti del mercato non sempre offre un gran che, ma con un po' di sale in più sarà un buon pranzo, e il pensiero vola alla tua cena, sai di quella che organizzasti per stabilire con i tuoi compari il lavoro di tuo figlio. Anch'io feci una cena per mio figlio, prendemmo delle pizze e una birra, si solo una birra per 5 persone. Quella sera riuscì a trovare il lavoro fisso per mio figlio, il meccanico del mio rione mi promise di assumerlo, naturalmente in nero, solo che dopo qualche anno quell'officina fu costretta a chiudere perché tuo figlio, alla sua bella scrivania nuova decise altre imposte e l'amico mio meccanico non potè tenere il passo con le tasse.
Governo ho letto degli aiuti agli immigrati clandestini, sai si vocifera che hai intenzione di sostituire noi con loro, ora mi spiego perché non ho trovato più la mia invalidità. Sai, come sempre quella mattina feci uno sforzo proprio grosso per arrivare all'ufficio postale, non avevo la forza fisica di camminare,
Stamattina si è svegliata presto.
Un misto di ansia e gioia ha mosso tutti i suoi gesti: ha fatto il caffè
e per sbaglio ha versato un po' di zucchero nel lavandino.
Non le è importato.
Il giornale era ancora sul tavolo e quando si è girata per prenderlo ha alzato gli occhi sulla finestra e ha visto la neve.
Si è avvicinata al vetro: una pioggia gelata, bianca, cadeva nel cortile a fiocchi spessi.
Non è riuscita a smettere di guardare.
Qualcosa ha cominciato a sciogliersi dentro di lei e a scorrerle lungo le braccia, le gambe.
Un po' alla volta tutto è diventato nuovo, anche lei.
E non è che non abbia sentito il frastuono che viene dall'altra stanza.
Solo, non vuole muoversi, andare di là.
Si sente rinata ed è contenta di averlo fatto
Ha aperto la porta e mettendo fuori il primo passo, ha sentito l'aria invernale avvolgerla andando a fare contrasto con la tazza di caffè bollente che stava tenendo nella mano destra.
Ha fatto un respiro profondo, come se volesse accogliere dentro di se tutta la freschezza del mondo.
La città si sta lentamente svegliando.
A fatica.
La neve ha destabilizzato un po' tutti, le ruote delle macchine devono essere cambiate, la gente deve andare al lavoro, lei osserva.
L'imprevisto della neve mattutina ha catapultato le persone in una specie di nervosismo. Si sentono le imprecazioni della gente come echi lontani.
Tutto questo non la riguarda, si sta godendo quella mattina, rilassa i suoi occhi grazie alle bianche e nuove forme che la neve sta dando al mondo.
Come la rilassa la neve.
Fin da quando era bambina è sempre stato così. Quando suo padre la svegliava, annunciando che stava nevicando, lei si precipitava alla finestra con un enorme sorriso e rimaneva a fissare i fiocchi cadere per ore, ipnotizzata. Non riusciva a staccarsi dalla finestra, ogni fiocco per lei era come un piccolo pezzo di felicità che cadeva sul mondo.
Com'era bella la neve.
La sua vicina di casa le ha fatto un cenno con l
"Il tribunale del sacro impero delle isole mediterranee condanna l'uomo libero Richard Wagner, nel nome del Faraone Francesco I a dodici anni di deportazione a contatto con la natura.
Le accuse mosse contro l'uomo libero Richard Wagner sono molteplici: rifiuto sistematico dell'ora d'aria, attività mentale volta alla creazione di pensieri violenti (su sospetto del centurione Boris), pronuncia della parola proibita Jesù (Libro delle parole contro la libertà as/00702) e lettura di libri contenenti nozioni artistico-culturali."
Me ne stavo nella mi piccola cella, la città pullulava di vita e tutti gli abitanti, nelle loro celle, si preparavano all'ora di sonno. La nuova riforma oraria funzionava perfettamente. La giornata era composta da cinque ore: Un'ora di sonno, tre ore di lavoro, un'ora libera nelle nostre celle e un'ora all'aria aperta.
Nell'ora d'aria uscivamo tutti dal nostro blocco celle e tentavamo di distruggere le altre forme di vita che, come affermò l'ormai defunto faraone Alonso IV, erano pronte a sferrare un attacco contro la nostra libertà.
Mi avvicinai al mio computer delle libertà: una grossa macchina simile ad un bancomat dove si aveva la possibilità di ordinare direttamente nella nostra cella tutto ciò che potevamo desiderare.
<Cibo.> Dissi al piccolo microfono della macchina.
<Ordini.> Rispose una voce metallica e scricchiolante.
<Un panino delle libertà, sintetico.>
<Per che ora lo desidera?>
<Lo vorrei al termine dell'ora di sonno.>
<Desidera altro?>
<No, niente.>
<Si gusti la sua libertà Richard Wagner.> La macchina si spense in un cigolio sinistro.
Nascosi il mio libro sotto al materasso e accesi la radio che si sintonizzò automaticamente su Radiolibertà.
"Arrestato Conan Lear, ultimo scrittore rimasto nella nazione. Il letterato sarà giustiziato nel gruppo celle 193, chi volesse assistere può richiedere i biglietti tramite il proprio computer delle libertà entrando nella sezione spettacoli ed eventi." Spensi
A Mardok piaceva addormentarsi con le dita smarrite in quell'incerto territorio tepido. Risvegliarsi all'imbrunire assaporando timidamente il rumore labile della peluria appena sfiorata.
Dell'incidente a lui non era mai interessato molto, vi si interessava come ci si avvicina ad un buco: con le dovute precauzioni. Lo si ricordava con la sua faccia ossuta a sperperare i soldi in corse d'atletica, era forte quando si metteva, ma il più delle volte era ubriaco e si perdeva come un vecchio alla stazione.
Affissi ai muri della città, le sue foto segnaletiche abbondavano. Le macchine gironzolavano sfiorando le banchine scambiando occhiate fortuite ai cinque all'ora.
L'uomo è scappato si dicevano e non ritornerà più, l'abbiamo visto l'ultima volta che giocava alle slot-machine con Ebony Corsair.
Bull mi aveva detto che lo Stato non voleva correre rischi e l'aveva infilato com'era a Rock Island.
Povero Mardok, il suo insieme era una visione alle dieci del mattino.
Ma non ricordarmelo per favore.
È il rosso, il colore che prevale nei miei ricordi d'infanzia.
C'è il rosso brillante delle mie ballerine di vernice, l'amaranto della mia mantellina in lana cotta, il bordeaux del mio primo astuccio di scuola. C'è il carminio di una scatola alta e stretta in fondo a un vicolo striminzito di un borgo di case aggrappate l'una all'altra in cima a una collina: la casa dei nonni. L'intonaco ruvido era di una tinta granata accesa, come gli stimmi di un fiore di zafferano, che la faceva spiccare fra le altre costruzioni, più larghe e basse, tutte dai colori tenui, diversi toni di rosa e giallo.
E ancora, c'è il rubino del vino di zio Piero, di cui a Natale anche a noi bambini era concesso bere qualche sorso per esaltare il sapore delle frittelle della nonna: le panelle di mele e vin santo, che ancor oggi ricordo come la più grande delizia del palato e che per le feste non potevano mai mancare.
Della casa dei nonni amavo gli aromi. Il sentore di vaniglia che pervadeva ogni stanza per l'abitudine della nonna di profumarsi con quell'essenza zuccherina, e l'odore dolceamaro del tabacco, che un tempo il nonno fumava nella pipa e di cui conservava ancora qualche presa, da annusare per ravvivare i ricordi prima di raccontare a noi nipoti le avventure di quando navigava.
Rosso.
Mentre cucino mi verso un bicchiere di vino, per allietare un po' il mio pranzo solitario. Lo faccio sempre.
Ma oggi il mio rosso è più scuro e limpido del solito, e odora di vaniglia tabacco e panelle. Allora mi torna in mente un Natale, fra i tanti trascorsi a casa dei nonni.
Eravamo in cucina, la nonna e io, gli altri a giocare a tombola attorno al camino. La nonna friggeva le panelle e io la osservavo estasiata, così bella pur con le sue rughe, la schiena curva, il profilo indurito dagli anni.
Fuori infuriava un putiferio di sibili, cocci che cadevano, imposte che sbattevano, cartacce come aeroplani, ulivi a sbracciarsi impazziti su un cielo torvo e minaccioso. In cucina, accanto
Lucy viveva in bilico tra la luce e il buio. Sentiva di essere la proiezione del vertice di un triangolo.
Promanava da lei un raggio voglioso che colpi l'angolo, quello sempre di schiena, quello scontroso. Si ostinava a non prestare attenzione al calore della passione di lei, non c'erano versi in comune, non c'era neppure una canzone.
Lucy era il vertice, l'angolo superiore, l'angolo aperto, gli altri due si contendevano la vista di quella nudità sfacciata di linee.
Dirimpetto all'angolo scontroso giaceva languido l'altro.
Lucy lo guardava e s'irraggiava di luce risplendente, di un sentimento inesistente e si lasciava andare lasciva per godere, godere magari solo di parole e luce.
Caricarsi di eros e crescere, crescere a dismisura in un angolo da acuto ad osceno, pronto a ricevere qualsiasi dono.
Quel calore che si sprigionava da Lucy, e come in una danza contorceva le sue membra, lambendo con le sue calde cosce il volto corrucciato dell'angolo di spalle.
S'affacciava quell'angolo costruito sull'ipotenusa, s'affacciava intimidito a lambire quel sesso tanto desiderato.
Era solo timidezza quella che gli faceva voltar le terga a quella principessa, che da sempre aveva sognato e mai toccato.
Principessa o badessa, sempre la solita " fessa 'e mammeta " che muove la punta dell'angolo più scuro, tracciando le linee guida della vita.
Gli occhi del professore giravano sospettosi, volteggiando nell'aria.
L'aria mancava in verità, non c'era molto tempo, c'era un'equazione che corrispondeva ad un'emozione ma il fiato era sempre più corto.
La proiezione riprese indisturbata, Lucy ormai era spogliata di quelle scarse vesti di cui solitamente è dotata.
Si stropicciava gli occhi il povero Luigi, mentre la cerniera dei pantaloni cigolava sotto i colpi inferti dalla sua bestia inferocita.
Non si afferra un uccello in cattività. La gabbia gli ha fatto sognare il volo, quello appagante, quello sicuro, pot
Tramonto e alba si amalgamarono insieme, prendendosi per mano. "Miracolo di Dio" pensò Irene. Lei osservava incantata e il suo cuore gioiva di tale bellezza. Era maggio; il cielo era tinto di un rosso fuoco fiammante con sfumature bianche e azzurrine.
L'aria fresca della sera era avvolta dal profumo delle rose e dall'odore delle Robinie in fiore. E, mentre un treno fischiava nella sera, Irene pensava che il suo treno l'aveva perso tempo addietro. Udiva ancora la voce di Gianni che la supplicava, pregandola di ripensarci. La implorava di non lasciarlo se no per lui sarebbe stata la fine. Ricordava ancora l'irruenza del fiume che irrequieto e burrascoso come i suoi pensieri gli scorreva accanto. Irene rivide il sentiero che conduceva al ponte per attraversare il fiume e sul muretto del ponte, Gianni, in bilico, che stava cercando il coraggio di gettarsi in acqua.
Irene cominciò ad urlare a squarciagola: "Gianni, fermati, ti prego, non fare pazzie!".
Gianni la guardò con quei suoi occhi azzurro mare, limpidi e cristallini e, mentre era in bilico sul muretto, un istante "Déjà vu" gli attraversò la mente.
Questo fotogramma di vita gli parve di averlo già vissuto forse in una vita precedente.
Si gettò nelle acque del fiume, mentre Irene osservava impotente. Gianni però ebbe un attimo di ripensamento e con tutta la sua forza lottò contro la corrente fino a raggiungere la riva.
Ormai erano passati due anni ed Irene da quel giorno non seppe più nulla di Gianni.
Nessuno l'aveva più visto, neppure i genitori di Gianni avevano avuto più sue notizie.
Era come se fosse sparito nel nulla.
I giorni fluivano lenti. Irene diventava sempre più donna. Capelli lunghi e neri, occhi grigi e piccoli seni che come mele acerbe s'intravedevano sotto la maglietta trasparente e, ogni volta che passeggiava in strada, vedeva gli occhi degli uomini che la divoravano come fosse una preda da cacciare.
Irene aveva conosciuto Gianni in vacanza; l'estate in Calabria era caldiss
Questa sezione contiene una serie di racconti brevi, di lunghezza limitata all'incirca ad una videata