La Maestra sfogliò lentamente un enorme quaderno.
I suoi occhiali parevano cadere un po tristi su quella lettura.
-Che dire di vostra figlia signori- Annuì.
-Ci dica! Ci sono problemi?- Chiese preoccupata la madre.
-Problemi? No non mi pare proprio! Vostra figlia;
e non lo dico giusto per dire; è senza dubbio il miglior elemento della classe.-
La donna si aggiustò gli occhiali e continuò ad osservare quegli appunti.
Jacob e Siria si osservarono sorridenti.
-Una bambina socievole, allegra e disponibile.
-Si Alys è così!- Rimarcò suo padre.
-Gli altri ragazzi della classe delle volte, pare pendono dalle sue labbra!-
-Mia figlia una leader?-Chiese l'uomo.
-Non Proprio!- Rispose affrettata la maestra.
-Lei ascolta! Ascolta attentamente ogni cosa i suoi compagni hanno da dirle! Pare così grande per la sua età!-
-L'abbiamo notato anche noi!- Rispose la madre un po emozionata.
-In questi due anni ha fatto enormi passi da gigante!- Ribadì ancora.
La maestra tirò fuori la pagella e la mostro ai genitori.
-Guardate! Ha voti altissimi! Ottimo in ogni materia!
Dovreste esserne fieri! Una bambina modello! E credo sia anche grazie a voi;
per come l'avete istruita.- Concluse.
A Siria scese una lacrima.
-Diciamo che per quanto ci riguarda, abbiamo fatto lo stretto necessario!- Pronunciò il padre.
-In che senso?- Domandò la maestra un po sorpresa.
Fu allora che la parola della madre prese campo.
-Alys è sempre stata una bambina molto sveglia; una grande lettrice; e piena di profonda fantasia; ma soprattutto una attenta e furba ascoltatrice.
-Perché Furba! Se posso chiedere? Domandò la maestra.
È capitato delle volte che ascoltasse di nascosto le mie discussioni con i pazienti; sa, io sono una psicologa e non sempre lavoro in ufficio.
- la donna si fermò per rifiatare.
-Ora io so che non è un bene per un bambino piccolo dover ascoltare certe cose; ed ho evitato fin che ho potuto di lavo
Penso alla mia terra, un'isola bellissima, che non ho saputo apprezzare per molti motivi. Chi giunge in questo luogo, finisce per innamorarsene. Ricordo un giovane insegnante di Perugia che un giorno mi disse: Caltanissetta ha una bella luce. Queste parole, ancora dopo molti anni, mi risuonano nella mente. Prima d'allora non mi ero mai soffermato ad osservare la luce della mia città. In effetti, la luce è una cosa importante, ci aiuta a crescere, a capire.
Capire è anche rivelarsi, svelarsi, svelare. Togliere il velo che nasconde qualcosa. Secoli, millenni di storia, di luce abbacinante, di cultura e di ignoranza, di coraggio e di omertà.
Per molto tempo ho associato la mia terra alla parola omertà, che poi significa paura di qualcosa, di qualcuno. Prima di diventare omertosi, bisogna provare un senso di disagio, percepire un velo negativo che opprime la libertà di agire, di parlare. Nessuno nasce omertoso, ci si diventa.
In questa luce mi sto conoscendo, cerco di guardare oltre le cose, anche se il tempo stringe, anche se le notti sono scure, riesco a scorgere dei lampi di verità allo stesso modo in cui un fulmine illumina e impaurisce.
In fondo, il signore di quest'isola è lui, il vulcano che appare come un gigante, il padre che ci fa sentire protetti ma che a volte perde le staffe e sputa fuoco e lapilli ardenti. L'amore è anche questo, rabbia, furore, gelosia, senso di possesso e anche pentimento.
Amo la mia terra, malgrado tutto, è qui che voglio riposare, qui che vorrei svelare, alla ricerca di un'anima selvaggia e ancestrale che ci unisce come un uomo e una donna.
Chi sei tu?
Si dico a te! Cosa le hai fatto, dove l'hai sepolta?
Di chi sono queste braccia e queste gambe così visibilmente dissimili dalle sue?
Di chi sono queste labbra i cui angoli guardano visibilmente il basso, così amareggiate ed amareggianti.
Di chi sono questi occhi che come un lago ghiacciato lasciano trasparire soltanto indifferenza.
Di chi sono queste mani le cui dita non vivono più alla ricerca di carezze da distribuire ma che sono oramai soltanto custodia del volto che vi affonda per nascondere la disperazione.
Di chi e' questo cuore trafitto da mille stalattiti privo oramai di ogni qualsivoglia barlume di speranza e di affetti.
Dove sono i suoi sogni, le sue aspettative, i suoi amori, le sue passionalità, dove ha nascosto la sua capacità di sognare e di far sognare, di amare, di ascoltare, di parlare, di abbracciare, di coccolare, di consolare, di comprendere e di far comprendere, di perdonare. Dove e' finita la sua umiltà, il suo lasciarsi guidare, il suo mettersi in discussione, il suo saper cambiare.
Chi sei tu?
Con il tuo cinismo, il tuo fare sospettoso nei confronti del mondo intero e della popolazione tutta?
Chi sei tu?
Con la tua caparbietà, la tua intransigenza, il tuo essere il più severo arbitro di te stessa meno che degli altri.
Chi sei tu?
Essere insignificante privo di ogni forma di affetti, di valori, di sensibilità, di pietà, di comprensione?
Chi sei tu?
Con la tua incommensurabile rabbia nei confronti di tutto e tutti?
Sai, non so quando e' accaduto. Non me ne sono accorta ma, in qualche momento della vita devi averla lasciata in un angolo a rimarginarsi le ferite sanguinanti e non devi mai più essere tornata a prenderla. Ed ora? Beh potrebbe essere troppo tardi. Non mi piaci mica sai! Sei l'anti lei per eccellenza e non ti voglio. Sai quel che maggiormente mi dispiace è che le sue figlie non hanno potuto conoscerla. Non sanno e non sapranno mai qual era il buono di lei, non potranno godere della fortuna
Si possono temperare, per indurirli, il vetro e l’acciaio, perché il clima temperato è invece più dolce?
Era un po' come al solito al bar. La solita gente, le solite faccie, niente di nuovo. appena entrai mi diressi subito al bancone a bermi un buona birra gelata. una birra gelata, proprio quello di cui avevo bisogno appena dopo il lavoro. Era un periodo un po' del cazzo per me, visto che lavoravo solo da un paio di mesi. Il punto era questo: mi servivano dei dannatissimi soldi per alcuni guai in cui mi ero cacciato, e visto che nella vita ognuno paga le sue colpe(anche se per me quello che avevo fatto non era una colpa) dovevo lavorare a tutti i costi.
Avevo avuto anche abbastanza fortuna a trovare un lavoro cosi' in fretta, nel giro di un mese la sveglia riinizio' a suonare in casa mia. Facevo tubi di acciaio che servivano per gli scarichi dei cessi delle navi dove qualche riccone avrebbe passato le ferie, e magari gia' che c'era si scopava qualche bambina mentre la moglie lo cornificava con un uomo più giovane di lui.
Non mi era andata male. Lavoravo otto fottutissime ore al giorno, ma alla fine lo stipendio non era malaccio. Certo non ci avrei ma i passato la vita in quel gran bel posto di merda della fabbrica. Comunque, entrai nel bar, inizia a bere una birra, dopo un'altra e un'altra ancora, fino ad arrivare alle sette e mezza totalmente ubriaco. Non tornai neanche a casa a mangiare, non avevo voglia ed in più era un po' un periodo del cazzo. Forse dovevo dimostrare qualcosa a qualcuno, ma io quello che dovevo dimostrare non l'avevo per niente capito, e quindi ero molto irrascibile e pronto a scattare ad ogni minima provocazione, anche quella di qualche amico.
Entro' Ronny, un tipo sulla quarantina abbastanza scassa-cazzo, sempre pronto a giudicare la vita degli altri, sempre pronto a sputtanare la madre di qualcuno, sempre pronto a non farsi i cazzi suoi. Il roblema di Ronny era uno solo, aveva quarant'anni e non aveva combinato proprio niente nella sua vita: non aveva un lavoro, e s'indebitava come un dannato con puttane d'alto borgo, coca,
Strano e magnifico è il mentire a se stessi, perché costringe a godere di una caricatura di libertà, nella quale ogni mentitore è libero di cambiare la versione che dà di sé quando crede gli convenga. La parodia dell'indecente spettacolo dato dagli individui, sguinzagliati dalle proprie intenzioni maligne, regala sorrisi di compiacenza e consigli tesi a convincere che nulla al mondo ha una ragione d'essere, e che quella è la vera libertà: la stessa che annichilisce i deboli nella convinzione che la natura favorisca i più forti. La natura, da parte sua, è una trappola ben congegnata, e come tutte le trappole attira col desiderio coloro che giurano di essere generosi. Magnifico universo quello che non ci mostra i suoi confini, che sono gli stessi di quelli che si aprono all'interno di ogni essere. Meraviglioso tranello quello che attira gli ignobili verso il successo di tutto ciò che non conta. Ogni istante della nostra vita è condensato in una parola scritta, che il dito puntato a caso sopra la pagina di qualsiasi libro ha trovato. Tutto è a nostra misura senza che la nostra tanto celebrata razionalità possa solo sognare di riuscire a comprendere. L'universo è... perché ognuno di noi è il fine dell'universo. Inutile ribellarsi alle leggi che fissano il sopra e il sotto, il dentro e il fuori, la qualità e la quantità di ogni cosa. Il movimento danza insieme a ogni danzatore, stringendogli i fianchi nella morsa mortale che questi ignora gli sia amica, in un frastuono battuto dal rinnovarsi di vite diverse, pulsanti in dimensioni differenti tra loro perché lontane l'una dall'altra, dove come asini al basto della Libertà gli esseri insegnano agli altri esseri cosa è il bene e cosa il male. Male che è l'unica realtà della quale i confini, presto e mai troppo tardi, si delineano all'orizzonte squallido della propria delusione.
Maria era sola, una goccia fra tante. Ogni tanto sedeva alla finestra, lo sguardo perso oltre la linea dell'orizzonte. Fu così che si perse nel sogno, pensando ancora una volta all'arte del volo, negata agli uomini per uno scherzo crudele di atomi e molecole mal combinati tra loro.
Nel sogno era un'aquila, le ali grandi stese a fendere l'aria, con pochi movimenti precisi che scoprivano istanti di libertà. Sì, nel suo sogno era felice: tutti i problemi erano lontani, poco più che formiche distratte ed insignificanti. Era felice di poter volare, librarsi sul mondo e guardare oltre l'orizzonte: allora lo vide, e capì che tutto era stato vano.
Al suo risveglio, una lacrima le carezzava la guancia. Aveva dimenticato il suo viaggio nel sonno, ma qualcosa dentro di lei si era spento per sempre.
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