Credo tu sia felice con lei.
Certo hai tutto quello di cui hai bisogno, tutto quello che si possa desiderare, ma io sono qui, io ti aspetto, so che verrai, si... verrai.
Venite sempre qui quando fa freddo. Forse comprare oggetti vi mette calore.
Qui, in questo centro commerciale, in quest'arnia di sconosciuti, in questo complesso di cemento e luci artificiali.
Aspetto fuori. So dove lasciate l'auto, sempre nella stessa zona.
Eccoti...
Non faccio in tempo a pensarlo che già vi prendete per mano ed entrate nel caos.
Vi prendete sempre per mano...
Le conosco sai, le tue mani? Le riconoscerei tra miliardi.
Quante volte le ho osservate mentre dormivi, quante volte le ho studiate.
Questo cappotto non è l'ideale. È troppo sottile e qui fra poco nevica.
Sono stanca e goffa. Ciò che devi sapere lo saprai meglio vedendo ciò che ho nascosto sotto questo cappotto, per te.
Spero nessuno lo noti. Qualcuno potrebbe insospettirsi, capire o peggio, non capire e dare l'allarme prima che io lo faccia.
Perché devo farlo e basta. Non posso più vivere in questa morte, con questo rimorso. Di notte vengono a trovarmi strani individui nel sonno allora non dormo. Non voglio più vederli, li riconosco e mi tormentano senza sosta.
L'ho fatto per te...
L'ho fatto per me...
Ho... fallito!
Sono passate due ore e finalmente la porta si apre a voi.
Sei bellissimo... ti amo...
Si, ti amo ed é per questo che vi raggiungo, per questo aspetto che lei si sieda al posto di guida, per questo apro lo sportello dalla tua parte...
"... questo era l'orso con cui dormivi.. é grande.. era il tuo preferito... ti chiami Amore nel mio cuore...
Eccolo!
Ed io sono tua... madre."
Il Licini, che si dilettava di poesia, nell'autunno del 1886 era a caccia di cinghiali sulle rive ombrate dell'Ombrone, gli venne sete e vista una piccola gora di pietra dove l'acqua era limpida e già dissetante a vederla vi si apprestò, si inginocchiò, si tolse il sigaro ritorto di bocca, si genuflesse portando barba e labbra sul pelo d'acqua e mentre suggeva chiaro ristoro... smacc... una lontrona, emersa da l fondo, bella prospera gli stampò un bacio con lo schiocco sulle labbra e trascurando un vago sapore di pesce al Licini gli rimase un certo compiacimento "vedi ben son vecchio faccio ancora desiderio"
Seduta su di un sasso levigato dalla stessa acqua nella quale teneva
immersi i piedi, guardava in su, dietro la sommità della cascata,
verso il cielo.
Ormai stava già piovendo.
Prese su le scarpe e lo zaino, imboccò il sentiero che prima aveva
lasciato e sparì tra gli alberi.
La pioggia sottile e limpida raccolta dalle fronde formava anche un
ruscello lungo il sentiero.
Si fermò in una nuova radura.
Aveva i piedi immersi nell'acqua e le scarpe legate allo zaino. Lo
appoggiò su di un tronco.
Sorridendo si voltò indietro. Adesso le pareva di sentire meglio il
rumore della cascata.
Poi guardò in alto e in avanti, quindi ancora indietro.
Il viso le si illuminò di un nuovo splendido sorriso.
Era bellissimo tutto ciò, pensò tra sé.
L'acqua le scendeva dal corpo e si mescolava a quella che veniva giù
dalla montagna e che colava dagli alberi.
Era inzuppata di gioia quando si ricaricò, com'era, lo zaino sulle spalle.
Riprese a camminare e, mentre rimpiccioliva tra le montagne, smise
di piovere.
Un arcobaleno cristallino, esteso da un parte all'altra del bosco, si
riflesse in una lacrima.
Orgoglioso del suo lettore elettronico passeggiava nel parco, costeggiando il laghetto dove starnazzavano una dozzina di papere non alfabetizzate e che, di conseguenza, non potevano apprezzare la magnificenza di un'innovazione tecnologica che faceva a meno della polvere da sparo. Il libro all'interno del supporto digitalizzato si stava facendo intrigante, tanto da farlo sudare dall'eccitazione. Spesso i racconti erotici hanno questo inconveniente. Così le sue mani divennero umide, lasciandosi sfuggire il lettore che cadde a terra, facendo un rumore che frantumò l'illusione di perennità che le nuove tecnologie giurano di possedere. Lui non era uno sprovveduto, e aveva compensato la sua sfiducia nell'elettronica con un formato cartaceo dello stesso libro, tascabile e con copertina morbida di carta riciclata. Lo trasse, mentre mollava un calcio alla salma del lettore che sfrigolava a terra, dalla tasca posteriore dei larghi jeans, e lo aprì alla pagina dove l'altro si era impiantato. Sarà stato per la difficoltà di mettere a fuoco la diversa e più morbida visuale stampata, o forse per la distrazione di uno dei suoi occhi, divertito alla vista delle papere che si litigavano un transistor, che un suo piede non s'avvide di una depressione del terreno e lo slancio inflitto dalla caduta fece decollare il libro, che si tuffò tra le paperelle inorridite. Lui, sdraiato a terra, non poté evitare di guardare il cielo, nella perdita della speranza di continuare a leggere i gridolini di piacere che i due protagonisti della storia emettevano.
Com'era bello il cielo, e due nuvole che si sormontavano maliziose gli ricordarono di tutto, tranne i due amanti del libro che non avevano smesso di godere, sollevando ondate di piacere che le papere non parvero apprezzare.
Il treno si fermò... Denise salì per prima, con quell'aria da ragazzina spigliata, che non le era congeniale. Restavo con la mamma, entrambe alquanto a disagio. La mamma, sebbene avesse soltanto quarant'anni, aveva una costituzione debole e il fisico appesantito dai molti dispiaceri.
Ciononostante, mi prese per mano, cercando di darmi quella sicurezza che era nello spirito, ma non nel suo fragile cuore. Qualcuno ci notò: "Prego, signore," e ci dava la mano "Dionilla, allunga il passo." Ci, trovammo, così sulla vettura.
La mamma ringraziò, dicendo: "La ringraziamo tanto; le confesso che ero un po' spaurita, per le ragazze."
"Signora, ho fatto il mio dovere. Guardai la sua uniforme che, mi giunse come un lampo fra gli ultimi bagliori. Egli se ne avvide... Quasi ignorando che ero con mia madre, carezzò i miei capelli; il foulards scivolò per l'emozione... Nel rendermelo, tratteneva la mia tra le sue mani, sembrava dirmi: "La divisa che porto?... Sciocchina è un espediente." E chiuse gli occhi... Era un suo tic, ma anche un modo inequivocabile, per dirmi: "Raccogli solo il frutto dei miei sogni."
Ed io capii... E noi capimmo che quel suo lavoro lo aveva scelto. Fui attratta dai suoi occhi color del cielo... Gli tendevo la mano, come ubbidendo ad un dolcissimo richiamo. Ed egli si rivolse alla mia mamma con l'espressione dolce, ma febbrile di chi sa che è prezioso ogni momento: "Venite, vi cerco un posto, idoneo alle signore." Per una istintiva fiducia, la mamma gli diceva: "Accompagni Dionilla... Io vado a vedere dove si è cacciata l'altra figliola." In quell'istante, la mia sorellina veniva, l'aria affranta, di chi vuol dire: "Mi avete abbandonata..." La mamma l'abbracciava... L'agente fece un sorriso e, volendo intrattenersi qualche momento, le diceva: "Ho udito il vostro nome, sorelline..." Mia sorella rispose: "Con chi abbiamo l'onore di parlare?"
"Mi presento" rispose: "sono Walter Angelini, ma la stampa adotta un altro nome..." La mamma rispose:
“Se non smette con il trapano io vado su e l’ammazzo.”
“Come sei esagerato,” disse la moglie.
“Ogni domenica è la stessa cosa, qui si diventa matti.”
“Chissà: cosa sta trafficando? Va su vedere.”
“Impazzisco; ora ci vado!”
“Controllati, promettimelo.”
Conrad prese le scale e salì un piano. Bussò alla porta. Il trapano cessò, la porta si aprì.
“Sì?”
“Scusi, ma sono già tre domeniche che non smette di trapanare. Non crede che la cosa possa infastidire?”
“Oh mi scusi, ma entri un attimo.”
“Non vorrei,”
“Si figuri, le mostro cosa combino.”
Conrad entrò nell’appartamento.
“Vede,” disse l’uomo, “riempio il muro di fori.”
“Lei sta riempiendo di fori il suo muro? Mi vuole spiegare?”
“Niente, a me piace di più così. Mi capisce?”
“Lei non può semplicemente riempire il muro di fori!”
“?”
“C’è gente che abita qui!”
“Presto avrò finito.”
“Senta, se non la smette sarò costretto a chiamare la polizia.”
“La polizia?”
“Mi dispiace, e ora se mi permette,” Conrad si stava dirigendo alla porta.
“Aspetti solo un momento per cortesia, guardi qui.”
“Cosa vuole?”
“Sono soldi.”
“Soldi?”
“Quanto vuole per il disturbo?”
“Lei mi sta offrendo del denaro?”
“Io la capisco, vede, voglio pagare per il disturbo che le reco.”
“Non saprei.”
“Mi dia una cifra, su via.”
“Facciamo 100 per foro?”
“100 per foro, affare fatto.”
“Ha bisogno di una mano?”
“No, no grazie, preferisco lavorare da solo.”
Un dì, se io non mi fossi ritrovata in una sorta di intrigante silenzio, non sarei rimasta lì ferma in un punto ad aspettare che il mio cuore mi parlasse, che il mio cuore mi dicesse di andare avanti. Nonostante le mie forze, ero incapace di scacciare uno stato di mortificante avarizia contraddittoria che mi aveva travolto da capo a piedi, non potevo fare altro che attendere, ovvero di trovare in quel mio voluto silenzio un punto fattibile che mi desse la forza di andare avanti, fino in fondo in quel sentiero che mi sembrava che non avesse mai termine. In quel momento mi sentivo travolgere da un'implacabile agonia silenziosa, mi sentivo come se avessi compiuto un atto pregiudizievole, ma io mi continuavo a domandare, in quale colpe ero precipitata? Di cosa ero artefice? Ad un tratto il sentiero si è dissolto e mi sentivo fluttuare nell'aria, ero sola senza alcun presentimento. Nonostante mi sembrasse che il mio comportamento in quel preciso istante risultasse "iniquo", non potevo fare altro che osservare in quale sorta di inferno fossi capitata. L'inferno della solitudine, l'inferno di avere un cuore gelido, l'inferno di non essere in grado di ritrovarmi quella motivazione che non aveva neanche il diritto di chiamarsi orgoglio.
Continuai a camminare lottando con tutte le mie forze nella speranza che ritrovassi la terra ferma sotto i miei piedi. Continuai a camminare, cominciai a sudare freddo al sentire i lamenti delle strambe creature che mi circondavano, cominciarono a toccarmi, sentivo il loro respiro sulla pelle; mi sentivo abbandonare a quei respiri, non potevo precipitare proprio ora. Cominciai a correre senza scampo, correvo attraverso le fiamme, nella speranza che trovassi una via d'uscita, corsi fino allo stremo. Ad un tratto le mie forze giunsero ad un limite e non potetti altro che arrendermi e chinarmi su quella sottospecie di pavimento infuocato e cominciare a piangere. Ero sola, senza alcuna forza cosa potevo fare? Ma proprio quando sembrava
Questa sezione contiene una serie di racconti brevi, di lunghezza limitata all'incirca ad una videata