Sera fredda e nebbiosa a Melegnano, non so cosa mi porta a camminare per la città con questo tempo e a quest'ora, forse il piacere di gustarmi le vie cittadine quando nessuno è in vista, guardare incuriosito i giochi d'ombra che si creano in anfratti debolmente illuminati con la nebbia a fare da principale comprimaria.
E così cammino riempiendomi gli occhi di immagini curiose ed irreali, facendo lavorare la fantasia immaginandomi situazioni suggestive come le solitarie vie che percorro ; sono in giro a curiosare e pensare, e, con poco, passo bei momenti sotto la magica nebbia o, quando a tratti questa si apre, sotto un fascio argenteo di luce lunare, eh si! Perché stanotte c'è anche la luna piena che impera sopra la coltre, soffice e immateriale, che incombe sulla città.
Mi ritrovo a passeggiare verso il castello, l'illuminazione fioca sotto la nebbia da dell'edificio un'immagine a tratti tremolante, da farlo sembrare un miraggio notturno, in certi momenti però riemerge nitido ed imponente a ricordarti che è lì da secoli e, quasi a schernire la tua piccola parentesi in questo mondo, lì rimarrà per tanto altro tempo ; non posso fare a meno di ammirarlo.
Nel fossato c'è una piccola luce bianca, hanno messo un altro riflettore? ! No! La piccola luce si muove, qualcuno con una torcia passeggia nel fossato e siccome sono tremendamente curioso, con un piccolo sforzo scendo e mi avvio verso questo signore che riesco appena a distinguere attraverso la nebbia che si fa piu fitta.
Ecco gli sono al fianco, lui mi ha notato da un po' dato che ha fatto piu cenni di saluto, ora che gli sono vicino mi sorride trasmettendomi una sensazione di tranquillità. Non ha torcia, ma è la sua intera figura ad emettere una chiara luminosità, è vestito da militare : tunica scura, credo blu, con cinturone e fibbia argentea, calzoni rossi, ghette bianche sopra gli scarponi e kepì rosso ; porta anche dei gradi sulle maniche che m'incuriosiscono attirando il mio sguardo in mod
A fine marzo 1943 Mario aderì al minuscolo gruppo clandestino di operai della fabbrica in cui lavorava. Divenne lui l'uomo che piazzava i pochi volantini all'interno dello stabilimento, gli venne insegnato come fare e quando muoversi. Apprese così che il materiale cambiava più volte mano, c'era un passamano di distribuzione interna tra i pochissimi attivisti. Si facevano delle " uscite" con questa stampa, poi si stava fermi per giorni e giorni in attesa degli eventi e che si calmassero le acque. Oltre a questo, Mario partecipava alle riunioni molto segrete del gruppo, alle quali erano presenti politici antifascisti che avevano già conosciuto il confino e in taluni casi erano ancora dei sorvegliati speciali. Conobbe così un muratore socialista, un calzolaio comunista, due avvocati , tutte persone che vivevano e agivano nell'ombra e nel pericolo per mantenere i contatti con altri gruppi nel territorio provinciale e oltre ; lo scopo era quello di diffondere e coinvolgere il più possibile in una protesta, contro la guerra e le condizioni di vita, anche le altre fabbriche della zona industriale e del porto.
Mario iniziò così una vita tesissima : smontava dal turno alle sei del mattino, dopo dodici ore alla lavorazione della pressa, riposava qualche ora a casa, appena qualche ora di sonno, duro e pesante ; poi via, nuovamente, egli spariva in qualche riunione con gli altri compagni. Si incontravano in posti oscuri e disparati: vecchi casoni da pesca abbandonati ai margini della laguna, il retrobottega di un tipografo o di qualche artigiano fidato, persino in una canonica... in questi incontri ci si scambiava opinioni su come procedeva della guerra, si ricevevano incarichi, si studiava come allargare la rete di penetrazione della protesta.
In casa, la madre di Mario non lo vedeva quasi mai e la poveretta lasciava per ore, sulla tavola, il piatto della cena destinato al ragazzo. Il padre,
Giovane e ingenuo, affidai le mie speranze e la mia onestà di inesperto guerriero al nostro generale, soldato aduso a guerre e saccheggi, divoratore di giovani destini, oppio dei nostri cuori, mia ed altrui dannazione.
Io, Marco Lucio Decimo, maledico quell'uomo e tutta la sua stirpe, che possa girare in eterno intorno ai campi elisi senza che questi accolgano mai la sua ombra tra le loro mura.
Affamato di gloria e di ricchezza, lo avrei seguito in capo al mondo, anche oltre se mi avesse ordinato di farlo, sarei salpato solo con lui in cerca di Atlantide, superando le colonne di Eracle, pronto a combattere contro tutti i mostri che vivono nel mare Oceano.
Arrivammo alle porte della città mentre stava albeggiando, il primo respiro del mattino, come il generale chiamava quelle ore.
Arringò subito la truppa, per preparare gli uomini all'imminente battaglia.
- L'acre sapore della guerra, l'aria bollente dei bronzi infuocati, vi riempirà i
polmoni e vi condurrà alla vittoria, come sempre è stato e come sempre sarà.
Siete cento ma è come se foste diecimila. Guardate quegli uomini, sugli
spalti; ormai avranno saputo chi siete, e vi dico che essi stanno tremando.
Come tremano tutti coloro che incrociano le vostre strade. Voi siete i cento
lupi di Soros! -
Passò in rassegna le nostre file, chiedendo a ognuno di noi se era pronto a sacrificarsi per la vittoria, ottenendo sempre la medesima risposta - Per Soros e per Roma! -.
In breve tempo gli arieti e le testuggini riuscirono a praticare una vasta breccia alla base delle mura, e all'improvviso un profondo silenzio scese sulla città e sull'accampamento. Un altissimo grido si levò allora dalle nostre gole e ci mettemmo in marcia per raggiungere il varco, proteggendoci con gli scudi contro i pochi dardi lanciati dal nemico asserragliato sugli spalti e soggetto al tiro micidiale delle catapulte, delle baliste e degli scorpioni dei nostri artiglieri.
Non trovammo guerr
Erano da poco calate le tenebre, quella notte, quando dal castello prospiciente il Monte del tempio, furono udite forti grida che squarciarono il cielo sopra la colonna cavalcante di sette templari di ritorno dalla perlustrazione della valle a ridosso di Gerusalemme. Tutti i cavalieri si fermarono all'unisono e il primo di essi, tale Goffredo, alzò la mano indicando il maniero donde provenivano le grida. Armati di coraggio, e della propria spada, si mossero verso il pendio, attraverso un sentiero costeggiato da alberi di ulivo, che davano ampio riparo da eventuali occhi nemici.
Giunti a ridosso del fossato, sguainando le spade si mossero circospetti verso un lucernaio a destra del portone accanto alla torre sud. Altre forte grida, proveniente proprio dalla torre sud, gelarono i due cavalieri più vicini. Questi, lanciando le funi, si apprestavano a salire di soppiatto fino alla sommità della torre, con l'intenzione di sorprendere le sentinelle di vedetta.
Una di queste, si accorse di quanto stava accadendo, e mentre sciabolava la propria spada con l'intenzione di tranciare la fune, venne fulminato da un violento colpo al capo, procuratogli dal secondo cavaliere che a distanza di pochi metri dal primo, lestamente era riuscito a salire sulle mura merlate che congiungevano le torri. I due templari, di nuovo uniti, si mossero carponi verso l'entrata superiore della torre dove si intravedeva una ripida scalinata.
Un'assonnata sentinella presidiava l'accesso, ma un colpo al capo, ne assicurò rapidamente un sonno profondo. Non c'erano più ostacoli, oramai, dieci gradini scesi in un baleno e i due eroi si trovarono innanzi ad una nobildonna con le mani legate a due pesanti catene di ferro ancorate al muro in pietra. Due fragorose scintille, seguirono ad altrettanti due colpi di spada ben assestati e le catene spezzate caddero a terra. Il più robusto dei due cavalieri caricò il debole corpo della nobildonna sulle spalle, mentre l'altro circospetto e la spada in pu
Il signor Bernardo era stato arrestato. Pensare che solo pochi giorni prima era lì che festeggiava il suo compleanno con famiglia e amici. Lo avevano arrestato nel suo ufficio, mentre era intento a lavorare alacremente, come aveva sempre fatto. Tutti coloro che lo conoscevano potevano testimoniarlo, lavorava spesso fino a notte fonda.
Ad arrestarlo era giunto il colonnello Cappioni, un suo amico, anche lui presente alla festa di compleanno. L'ufficiale, che aveva cinquantacinque anni, quasi venti in meno del signor Bernardo, aveva ordinato agli agenti in borghese di aspettarlo fuori, che non c'era nessuna necessità di dare scandalo. Il signor Bernardo era molto impegnato, ma lo aveva ricevuto quasi subito e i due si erano salutati amabilmente, come è d'uso tra persone che si conoscono bene.
- Come sta la sua signora?
- Bene, grazie.
- E le sue figlie?
- Molto bene, grazie. Proprio oggi ho ricevuto un telegramma da Maria. È dovuta tornare a Genova dopo i festeggiamenti, ma mi ha promesso di venire a trovarmi per le feste di Pasqua.
- Mi dicono che sia una bella città, Genova.
- Io non cambierei mai Genova per Roma, ma suvvia, signor colonello, qual buon vento la porta qui.
- Purtroppo non è un buon vento.
In breve il colonnello spiegò il motivo della sua visita. Il signor Bernardo sembrò esserne sinceramente stupito, e chi non lo sarebbe stato al suo posto? Fino a pochi minuti prima ci avrebbe scommesso la testa sul fatto di essere intoccabile.
La carriera del signor Bernardo era iniziata nel 1851, l'anno in cui la banca aveva assunto il nome di Banca dello Stato Pontificio. Aveva lavorato nel dipartimento prestiti. Era meticoloso, alacre e dotato di intuito e della capacità di pesare le persone e stimarne la solvibilità. Lui pesava i clienti, i suoi superiori decidevano il da farsi. Poi gli fu dato il potere di decidere e il signor Bernardo dimostrò di muoversi agilmente in quelle zone d'ombra in cui i numeri non parlano chiaro e ció ch
Cari Signori,
vorrei attraverso le mie parole dissuadervi dal processare il mio cliente, uomo saggio ed umile Socrate.
Socrate è stato definito il più saggio poichè sa di non sapere e non pretende di conoscere la verità, ma ne stabilisce una personale. Il mio caro cliente inoltre offre insegnamenti di vita ai giovani discepoli che lo seguono con interesse;in più Codesto crea un dibattito formando una coscienza critica in ognuno di noi e facendoci ragionare sulla verità che ognuno di noi condivide in modo differente.
La diversità tra la "Scuola Sofista" e la "Scuola Socratica" sta nel fatto che i sofisti insegnavano che l'unica verità è quella che loro affermano, non ammettendo contraddizioni e senza dar libertà di pensiero ai givoani discepoli;cosa che fa invece Socrate instaurando un dialogo e sviluppando così una coscienza critica. Inoltre li dona la libertà di pensiero oltre che il diritto e il dovere di dire la propria opinione. Socrate afferma che ognuno di noi possiede dentro sè una verità. Lo paragonerei alal sua cara madre, levatrice di corpi;Lui pratica lo stesso, cogliendo la verità attraverso le anime degli uomini. Le sue concezioni filosofiche sono eccezionali. Sono sicuro che con l'andar del tempo molti uomini lo stimeranno ed altri ancora seguiranno il suo esempio, umile e saggio;è a conoscenza di non sapere, di non conoscere e questo è il primo passo per la conoscenza. La verità quindi, la ricerca dentro se stesso e dentro ognuno di noi attraverso il dialogo. Dunque, miei cari Signori, vi esorto a rileggere le tesi da me appena espresse in difesa del mio cliente, riflettendo sulle sue concezioni filosofiche che potranno garantire al paese un aumento della cultura e la formazioni di menti più aperte a nuove idee.
Socrate conoscendo la differenza tra bene e male sarebbe un ignorante se praticasse quest'ultimo, infatti cerca di insegnare a tutti l'arte del Bene.
In verità, vi dico che io stimo Socrate, come molti da queste parti.
Dopo la dipartita di mia madre avvenuta il 12 marzo alle 9, 15, la prima cosa che ho cercato tra le sue cose, sono state le preghiere che Geny recitava ogni mattina e tutte le sere.
In un certo qual modo la considerazione che mia madre aveva sulla pratica religiosa era equivalente, se non addirittura maggiore, rispetto all'impegno che ella dispensava negli affari della famiglia. La preghiera era per Lei un insieme di cose: un'occasione di aggregazione contro la solitudine e le inquietudini, una possibilità di avere scambi interpersonali stimolanti e formativi ed infine, ma non per ultima, una missione personale.
Conversare con il Signore o parlare con un vicino, secondo Geny erano la stessa cosa; le questioni di Dio le erano familiari, esattamente come le attività quotidiane. Il rovistare tra le sue carte custodite gelosamente, significa ricostruire il suo percorso spirituale, le scelte e gli interessi della sua spiritualità.
L'intento di questa pubblicazione non è quello di fare del facile revisionismo morale su una persona che ha vissuto per alcuni versi una vita normale, travolta sì dagli affanni e dalle sofferenze, ma senza che abbia perso per un solo istante la speranza e la luce che illuminano il mondo, per questo il titolo "Incorrotta" è da interpretare come "incontaminata" dalle brutture del mondo o "pura" di spirito.
Tutto nasce attorno ad un ristretto nucleo di persone, costituito da mia madre, mia nonna, gli zii e da poche amiche che con Geny hanno condiviso difficoltà e speranze, frustrazioni e consolazioni, ombre plumbee e albe radiose; interamente irradiato dalla forza rigeneratrice della preghiera.
Nessun essere umano può essere talmente santo da guadagnarsi il Paradiso da sé, se non per l'intervento della Misericordia del Padre che esalta i meriti di ciascuno e cancella i peccati e i demeriti. Tale prassi vale anche per mia madre che in vita fu una donna sensibile verso i poveri ed i deboli, ma al contempo vulnerabile verso gli avv
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