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Racconti surreale

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Un flusso tra i passi

terre senza nome. si avvicendano, sul mio cammino. terre di nessuno, o meglio di persone ignote, senza importanza. il peso degli sguardi da sostenere; l'innocenza di formalità obbligate. il giorno del giudizio è ogni giorno. il resto non ha peso: dio, dei, astri. inferno o paradiso? continuo a camminare e sfioro anime di marmo. impassibili, come la mia del resto. la regola dell'indifferenza ci ha giocato un tiro mancino, lo vedo nei vostri occhi stanchi, nei nostri sospiri sempre più privi di vita. ho udito abbastanza grida; ho gridato abbastanza. ho bevuto abbastanza lacrime; ripulito abbastanza sangue. un bivio mi confonde -essere o non essere- cerca di lacerarmi -vivere o non vivere- mentre si nutre dei nostri dubbi -fidarsi o non fidarsi- e ci fa credere di essere liberi -legarsi o non legarsi- nelle nostre gabbie dorate. ho ascoltato: la speranza è l'ultima a morire - la morte è l'ultima a sperare. imputiamo la colpa alla vita, come se questa sia ente di mali che si diverte a donarci ricoperti del più dolce miele. (la paura della scelta, la paura della responsabilità, la paura.) bé, non ne sono più così certo; la vita ci rovina o noi roviniamo lei? (destra) ho fatto del mio meglio. e ho trovato una risposta: non c'è alcuna risposta. ho fatto del mio meglio - credetemi; non ci riesco proprio. (sinistra) ormai le mie gambe proseguono per inerzia. ho sprecato passi. (attraversare) le macchine corrono - vorrei essere veloce come le macchine. vivere velocemente. eliminare ogni sofferenza sterile. soffocare ogni pensiero inutile. (persone, persone!) continuo a resistere; non ho più molta forza. prendo coscienza dei miei limiti infiniti. resisto! [ora] oh, vano pensiero. (ancora un passo..) ho fatto del mio meglio. non ho più forza. mi lascio trascinare dalla corrente.

È come un fiume in piena.



Ragnese

Ragni di minime luci arrampicati sulle facciate affrante dei palazzi a far da cornice alla solitudine stanca della strada, che non sembra interessata all’aria di festa natalizia, così come il silenzio non si cura della musica.
Pochissime erano le stelle risparmiate dalla voracità delle penzolanti luci cittadine, annoiate, quando tutti le credono felici. Così monocromatico il cielo sembrava più del solito una semplice toile de fond.
Sapevo benissimo?" era scritto ovunque?" che sarebbe stato inutile sperare di trovare qualcosa di diverso dagli altri giorni in quella strada che ormai conoscevo bene, ma seguire il buon senso non mi sembrò stimolante e decisi di cercare.
Le aureole rosse delle insegne fuocolorate, l’asfalto che sparisce per un po’ sotto le scarpe, la striscia bianca impassibile a trasportarmi gli occhi. Guarda dove vai, dimmi con chi... e ti dirò chi. Chi va con... va sano e lontano. L’ontano, ma sono platani. Chissà se le lampadine sanno che cos’è la luce? Niente di nuovo stasera, sul fronte… quel soldato grigio in copertina. La professoressa con gli occhi dipinti di blu cattedrarrabbiata, signora potrebbe, ma non.
Era la sera adatta per un addio indimenticabile. “Non farla passare invano” mi disse non so chi altro e mi convinse a lasciare un pensiero in una zona d’ombra che si mostrò felice del regalo che le stavo facendo?" basta (con) il pensiero -.
Prima di entrare in casa sua lasciai alcune velleità nel portaombrelli, un sorriso mi aprì la porta a quell’ora di notte. “Accòmodati!”, dovevo solo farmi strada tra l’imbarazzo e gli oggetti sul pavimento che la penombra faceva del suo meglio per nascondermi.
Non potei far altro che limitarmi ad osservarla sedersi sul letto, sistemare i cuscini ocra abat-jour nell’impossibilità di ignorare le parole che i suoi baci di saluto avevano da dirmi.
Avrei voluto regalarle delle parole nuove, nuove note da accordare alla serenità con la quale mi guardav

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Il pensiero di Lawrence

NELLA MENTE DI LAWRENCE
Lawrence sedeva in cucina, da solo. Fissava il tavolo senza guardarlo; questo perché stava pensando, e i suoi pensieri non erano per niente lieti. Pensava a Rod, il suo amico d’infanzia. Qualche ora prima lo aveva visto davanti al supermercato. Probabilmente Rod non lo aveva visto. Ma nella mente di Lawrence non era così. Nella sua mente Rod lo aveva visto. Eccome. Guardava nella sua direzione. E non lo aveva salutato di proposito. Per qualche nefasto motivo il suo migliore amico non lo aveva salutato. Forse aveva intenzione di ucciderlo. All’inizio Lawrence pensava che fosse a dir poco esagerato; ma riflettendoci su no. Immaginando di dover uccidere qualcuno sicuramente non si saluterebbe la vittima come se niente fosse, neanche se la persona in questione è il proprio migliore amico. A meno che l’assassino non sia abituato, ma nel caso di Rod era molto improbabile. Lawrence lo conosceva bene e sapeva che non aveva mai fatto del male a nessuno. E mai lo avrebbe fatto; questo Lawrence lo sapeva bene. Tuttavia non era convinto. Poteva essere stato minacciato. Però Lawrence non avrebbe mai ucciso il suo migliore amico, piuttosto sarebbe morto. E quindi? Evidentemente Rod non era l’amico che diceva di essere. Forse non era stato neanche minacciato, magari gli avevano offerto dei soldi. Maledetto. Traditore. Lawrence non ne voleva sapere di essere ucciso dal suo migliore amico, piuttosto si sarebbe ucciso. Proprio così. Mentre pensava questo la mano era scesa quasi da solo verso il cassetto, a prendere la pistola, per poi puntarla alla tempia, e fare fuoco.
Lawrence era morto solo perché Rod non lo aveva salutato, probabilmente perché fissava senza guardare, pensando a pensieri nefasti, per esempio che il suo migliore amico Lawrence non lo aveva salutato il giorno prima. E magari non lo aveva salutato perché voleva ucciderlo, e mentre Lawrence si sparava lui si metteva una corda al collo e faceva cadere lo sgabello.

   6 commenti     di: GozzaGugh


Le generazioni a qualcosa servono.

- Buongiorno.- li salutò il medico
- Buongiorno.- dissero insieme.
- Ho il risultato del vostro test del DNA.-
- Quindi? Il bambino è mio?- chiese lui.
- Indubbiamente.-
- Te l’avevo detto.- sibilò offesa
- È tanto che vi frequentate.- domandò il medico.
- No.- rispose lui.- È stata una relazione occasionale abbastanza inaspettata.-
Il medico aggrottò le sopracciglia severo:
- Potrebbe essere sua figlia…-
- Senta si faccia i cazzi suoi e non mi rompa con moralismi scontati.- lo interruppe lui.


Ho quarant’anni.
Sono un imprenditore di discreto successo.
Ho un’ex moglie a cui passo volentieri più degli alimenti che dovrei, di nome Maria.
Ho anche una figlia di vent’anni, io e Maria ci siamo sposati in fretta, che vive con la madre. Si chiama Giorgia. Io l’adoro. Per lei, come si usa dire, darei la vita.
Gio in effetti è un po’ viziata, d'altronde, per via del divorzio, sia io che sua madre l’abbiamo coperta di regali e di attenzioni. Tutto sommato però è una brava ragazza, un po’ frivola, un po’ egocentrica, un po’ egoista, ma non molto di più di tante altre della sua età.
Sono un bell’uomo, c’è poco da fare. Ho ancora tutti i capelli, leggermente brizzolati ma con classe, li porto abbastanza corti. Faccio molto sport, vado anche in palestra, niente pancia.
Ho una bella vita sociale, vesto bene, mi tengo aggiornato, so sempre tutto sull’ultimo Strega, ho un buon rapporto con la tecnologia.
Ho abbastanza soldi per permettermi tutti gli sfizi che voglio: belle macchine, alcune belle case, alcune belle signore che mi allietano le serate se le porto in giro sulla mia bella macchina, offro loro delle belle cenette romantiche, dei bei aperitivi, nei posti giusti, qualche bel regalo.
Sono felice, faccio il divorziato da quindici anni e sono felice.
Da qualche tempo trovo anche Gio in giro. La nostra è una piccola città, l’aperitivo si fa nei soliti tre o quattro posti, q

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   8 commenti     di: Umberto Briacco


Un giorno a Gotham City

Al Centro di Riabilitazione e di Riconversione Aziendale si respirava un clima di ritrovato entusiasmo: le bianche pareti dell'ingresso sembravano più bianche, i pavimenti rivestiti di rarissimo e sofisticato materiale plastico sembravano più brillanti, la terrazza offriva l'impressione di essere più accogliente con le pareti rinnovate da una vernice eco-terapeutica color giallo pastello, compatibile con le nuove normative ISO 9001 sulla salute dei luoghi pubblici e rassicurante sotto il profilo emotivo.
Il Dott. SonotuttoIo, uno dei capo-reparto del Centro, esibiva un'eleganza inusuale, indossava una cravatta in tinta con l'abito e la sua cute appariva più traspirante del solito. Ma quello che rendeva il Dott. SonotuttoIo un elemento inglobato nel sistema erano senz'altro le sue attitudini, innaffiate da un abbondante sete di potere. Persino la Dottoressa Sotuttanachiappa appariva più sgonfia meno goffa del solito, incedeva con passo leggero e aggraziato, orgogliosa della sua camicetta bianco-latte, acquistata il giorno prima a saldo.
Sembrava una coincidenza che anche la Dottoressa Sorridopuresimmerode fosse vestita allo stesso modo: camicia bianca e pantaloni blu. Entrambe sembravano due farfalle che fuggite dal bozzolo buio e desolato nel quale era state confinate, potevano svolazzare dovunque con la speranza di fare una buonissima impressione a Colui che era atteso. Persino il direttore del Centro, abbandonate le faccende domestiche, aveva un aspetto rispettabile. Tutto sembrava che l'incontro preannunciato, andasse nel migliore dei modi. Verso mezzogiorno, una voce ansimante e precipitosa, annunciò: Stanno arrivando... stanno arrivando...
Fu allora che di colpo i soprabiti si smaterializzarono, le buste dei viveri e dei medicinali sparirono di colpo dalle postazioni degli inservienti. Quando Colui che doveva arrivare, varcò la soglia del Centro di Riabilitazione e di Riconversione Aziendale, seguito da un nuvolo di collaboratori più o meno val

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   4 commenti     di: Fabio Mancini


Il foglio

La penna girava tra le dita e l’orecchio. Un po’ di saliva tra le righe gialle e nere della scocca di plastica. Per altri fini forse, avrebbe avuto più successo. Come ci si sta con una Stedtlaer tra le gambe? Ci provai. Niente. Nemmeno la fatica di aver sbottonato i jeans.
Un mondo in quarantena, sembrava ci fosse la fuori. Il ronzio incessante di formiche ipnotizzate, il trotto dei tacchi sui marciapiedi, gambe depilate e petti impostati. A cantare una marcia impolverata.
Proviamo di nuovo. Mi tolsi la penna dai pantaloni e andai alla finestra. Un movimento della mano, delicato, ammaestrato. Bello vederli muoversi a comando. Il cane alza la gamba per pisciare sulle scarpe uvaviola della signora appena uscita dal parrucchiere che imprecando furibonda finisce per cadere tra le braccia del macellaio dal camice ancora sporco di sangue e insieme si rotolano tra le buche del marciapiede. Un tango. Senza rosa. E con un tonfo. Lo spettacolo finì. Noia.
Delusa da Merlino tornai al foglio e cambiai penna. La intinsi nel bicchiere di the, qualora di inchiostro non ce ne fosse abbastanza. Provare a coltivare forse. Eppure restava bianco, immobile.
Il sonno indisturbato del foglio, prima di lamentarsi della sua macchia marrone proprio nel suo angolo preferito. Non valeva più la pena sentire le sue lamentele. Lo accompagnai verso il cestino. Un volo di prima linea. Rapido. Rapidissimo.
Presi un altro foglio e lo posai sul tappeto. Io ero in piedi. Scalza. Lo guardavo dall’alto. Il soffitto ed il foglio. E sarei stata molto grata ad entrambi se si fossero mesi ad urlare e macinare le parole confuse e incollate allo smalto sulle mie dita. Ma c’era silenzio. E odore di polvere.
Per via delle tende, credo. Non avevo mai avuto il coraggio di togliere, per non aver perduto il coraggio di continuare a spiare da dietro il vetro. Pensavo di poterci capire qualcosa delle marionette sul marciapiedi guardandole da dietro il velluto rosso impolverato piuttosto

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   3 commenti     di: Aurora F


La brutta fine del Dottor Paolini

"Lo sà, che il suo stile, dico alla lontana, con tutto il rispetto per l'Autore... mi ricorda Vasco Pratolini? E poi talvolta quel suo descrivere, mediocre si intende, ha un che di Luigi Pirandello... e forse anche di un moderno contemporaneo, ma qui probabilmente stò volando troppo alto, ho appena letto di sfuggita le sue cartelle, sà... per gli autori emergenti non abbiamo tempo, sopratutto quelli autodidatti sconosciuti come lei che pubblicano avanzatempo, senza un idea precisa se non talvolta quella di scrivere per far riflettere, dico riflettere! Che cosa assurda oggi, oserei dire eversiva, su cose anche astruse, di cui non si capisce il senso...
"Quindi quello che scrivo io secondo lei non ha senso? Ma ha letto quello che io scrivo?


"Ma certo, la mia non è una critica nei suoi confronti, lei, con il suo modo di scrivere talvolta dà come delle pennellate descrittive simili anche ad autori contemporanei, come ad esempio Stefano Benni, Stephen King, ma non ha un suo stile, un impronta filologica precisa come scrittore anche futuribile, fruibile tramite notebook, i phone, e-book.. non ha le poppe, non è personaggio.. capisce? Per essere autori oggi si deve avere una personalità forte, appartenere ad una élite, seguire una corrente precisa, scrivere su giornali che purtroppo sono sempre più rari, di critica letteraria, avere una laurea in letteratura, un master in lingue antiche o moderne oppure aver partecipato a che so, un talk show per minimo tre serie di seguito su imbeccata di uno che ti raccomanda a un grande della televisione, o aver assassinato qualcuno in modo davvero atroce, e scrivere le memorie sulla propria redenzione... Per l'amor di Dio, ci sono anche autori dalle spalle larghe, ne sono rimasti pochi...


"Quindi ne deduco che sia il caso di lasciar stare le mie velleità di scrittore, non valgo una cicca...
"Ma come. Pure una sigaretta, mezza accesa e non di marca, che dà l'idea della sigaretta ma non se la fuma nessuno...
"

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   0 commenti     di: Raffaele Arena



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