I
Ilgaro nasce da una povera ed umile famiglia. A 23 anni ne subisce le conseguenze moralmente e socialmente scegliendo di evadere dai loro giudizi e dalle loro incomprensioni.
Emigrati in Germania negli anni '70 si portarono dietro solo la grande volontà di formare una famiglia diversa da quella in cui hanno vissuto. Ma la vita non ha ricambiato loro questo enorme sacrificio. Ilgaro è fuggita.
Febbraio 199due
Ilgaro lasciava sua madre sola in un bar dopo che Andrée l'aveva portata via dalla sua vita, considerando il suo modo d'essere peccaminoso e senza futuro. Certo, a 20 anni Ilgaro si sentiva forte e non aveva la minima voglia di ritornare sotto le vesti dei genitori che non la capivano. Amare una donna era completamente fuori luogo dopo una educazione liceale ed universitaria. Fino al momento in cui Ilgaro, diciannovenne, aveva conosciuto Andrée non aveva fatto l'amore con nessuno; le stravolse l'esistenza. Andrée con due figli, aveva trascinato Ilgaro in una mostruosa povertà ma ricca di universo sessuale che non aveva mai toccato. In precedenza Ilgaro amava solo nei sogni e si innamorava senza vivere appieno il suo sentimento, soffrendone. A 19 anni il varco che si apriva la conduceva a vivere tutto il tempo perso, non importava se Andrèe, avendo figli, non lavorava. Ilgaro pensava a tutto; Andrèe e i suoi bambini erano la sua "nuova famiglia"; non pensava alla decadenza, alla perdita della coscienza, alla fame a cui stava indando incontro, prosciugando il suo conto in banca ed oltre... il bancomat ad un certo punto venne mangiato da una bocca senza pietà, dal momento in cui Ilgaro ed Andrèe pensavano solo a prelevare senza mai ricoprire il conto in rosso.
Ma tutto questo Ilgaro non lo sapeva quando lasciò sua madre smarrita fuori da quel bar, in una città a lei completamente sconosciuta...
Agosto 199cinque
Ilgaro rinasceva tornando a vivere diversamente. Il papà di Andrèe moriva in ospedale dopo una lunga e sofferente malatti
sopra le urla, il suono di una chitarra.
jimmi stava facendo un assolo...
non ne poteva più oramai... le sembravano passate ore, rinchiusa dentro quella stanza, mentre i suoi urlavano in salotto e lei cercava di coprire il tutto con la musica che più amava...
la musica, la stessa musica che l'aveva salvata dall'avere una mente chiusa, la stessa musica che le aveva fatto aprire gli occhi sul mondo, quella con cui era cresciuta, che aveva nel cuore, che le permetteva di andare avanti ogni giorno, senza lamentarsi.
alzò ancora il volume, mentre dall'altra stanza proveniva il rumore di oggetti lanciati contro il muro, piatti e bicchieri spaccati per terra, la solita scena di sempre, la solita maledetta situazione.
Lei si chiudeva in camera, loro urlavano e spaccavano tutto.
ogni giorno grida inutili, inutili gesti di odio, inutili e false riappacificazioni...
perchè non si era ancora decisa ad andarsene, a fuggire da quella vita?
perchè era ancora li, in quella stanza, in quella maledetta casa con quelle maledette persone?
forse non lo sapeva nemmeno lei.
si alzò dal letto e, dopo aver spento lo stereo e aperto la porta, entrò in corridoio.
stava uscendo solo perchè non sentiva più le urla, e voleva dare un'occhiata, sapere se tutto si era risolto oppure se, come sempre, uno dei due litiganti si era allontanato per un po' da quell'atmosfera delirante, carica di panico ed odio.
ma, appena aperta la porta e messo un piede nel corridoio, una strana calma piatta la attendeva.
non le piaceva affatto quel silenzio, c'era qualcosa che non andava in tutto questo.
"di solito sbattono la porta e qualcuno se ne va incazzato, poi torna e dopo 5 minuti torna tutto come prima, casino e litigi, litigi e casino"
ma stavolta era diverso, se lo sentiva, aveva la pelle d'oca e le faceva quasi paura percorrere il piccolo e stretto corridoio.
ma andò avanti, senza fermarsi.
i suoi prima erano in salotto, si affacciò ma trovò solo casino ad attenderla, no
È una di quelle sere in cui mi sento la testa e il cuore pulsare freneticamente, scossi dal forte desiderio di raccontare quello che li occupa.
E' una di quelle sere in cui volentieri starei sul divano (possibilmente non quello blu, che è un po' scomodo )con la testa tuffata nel petto e tra le braccia di chi è disposto a farsi amare da me, di chi è disposto a non avere paura di me, confidando nel suo desiderio di tenermi stretta a se.
È una sera in cui, se fosse possibile, mi estirperei da dentro tutto il dolore che è tracimato nella mia vita, soprattutto negli ultimi dieci anni, relegandolo in un nascosto andito, cosi che resti per me solo un brutto ricordo.
È una sera in cui, se potessi, vorrei chiudere gli occhi contenta, senza essere spaventata da quel che c'è dopo la notte, questa e quelle che verranno.
Quante cavole di cose che vorrei che accadessero in una sola sera! definirmi velleitaria è come usare un eufemismo.
Ad ogni modo, ritenendo impossibile l'esaudirsi (almeno nell'immediatezza)dei miei desideri, l'unica iniziativa da intraprendere, anche se non so quanto utilmente, è quella solita di scrivere, che, come il piangere, ha su di me un effetto catartico, pur se poco durevole nel tempo.
Peraltro scrivere, è un modo per mettere a freno la mia brama interrogatoria, che normalmente si sfoga sugli altri, e per dar ordine ai miei scompigliati pensieri, che con alterno e a volte contraddittorio contenuto, mi saltellano nella testa e non mi danno tregua.
Insomma, scrivendo, tento di irregimentarli in categorie razionali, cosi dando loro ordine, e di individuarne il nitore dei contenuti.
Quindi se io ti farò leggere quel che ti sto scrivendo (essendone tu il destinatario) , non spaventarti, perchè non stai per essere sottoposto all'ennesima indagine del commissario Maigret. Al massimo, stai per essere invaso da un ondata di pensieri, rispetto ai quali, però , potresti non riuscire a muoverti con l
Oggi ero in macchina con mio padre e abbiamo iniziato a parlare di chi è volontario in croce rossa, come alcuni miei amici, e dei vari incidenti, e sono rimasta colpita da una cosa.
Era il 1984, Agosto per precisione, mio padre era insieme a degli amici in casa, stavano aspettando altri 2 ragazzi; uno di 16 e l'altro di 18 anni, erano su una vespa, era una bella giornata, il sole era alto e loro non vedevano bene;
Arrivarono ad un passaggio livello, quelli vecchi di una volta, senza la sbarra ma solo con il lampeggiante e il suono, i 2 ragazzi stavano andando tranquillamente solo che avevano il sole negli occhi e non si accorsero che il semaforo stava lampeggiando, quando se ne accorsero era troppo tardi, il ragazzo alla guida appoggiò istintivamente i piedi per terra per frenare, solo che all'inizio del passaggio livello c'era una piccola cunetta che li catapultò oltre la vespa.
Il ragazzo sedicenne che era dietro volò oltre il passaggio livello e si ruppe il bacino in 5 punti, a sedici anni la sua carriera da ciclista fu stroncata.
Il ragazzo diciottenne finì contro la punta del treno che gli tagliò la gamba sinistra all'altezza del ginocchio.
Mio padre e gli altri amici corsero per soccorrerli, l'ambulanza arrivò dopo mezzora, mio padre vide gli occhi di quel ragazzo senza una gamba, vide il sangue, e quel suo sguardo perso nel vuoto, era sveglio ma non era coscente di quello che gli era successo; li portarono all'ospedale e si salvarano entrambi, aveva perso3 litri di sangue mentre aspettava quella stupida ambulanza! Pochi minuti e sarebbe morto lì, sotto gli occhi dei suoi amici, dei genitori e del suo compare di avventure.
Mio padre tornò a casa, si scolò mezza bottiglia di liquore e non si ubriacò, era come acqua, non sentiva più niente, non mangiò per dei giorni, nella sua mente continuava a vedere quegli occhi vuoti, insensibili, e quella gamba, frantumata, non c'era rimasta neanche più la scarpa.
La telefonata
Ore 6:00 del mattino. Nel dolce e calmo silenzio dell’alba Mark venne svegliato bruscamente da un suono fastidioso, continuo, martellante, insopportabilmente sempre uguale. Si girò irritato verso il comodino guardando la sveglia con intenzioni distruttive, ma aprendo meglio il secondo occhio fino a quel momento ancora socchiuso, realizzò che ciò che aveva posto fine ai sogni di una notte serena e che stava suonando instancabilmente già da un po’, non era altro che il telefono. Piacevolmente avvolto nel tepore del piumone, pensò che non fosse necessario alzarsi, non ancora almeno, ma decise di rispondere allungando pigramente il braccio in direzione dell’odiato apparecchio. Per la verità avrebbe preferito girarsi su un fianco e continuare a dormire, ma l’insistenza di quella chiamata lo aveva convinto ad alzare la cornetta per porre fine a quel suono così snervante. Non riuscì nemmeno a terminare il “Pronto” che dall’altra parte una voce femminile concitata lo interruppe bruscamente. “…Sua moglie ha chiesto di lei …84 Darton Street…si sbrighi!”, furono le uniche cose che riuscì ad afferrare da quella telefonata piena di interferenze e rumori prima che si concludesse di colpo e inaspettatamente. Mark restò senza parole. Tutto era accaduto in maniera talmente fulminea che non riusciva a capirne il senso. Ancora perplesso si sedette nel letto con la schiena appoggiata alla testata e fissando la parete di fronte iniziò ad analizzare con calma i pochi elementi di quella assurda chiamata. Ad un tratto il suo sguardo si fermò sulla cornice d’argento del comò distraendolo dalla sua riflessione. In quella foto Sara era sorridente, spensierata, bellissima e non solo perché un raggio di sole le illuminava il viso e i capelli dorati, ma soprattutto perché era innamorata. Innamorata perdutamente di Mark. Come in una sorta di flash-back iniziò a ripensare a tutte le cose che avevano fatto insieme, ai momenti vissuti e ai l
Sta aspettando il 71 da più di un quarto d’ora. Per fortuna l’ombra di una pianta del parco Ruffini rende l’attesa meno stressante ed in fondo a lei non dispiace aspettare. Sua madre le raccontava sempre che “l’attesa rende il viaggio più gustoso”. E poi in fondo lei adora incontrare tante persone e quindi l’eventualità di non trovare posto a sedere non è assolutamente un problema.
Eccolo finalmente: sta curvando da corso Trapani per imboccare via Lancia.
All’apertura delle porte c’è un gran via vai tra persone che escono ed altrettante che entrano. Lei è piccolina e riesce ad intrufolarsi tra una signora con enormi borse della spesa ed un ragazzino con lo skateboard.
Le porte si chiudono ed inizia a curiosare tra i volti.
Una giovane ragazza è seduta in maniera poco elegante nel posto vicino all’obliteratrice. Un body verde fosforescente l’attira moltissimo. E quelle magre braccia scoperte sono indubbiamente un’eccitante attrazione. Senza contare che i pantaloncini corti lasciano la vista su due lunghe e bianche gambe.
Wow! Realmente uno spettacolo. Ma sa bene che la preda migliore non sempre è la prima.
Nei posti in fondo al bus siede un interessante ragazzo di colore. Porta una maglietta da basket che mette in risalto la pelle lucida che attornia dei muscoli potenti.
Ma all’improvviso un dolce odore la attrae. Un’anziana signora porta un profumo neutro di acqua di colonia, classico ma eccitante.
Prova ad avvicinarsi, ma è infastidita dalla borsa della spesa che emana odori di tutt’altro sapore. Bleah! Aglio! Lei odia l’aglio!
Si allontana rapidamente, ed incrocia lo sguardo di un antipatico signore che sta litigando con uno straniero. No, a lei piacciono le persone dolci, e quello lì deve essere proprio cattivo.
Il ragazzino straniero con cui sta litigando potrebbe essere interessante ma, accidenti, scende alla prima fermata.
Due signore autoctone chiaccherano animatamente e sembrano cantare. La
Finalmente di buona lena mi alzo, la notte è passata tra un dormiveglia e i tuoni che di soprasalto mi svegliavano, per mia fortuna crollavo subito tra le braccia di Orfeo ogni volta.
Indosso pantaloni e stivali per affrontare il fango che troverò fuori dall’uscio di casa, non prima di essermi lavato e fatto la barba, aver fatto una abbondante colazione, guardando fuori dalla finestra mentre sorseggio un buon latte e caffè noto un albero che si è accasciato per via della tempesta notturna appena passata. Era un vecchio amico, quando alla sua ombra sostavo prima di entrare in casa, oppure seduto sulla sedia a dondolo stavo sotto a sentire i passerotti, ora il giardino sembra più grande, dal suo tronco ho ricavato delle tavole che userò come piano per un tavolo, resterà ancora com mè per tanto tempo. Per aiutarmi ho chiamato un vicino, Robert è inglese ma parla bene l’italiano, mi insegna qualche parola di inglese, sono un allievo con poca pazienza per le lingue. Dopo aver fatto pulizia in giardino tagliato a pezzi il legname ci meritiamo un buon bicchiere di vino, progettando come tagliare il tronco per ricavarne delle tavole mi spiega di come da lui in un piccolo paese dell’Inghilterra fanno quando un albero muore. Credo che alcuni passaggi del racconto mi siano stati da lui ingigantiti, ma lo lascio parlare, fantasticare perché è pur sempre un amico, raccontò che dopo aver utilizzato i vari rami e fronde il tronco lo si lascia stagionare per un anno circa, poi si taglia e si ricava il cuore dell’albero lasciando il centro del tronco in un'unica sezione verticale così da ricavare una specie di matterello per tirare la sfoglia per la pasta. Ancora oggi la uso per fare delle ottime tagliatelle che con i miei amici sono una mia specialità.
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