Nel corso della storia l'uomo si è macchiato delle peggiori infamie, ma niente può essere infimo e bastardo come una scorreggia in ascensore.
Prendete un ascensore e riempitelo di gente: dottori, fattorini, vecchie signore con in testa cappellini che manco un George Romero strafatto di metadone avrebbe saputo concepire.
Tutti lì, che guardano in terra e ascoltano in silenzio il rumore dell'ascensore.
Mettiamo che voi andiate al secondo piano e tutti gli altri al quarto o al quinto.
L'ascensore ronza. Ogni tanto qualcuno dà un colpo di tosse tanto per mostrare imbarazzo, mentre la vecchia sbuffando vi appoggia le borsine della spesa sui piedi.
Bing.
Secondo piano, le porte si aprono.
Un paio di metri vi separano dall'uscita, e voi in quei due fottuti metri riuscite a sparare una loffa di quindicisecondieotto: di quelle caldine e silenziose, quasi piacevoli se non fosse per la loro alta concentrazione di plutonio. Un deospin programmato per uccidere insomma, e statene certi, tra 20 anni, quando il Polo Sud sarà diventato una località marittima, i pinguini sapranno chi ringraziare.
Ormai siete usciti dall'ascensore. Se vi voltate in fretta, farete in tempo a salutare con ghigno bastardo il fattorino in preda al panico, mentre il dottore tenta di rianimare la povera nonna ormai agli sgoccioli.
Le porte si chiudono lasciandoli sigillati al loro destino.
Probabilmente non tutti ci arriveranno vivi al quarto piano. Pazienza.
Devo ammettere che appena messo piede sul sicuro poggio tirai un bel sospiro di soddisfazione, non è da tutti i giorni infatti che un sessantenne pensionato dopo una intera vita vissuta tra i banchi di un liceo con le poche escursioni alla ricerca di funghi si possa improvvisare un Indiana Jones o un pellerosse mohicano. Compiaciuto rivolsi lo sguardo alle mie spalle e la vista dello strapiombo appena oltrepassato mi riempì di orgoglio. Sinceramente in quel momento non pensai affatto che in giornata avrei dovuto rifare la stessa strada per il ritorno. Mi concentrai invece sul luogo in cui mi trovavo.
Il terrazzamento era lungo una cinquantina di metri e largo mediamente due, con punte di tre nella parte centrale, quella davanti l'accesso alla grotta. Proprio in quella zona vi era l'origine del fumo, dovuto alla bruciatura di un mucchietto di foglie e sterpaglie in parte secche e in gran parte ancora verdi e umide. Al centro dello spazio, quasi a mezza distanza dalla grotta era stato improvvisato un braciere fatto di pietre disposte a semicerchio e in quell'incavo erano state deposte le foglie. Non molto lontano dall'improvvisato focolaio vi era un grosso mucchio di sterpi e foglie che, poco alla volta, sicuramente venivano usate per alimentare il fuoco. Ovvio che in quelle condizioni il fumo che ne scaturiva fosse grigio, quasi bianco, e per la quasi mancanza di vento si innalzava alto nel cielo come una colonna bianca.
Aguzzando lo sguardo riuscii a notare oltre il fumo una indistinta sagoma umana accovacciata per terra e con le spalle poggiate ad un grosso arbusto, di quelli che spuntano miracolosamente anche dalle rocce. Prima di avvicinarmi lanciai un rapido aguardo ai dintorni, alla mia destra il magnifico panorama che spaziava sulla sottostante valle e le basse colline, qualche centinaio di metri più sotto, oltre una mezza dozzina di altri terrazzamenti si riusciva a intravedere un vecchio ovile in muratura e da esso un cavo nero che superando la distanza
Il teatro era vuoto, per la prima volta dopo l'ultimo spettacolo. Sul palco c'ero io e non più gli attori. La scenografia, i costumi, le attrezzature e i marchingegni che dietro tutta quella messa in scena si celavano adesso erano in mio possesso. Potevo conoscerne il funzionamento. Potevo capire come e cosa c'era dietro a quell'apparato, a quell'apparire. E così saltano le maschere di tutti gli attori e allo stesso modo si rompono le maschere e i poteri di tutti i burattini politicanti, gli attori dello Stato. Ero sul palco d'un teatro, ma adesso ogni lineamento diventava più visibile, ogni forma più composta e la vera natura di quello che mi stava attorno cominciava a diventare più trasparente, più facilmente conoscibile ai miei sensi: non mi trovavo in un teatro, mi trovavo sul palco del potere di chi fa le leggi; e tutti i belli attori tanto bravi li avevamo cacciati e c'ero io, ma il pubblico era sostanzialmente rimasto lo stesso. Ma ora c'ero io che meravigliato in un primo momento ed entusiasta dalla voglia di conoscere, capire, esplorare lo strumento non ancora avevo maturato la coscienza. Ma poi capii: adesso c'ero io a manovrare le redini, a spegnere e accendere luci e a raccontare cazzate.
State a sentire come era iniziato quel giorno. Fila per l'ascensore. Fila alla fermata. Fila sul bus. Fila al Bar Franchetti per il caffè. Fila all'Ufficio Postale. Tutti allo sportello raccomandate, tutti con la busta bianca col medesimo indirizzo, tutti con un sogno chiuso nella stessa busta stirata come la Sindone nei giorni dell'ostensione. Tutti per quell'unico posto.
Tutti, e anch'io, con la mia busta in mano e la modulistica compilata a casa perché tanto come al solito quando si va alla posta le penne non entrano nelle tasche (le penne hanno paura degli uffici postali più dei cani quando li porti dal veterinario).
La mia busta. In mano. La mia busta, che mi appare però diversa da quella che custodiscono gli altri: è di carta, è bianca, ma è più piccola. Decisamente più piccola: è la metà.
Me ne accorgo contemporaneamente al guadagno del mio turno davanti allo sportello. Nel ghigno del dinosauro di sesso femminile che mi guarda dall'altra parte del vetro riconosco il tipico impiegato delle poste. Ma anche lei ha fatto la stessa domanda per quel posto? Ma la sua busta non va mica, sa? Guardi: è la metà di quella che il bando del concorso indica come dimensioni obbligatorie per spedire la domanda!
Insisto per spedirla, come la sia la sia.
La dinosaura incalza: guardi che io potrei anche farmi i fatti miei, sa? Glielo dico per lei: non vede come tutti abbiano dligentemente utilizzato la stessa busta, quella di dimensioni regolamentari? Non le viene il dubbio che la sua domanda non venga nemmeno presa in considerazione? La raccomandata per me la può pure fare, sa? Però sta sprecando del tempo inutile, con questa busta che è la metà esatta di tutte le altre!
Io a questo punto le spiego sibilando che la busta è grande la metà perché ho piegato il modulo della domanda. Un boato fa tremare i cristalli temperati dell'Ufficio: l'intera fila di aspiranti lavoratori esplode come la tribuna del Liverpool "HA PIEGATO IL MODULO!!!" e tutti
Eh si, è proprio vero, il più grande amico dell'uomo è il cane. Sempre fedele, sempre pronto a difenderlo, sempre agli ordini. Dai, ammettilo, di che ti piace vedermi scodinzolare quando mi chiami, o quando stiamo per uscire, o ancora quando mi accarezzi. Anche quando sto accucciato vicino a te. Vuoi comandare e farti ubbidire. Sempre! Anche quando mi rimproveri, chino il capo, ti guardo timidetto e ti resto vicina. Anche quando non ho fatto nulla e sei tu ad essere lunatica. E poi mi tratti come fratello, figlio, amante (ti piace farti leccare dalla mia lingua lunga umida e liscia). E sopporto pazientemente tutte le tue attenzioni. E i tuoi eccessi di attenzioni. Mi mostri alle tue amiche, parli dei miei pregi e soprattutto delle mie imperfezioni. Sono un po' sovrappeso e mi hai messo a dieta. Quando mi hai preso ero magrolino e mi hai portato dal dottore per una cura ricostituente. Le tue amiche mi sorridono, scodinzolo, fo' gli occhi languidi, cerco di rubare una carezza e tu pronta a tirarmi via. Non vuoi che mi avvicini a loro, nonostante tutto sei gelosa. Mi dici: seduto, in piedi, andiamo, e io sempre pronto a scattare. Guardo le tue amiche, scodinzolo e trotto dietro a te. Se c'è un cane grosso, mi tieni lontano e con una mano gli gratti la testa in segno di amicizia. A lui. Se c'è uno più piccolo, mi tieni lontano, lo prendi in braccio e lo stringi al tuo seno. A lui. Ma io sono sempre fedele. E poi mi chiami con tutti quei nomignoli. E io ti corro sempre in contro.
Solo che io non sono un cane. Prenditene uno, se vuoi trattarlo in questo modo. E la mattina smetti di fare colazione con latte acido e caffè di cicoria! Per non parlare dello yogurt magro, pieno di fermenti lattici vivi, delle 10, delle 13, del pomeriggio e della zucchina lessa della sera.
Per capire la vita è necessario essere filosofi, studiare filosofia è indispensabile. Questo almeno inizialmente, poi ti accorgi che ha a che fare di più con la psicologia, e studi quella. Ma è tutto così robotico. Coma la biologia, causa ed effetto. Invece alla fine la vita è comica e basta. È ironica e surreale. E si deve diventare comici per poterla sopportare meglio. Ehi! Se ridere non è filosofia, allora cos'è? E così ritorniamo all'inizio... È una spirale senza inizio, è una sfera con un buco al centro, ecco cos'è la vita. È una ciambella alla cicuta.
Da "La Sentinella democratica", per gentile sua concessione, riproduciamo il seguente editoriale:
Del progresso e dei suoi tormenti
L'opinione pubblica progressista è lacerata. Li vedi, i cittadini della Costituzione più bella del mondo e con l'immancabile Repubblica sotto il braccio, brancolare incerti per strada, nei corridoi, nel chiuso dei loro uffici. Ad un esame superficiale, potresti dire che il loro sguardo sia quello solito, forse un po' più pensoso e riflessivo ma, tutto sommato, quello solito. Un'indagine più accurata, però, rivelerebbe che le rughe che solcano quei visi non sono l'encomiabile lascito del tormento civico, l'ammirevole espressione del diuturno assillo per le sorti del Paese bensì il frutto di un disorientamento terrorizzante.
Qualche giorno fa la Rep., forse con colpevole leggerezza, ha sbattuto in prima pagina l'ennesima, tristissima vicenda di violenza sessuale nei confronti di una donna. Collaboratrice domestica e nicaraguense, per l'esattezza. La notizia era corredata dagli usuali lai circa la disgregazione delle tradizionali "agenzie socializzanti" imbriglianti la ferina aggressività maschile, disgregazione aggravata dalla riprovevole disattenzione della classe dirigente e dall'ottusa politica dei tagli alla spesa pubblica.
Il giorno dopo, però, sono sorte delle complicazioni.
Si è venuto infatti a sapere che l'accusato, che respinge sdegnato ogni addebito, è gay e non ha mai fatto mistero del suo orientamento sessuale, come confermano amici, parenti e conoscenti.
Una prima inquietudine, così, ha iniziato a serpeggiane nell'animo del cittadino progressista, politicamente, manco a dirlo, correttissimo. A chi credere? Alla donna o al gay?
Per fortuna e prontamente è intervenuta nuovamente la Rep. a dettare la linea di condotta. Donna e straniera batte omosessuale ma italiano 2 a 1, per riassumere grossolanamente, chiediamo venia al massimo organo del civismo italico, il senso del profluvio di editoriali sulla spin
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