La guerra andava male. Il 10 luglio 1943 gli Alleati sbarcarono con ingenti forze in Sicilia. La situazione nazionale precipitava ; i tedeschi li avevamo in casa, feroci e rabbiosi, incalzati da sud si preparavano a recedere, vie di fuga a nord, a qualsiasi costo.
Il 25 luglio 1943, il gruppo clandestino, cui apparteneva Mario, decise di uscire in maniera più incisiva con un appello a stampa, diretto a tutti gli operai della zona industriale di Porto Marghera ; un appello contro la guerra e le privazioni imposte dalla sua economia. Le fabbriche di Torino Mirafiori e Milano avevano già conosciuto diffuse proteste operaie e ciò incoraggiava il gruppo ad andare avanti.
Si decise di usare il ciclostile nella soffitta di casa di uno tra loro, certo Giuliano, studente universitario ( a distanza di vent'anni costui sarebbe diventato Preside di liceo...) il quale aveva la fortuna di abitare in una casa singola, alla periferia di Mestre; una villetta circondata da un giardino incolto, proprio alla fine di una stradaccia tutta buche. Alle spalle della casa, soltanto campi. Un luogo ideale anche per coprire il rumore del macchinoso ciclostile. Padre e madre di Giuliano erano presso dei parenti, a Padova, per alcuni giorni.
Verso mezzogiorno, di quel 25 luglio, mentre in quattro erano intenti a redigere il testo, la radio interruppe le solite musichette e gracchiò una notizia straordinaria. Subito i quattro giovani zittirono. Fu comunicato alla Nazione che il Gran Consiglio del fascismo aveva destituito Mussolini e rimesso il governo al Re. La notizia si espanse nell'aria estiva come una saetta. Sembrava persino aver scosso e trafitto le ferme e silenti chiome dei pioppi che si intravedevano dalla soffitta. Pure le cicale cessarono di frinire.
Seguì un attimo di sgomento alla clamorosa notizia, poi urla di gioia da parte di tutti. Giuliano scese precipitosamente dalla soffitta
... perché è colpa degli ebreacci anche la crisi di oggi, non lo vedi?
Aziende che chiudono, le banche che falliscono, hi hi mi vien da ridere... Chi c'ha le banche? Ma si sa, gli ebrei! Da sempre gli ebrei c'hanno le banche, ma mica le banche sono in crisi, nooo! Siamo noi risparmiatori che ci rimettiamo, la crisi la fanno con i nostri soldi, hai capito?
Che razzaccia, ma non aveva fatto bene Hitler a mandarli via, a cacciarli dal paese?...
Che dici? L'ha ammazzati?
Ma non è vero niente, ancora credi alle favole che ti insegnano a scuola su quei libri scritti dai rossi?
Hai sentito mai parlare di Paul Rassinier?...
No? Ecco, vedi, è quello che ti dicevo prima, ti riempiono la testa con Aush-vitz, Bucenvald, Daciau e Annafranc ma di Paul Rassinier niente, per carità, mai sentito nominare. Eppure lui lo dice chiaramente che erano tutte esagerazioni e anzi lui stesso, da prigioniero, non ha mai visto le camere a gas...
Non ci credi? E allora fidati della famosa Annafranc, che il libro, si sa, non lo ha scritto neanche lei ma il padre, dopo la guerra, e allora dimmi tu se possiamo credere a una cosa del genere! Ma tu sei libero di farlo così come di credere a tutte le bugie e il fango che gli americani hanno buttato sulla Germania.
Ma lo sapevi che agli inizi del Novecento la Germania era la potenza industriale numero uno nel mondo?...
Sì, certo, anche gli inglesi erano forti e allora capisci bene perché i massoni e gli ebrei hanno fatto scoppiare la prima guerra mondiale, perché dovevano eliminare una potenza concorrente. Allora mandano un pezzente slavo a far fuori un parente dell'imperatore e quindi scoppia tutto il casino per ridimensionare la Germania, per farla fuori e siccome non ci riescono da soli, allora chiamano gli americani e le banche ebree americane che finanziano tutta la guerra in Europa. Ma la Germania non si riesce a battere...
Ah si certo, per carità, una sconfitta l'hanno subita, ma mica i francesi, gli inglesi o gli
La grande onda sommerse tutto, avvisaglie chiare ignorate, una montagna che si chiamava marcia, guasta non bastò a far recedere dall'idea di allagarne il fondovalle.
I grandi interessi della SADE non poterono essere ignorati, si cercò sempre la scusa giusta. E la montagna franava.
No, non frana! Sono movimenti del terreno che ci stanno. Ma il pendio scendeva,... allora no, anzi si un po' ma non è nulla di eclatante, è superficiale, lo possiamo controllare. Alla fine sapevano che era solo una questione di tempo tanto che progettarono anche un collegamento se la frana avesse diviso in due l'invaso.
C'era fretta di concludere la messa in opera per vendere tutto allo stato che aveva nazionalizzato l'energia elettrica.
Riempi, vuota, riempi ancora l'invaso sollecitando la frana, anticipandone i tempi di collasso.
Poi.
Monte, frana, onda, Erto, Casso, vento, acqua, Longarone.
Fine.
Desiderato amore mio,
ho ancora il cuore in tumulto. Lo sento battere all'impazzata, così veloce da togliermi il fiato, così forte da rimbombarmi nelle orecchie. Le mani tremano e faccio fatica anche a scrivere, ma devo fissare sulla carta ciò che provo prima che possa dimenticare anche solo una briciola di questa smania.
Di fronte agli occhi ho quel muro che tante volte ho maledetto ed odiato perché mi separava dal mondo, e che ora benedico perché il mio mondo è tutto qui dentro, tra lo stormire degli alberi, l'odore degli agrumi ed il cinguettio degli uccelli. Oggi piove, ma mi è bastato intravedere il tuo viso oltre quel muro per sentire la vampata del sole di agosto.
Come devo sembrarti puerile, quanto infantili ti parranno le mie parole, ma io non so parlare di quell'amore che mi hanno insegnato a temere, e che invece è la più dolce delle torture.
Credevano che rinchiudendomi qua dentro io avrei dimenticato di esistere, ed è invece proprio in questo luogo che, grazie a te, ho iniziato a vivere. E tutta questa vita mi ubriaca, mi stordisce, mi dà la certezza di essere un gradino più in alto della meschinità di coloro che volevano dimenticassi persino il mio nome.
Ma io esisto, vivo, amo.
Da quando il tuo sguardo si è posato su di me sento la vita scorrere impetuosa sotto questo abito creato per mortificare, sotto questo saio che per troppo tempo ho vissuto come una prigione, come l'emblema del mio non esistere. Ed ora non la smetto di accarezzare la stoffa ruvida, il copricapo ed il soggolo soffocante, perché sono loro a preservare il mio corpo per te solo, ad impedire che le mie azioni quotidiane possano sporcare la mia pelle che da te solo vuole e deve essere sfiorata.
Se solo sapessero che mai come ora amo quel Dio che mi hanno imposto! Se solo immaginassero quanta gioia metto nel cantare la Sua gloria, proprio ora che ai loro occhi mi sono macchiata del più impudico dei peccati!
Quella fede che non ho mai avuto, quel Dio che altr
Da tre giorni ero pensieroso e cupo. Non che abbia subito influssi negativi provenienti da certe persone o abbia avuto motivi per esserlo.
Tuttavia ora riflettendo ne capisco la semplice ragione; ho fatto caso che le sensazioni da me percepite erano simili a quelle che è possibile provare quando per un motivo o per un altro si rimane a lungo privati della fonte di luce naturale principale, il sole. Faccio una digressione per meglio chiarire.
È questo uno stato di latente malessere nel quale ci si mette del tempo ad intender di essere entrati, poichè logora piano piano... ora dopo ora. Lo si riconosce, ahime!, soltanto nel momento in cui si oltrepassa la soglia della percezione del mondo e delle cose che si ha; ci si accorge che qualcosa dentro è cambiato quando si è oramai con un piede e mezzo dall'altra parte. Ciò è di per se subdolo, ma non è tutto. Dato per certo che il nostro animo abbia subito un mutamento è naturale chiedersene il motivo. Ed è questo il tratto di strada nel quale ci si puo ingannare; ha molte meno probabilità di trovarsi spiazzato colui che nella propria vita abbia provato la stessa sensazione, ma per il motivo contrario. Ossia: se partendo da uno stato d'animo già di per se cupo e tendente all'autoisolamento si passa gradatamente ad uno stato di tranqullità interna (ed intrinsecamente esterna) grazie alla pura e semplice esposizione al calore ed alla luce del sole, è facile riconoscerne la situazione inversa.
Avendo dunque io tratto benefici in passato da questa naturale fonte di luce, ora ero predisposto ad individuare la ragione di questo tipo di malumori nella reiterata non esposizione ad essa.
Tutto spiegato, pensavo.
O forse no. Infatti, riflettevo, ieri ero fuori e c'era il sole. Ier l'altro anche. Tre giorni fa idem; e c'era la neve che ne rifletteva con il suo color bianco, talvolta rossastro, la luce. Eppure non mi potevo sbagliare sulla sensazione che quello stato d'animo mi provocava; era si
Da qualche giorno è arrivato il gelo, in laguna: un vero freddo mordente, giusto per il cuore dell'inverno. La gente non è più abituata al rigore, riscaldata come è negli appartamenti e negli uffici. La mattina presto vedo persone osservare preoccupate, dai vetri dell'autobus, il leggero velo di ghiaccio che vetrifica qualche punto dello specchio lagunare, là dove l'acqua è meno profonda. Ma è certo che entro mezzogiorno tutto si scioglierà e che i gabbiani stupefatti smetteranno di pattinare. In città i ponti vengono cosparsi di sale grosso per impedire ai passanti di scivolare sui gradini e pure i gondolieri, a colpi di ramazza, nettano con il sale la poppa nera delle gondole per non rischiare di cadere in acqua mentre remano.
Forse è notizia poco nota, ma l'ultimo vero grande freddo in laguna si verificò nell'inverno del 1963, anno in cui la temperatura scese, eccezionalmente, a tredici gradi sotto zero.
Nei secoli passati la Storia attesta che il 1700 sia stato un secolo di forte gelo e che siano apparse grandi gelate nella laguna veneziana; certamente la popolazione affrontava l'evento con maggiori mezzi di sopportazione e minori, quanto a conforto, rispetto ad oggi. Si pensi solo al fatto che, tra il popolo, le donne si coprivano quasi esclusivamente con grandi scialli di lana grossa, fino al capo e gli uomini con corte mantelle e giacchette. Il tepore del tabarro non era alla portata di tutti.
Di queste gelate c'è memoria per quella avvenuta nell'inverno 1788, tanto che quell'annata passò alla Storia come " l'anno del giàsso", immortalato in una bella tela che può ancora ammirarsi a Ca' Rezzonico e che raffigura i Veneziani , con sciarpe e cappelli, camminare e scivolare sul ghiaccio spesso, attraversando il canale di Cannaregio verso la laguna aperta che pare pavimentata e tirata a cera. Egualmente minuziosa è la incisione del Battaglioli-Viero che si trova al Museo Correr e che raffigur
Cap 5 ultima ora
L’indomani fu l’inizio della fine, alle prime luci dell’alba, scortato da uno squadrone di lancieri, il Cardinale Principe della Chiesa, Primo Inquisitore di Spagna, senza neanche darmi tempo di parlare, schiaffeggiandomi pubblicamente col guanto di pelle nera, suo simbolo personale, mi destituì da ogni incarico, mi retrocesse all’istante, brandendo una Bolla Papale ove era scritto che io Aloisio de la Cruz avevo indegnamente servito etc etc e venivo pertanto condannato alla clausura nel convento di Chateau de Rennes ad libitum.
Prese, immediatamente le redini di tutti i procedimenti in atto, e, neanche a dirlo, tempo una settimana condannò al rogo oltre cento fra vecchie, giovani e addirittura bambini, fra il giubilare della folla accorsa, finalmente soddisfatta nel suo istinto criminale, contenta a tal punto di applaudire le urla strazianti dei condannati alle fiamme!
Ovviamente Antorcha, dopo giorni di torture e sevizie inimmaginabili, nonostante le quali non profferì una sola parola, fu fra le prime a subire l’onta del giudizio capitale, rifiutando con deciso orgoglio il pentimento finale, rifiutando il conforto dei sacramenti e sorridendo, mi fu detto, attese che le fiamme la straziassero.
Io sono qui, con l’obbligo del silenzio imperituro, la mia giornata è divisa fra la celletta per il giorno e la biblioteca per la notte, la mia condanna mi impedisce non solo di parlare ma anche di vedere chicchessia, quindi il Priore ha disposto che io lavori in biblioteca, quando questa è chiusa per gli altri monaci.
All’inizio mi sembrava una condanna crudele, poi, l’ho considerata addirittura una fortuna, di giorno, dormo, di notte, accudisco la biblioteca, eseguo gli ordini che mi vengono vergati sulla lavagna, penso, sogno ad occhi aperti, scrivo le mie memorie e le nascondo in un incavo dell’architrave della sala grande; ma soprattutto non passa giorno, o meglio notte che non rivedo con gli occhi, con il cuore, con il se
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