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Racconti surreale

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Il limbo

Mi chiamo Giulio Danesi... ok... non so se si inizia così un diario, non ne ho mai scritto uno, in realtà non ho mai scritto nella mia vita.
Ho trenta anni e gestisco un negozio di alimentari, ma non è questo il punto... insomma ero nel mio negozio, stavo mettendo in ordine i formaggi, quando un uomo entrò nel negozio, ed io gli chiesi come potevo essergli utile, no, prima gli diedi il buongiorno e lui contraccambiò, erano le dieci di mattina, insomma lui mi chiese un etto di prosciutto, io iniziai subito a tagliare il miglior prosciutto presente nel mio negozio.
D'un tratto, sentii qualcosa trafiggermi la schiena, credo sia stato il coltello in bilico, sopra lo scaffale, dove ripongo molti dei miei prodotti, che stupido che sono! Ogni giorno mi ripromettevo di metterlo al suo posto.
Dopodiché non vidi più nulla, per 5 secondi vidi solo il buio, mi spaventai, nella mia mente ancora urlavo dal dolore, furono i 5 secondi più lunghi della mia vita.
Poi aprii gli occhi, e mi ritrovai qui! Non so precisamente dove sono, forse lo riesco ad intuire, l'inquietudine mi assale, non ho paura, ma è un posto stranissimo.
Mi trovo in mezzo ad un enorme prato, senza alberi intorno, ne animali, e tantomeno persone, seduto su di una sedia, davanti a me c'è un tavolo con un foglio e una penna sopra.
Quando li vidi mi prese una voglia innaturale (poiché non ho mai scritto nulla nella mia vita) di raccontare ciò che mi è accaduto, come se qualcuno me lo stesse imponendo, sottoforma di estremo bisogno.
Qui c'è assenza completa di colore, è tutto in bianco e nero... il prato, così curato, è bellissimo! Se ci fossero i colori sarebbe sicuramente verde smeraldo... eppure non c'è nessuno qui! Credo di essere morto.
Sono sereno, non credo di aver fatto cose gravissime nella mia vita, però sono molto inquietato da questo fittissimo e vastissimo prato.
Il sole non c'è, il cielo è totalmente bianco, non credo di essere in paradiso... credo che questo sia pieno di

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   6 commenti     di: Manuele Gallico


Paradiso all'alba

Parecchio che Marco non viaggiava in treno, meglio, così aveva tempo per pensare alla sua vita anche se lo faceva spesso, per rimanere, ancora una volta, con l’amaro in bocca.
Ma non si lamentava mai in modo eclatante. Certo, sarebbe stato bello se le cose fossero andate in un altro modo.
E poi oggi era una giornata diversa. Dopo aver consegnato i plichi al Ministero, aveva preso la pazza decisione di fermarsi alla Scuola Militare frequentata da ragazzo, quasi quaranta anni prima. Veramente una pazza idea, ma in fondo lui amava vivere di ricordi e quella Scuola era un piacevole ricordo di giovinezza.
Chissà perché, dondolato dal rumore del treno, gli era così dolce e congeniale ricordare tutta la sua vita.
Gli tornava puntuale alla mente il pensiero di non essersi fatto una famiglia. Gli sarebbe piaciuto tanto, una donna, dei bambini, ma non c’era mai riuscito. Non aveva mai provato e dentro di se ammetteva di non avere avuto coraggio, in questo come in altre cose.
Quando si era arruolato i suoi genitori erano ancora vivi, la famiglia unita, i parenti in armonia. Come era bello, quando tornava a casa, giovane, pieno di belle speranze, come erano belle le feste di Natale e Pasqua e quelle del Santo Patrono, tutti uniti, davanti alla chiesetta bianca che si affacciava sul mare!
Per non parlare dei battesimi, comunioni e cresime, dei matrimoni all’antica, che duravano una settimana, con le file di spiedi che arrostivano nei cortili e i vecchi che parlavano di cose memorabili! I nonni tenevano unita la famiglia. Morti loro, erano cominciati i primi screzi, i litigi fra zii e cugini sulla spartizione dei terreni, cause in tribunale, voltafaccia, smettere di rivolgersi anche la parola.
Ricordava i giorni che tornava in licenza, i genitori tristi, abbandonati dagli altri figli, che erano andati a trovare lavoro lontano, come lui. Ma lui tornava sempre a casa appena poteva.
Anche dopo che i suoi morirono. Tornava sempre e guardava con dolore l’e

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   3 commenti     di: alberto tosciri


Punta Mezzaluna

La Punta Mezzaluna si accende di piccole luci bianche.
Accucciato intorno alle reti, i piedi neri di terra, un pescatore di legno cuce le maglie scappate. Punta gli occhietti piccoli sulla densità marina in cerca di un pezzo di Luna.
Volge lo suardo: l'immobilità di quel viso lascia trasparire vibrazioni di invisibili muscoli intorno alle labbra:si aprono in un sorriso stanco. Due grandi gabbiani alti più di un metro e mezzo l'osservano fermi davanti a lui:le loro ali tremano appena, le piume impastate di fango bagnato.
Lo scirocco con dolcezza spietata secca il fango, immobilizza i loro becchi appesantiti.
Presto non saranno che due statue di argilla, solo gli occhi girano impazziti di paura mentre la morsa si fa più stretta. Con forza disperata cercano di staccare le loro zampe palmate appiccicate al terreno, pensano alla luce accecante del sole pomeridiano li aveva attirati nelle grandi stelle azzurre disegnate nel ventre del mare.
Si erano calati sicuri in quelle secche colorate in cerca di pesci verdi e conchiglie rosa, ma si erano trovati improvvisamente immersi nella fanghiglia di una palude fetida di erbe fradice e carogne di volatili.
Ora imprigionati nella crosta aspettano che le mani del pescatore cessino di rincorrere i fili e scalzino con forza il fango rinsecchito.
Nell'aria notturna si sentono piccoli rumori di gusci che cadono sotto i colpi secchi di un martello. Come usciti da una gabbia di argilla ridotta ormai in frammenti, liberi nel piumaggio morbido, i due gabbiani volano stretti nei becchi.
Il pescatore col la mano spinge pezzi di quei gusci in mare.



Vibrante Protesta

Quelli erano giorni, oh si, erano giorni
al mondo non puoi chiedere di più

Cantava una vecchia canzone; quelli eran giorni, quei giorni mai esistiti. Oh sì.

Eravamo noi.
La verità è che non ci hanno voluto, rifiutati prima di nascere, abortiti, mai vissuti.

L'uomo fu il colpevole, l'artefice del nostro infausto destino;
Aveva sbagliato il suo conto, il cretino!
Quante cose potevano accadere durante la nostra esistenza,
Poteva finire una guerra, o nascere un uomo di scienza!
Parliamo insieme perché ci accomuna l'oblio:
Dimenticati dagli uomini, ed anche da Dio!

Si accorsero, un giorno, che si erano sbagliati, il loro calendario aveva segnato meno giorni di quanti ne contenessero i loro anni, le stagioni arrivavano prima, la pasqua era sempre più calda, tutto si anticipava. Trovarono, allora, l'arcano.

I giorni andavano contati in modo diverso, d'ora in poi,
Ma perché sacrificare qualcuno. Perché proprio noi?

Il cinque di ottobre poteva nascere un grande pittore, il sei invece avevamo riservato un posto per un geografo, che sarebbe stato di grande aiuto in quei tempi, il sette poi sarebbe stata la volta di un condottiero di fama europea, la domenica dell'otto ci saremo riposati.
Eravamo pur cristiani, cattolici e romani.

La settimana seguente sarebbe partita con la nascita di un esploratore,
Poi, a seguire un navigatore.
Sarebbero morte tante persone,
Certo, nelle guerre solite d'umana tradizione.

Perché non saremmo stati, alla fine, migliori dei giorni che ci avevano preceduto, ne peggiori di quelli che ci seguirono. Però ci saremmo stati!

Eleviamo pertanto, con questa nostra, un vibrante protesta, noi sottoscritti giorni dal cinque al quattordici ottobre del 1582.

Tanto a voi dovevamo, per nostra buona amministrazione e vostra conoscenza



Pablo il meccanico di biciclette

Me ne stavo tranquillo seduto alla Taquieria di Hidalgo sud, gustandomi un taco alla carne e formaggio, un tocco di cilantro e cipolline, e una puntina ma veramnente una puntina di salsa verde piccante, quando di fronte a me si ferma una Cadillac ultimo modello, color panna, finestrini fotocromatici, abbassa gli alza-cristalli, in questo caso abbassa-cristalli insomma non so, i finestrini si abbassono e dentro alla guida una splendita donna sui 37 anni, forse anche compiuti, capelli neri e grigi, io pensavo cercasse i cucccioli della carica dei 101, ma mi domando' dove fosse via Veneto, io gentilmente gli risposi che non conoscevo questa via qua a Citta' del Mexico, e gli dissi se forse non si confondeva con Milano, la' si che so dove rimane Via Veneto; no ella insistette per Via Veneto, ma io non gli seppi rispondere, dopo un attimo di silenzio mi chiese se conoscevo Pablo, io rimasi un po' perplesso e poco dopo gli dissi che qua vivono qusi trenta milioni di persone e se non mi avesse detto il cognome sarebbe stato difficile dargli l'informazione, la signora un po' scocciata se ne ando' con una sgassata che fece spennacchiare tutto il riporto a Pablo, il meccanico accanto di biciclette.

   0 commenti     di: Isaia Kwick


La setta (seconda parte)

continua dalla prima parte...
Ciao Lo, bene arrivata. Sei la prima
All’Alano che si stava avvicinando Vi comandò,
Cuccia Rhul.
Immediatamente il cane si sedette sulle gambe posteriori in attesa di nuovo ordine.
Accipicchia che cane, esclamò leggermente intimorita Lo.
Tranquilla è molto ubbidiente, ma vieni entriamo. Le disse precedendola sull’ampia scalinata di marmo.
Lo si guardò intorno: magnifico posto. La giornata era splendida, fresca e soleggiata.
Vi la invitò ad entrare chiedendole se desiderava qualche cosa da bere.
Sì, grazie una coca.
L’enorme sala in cui entrarono aveva le pareti interamente ricoperta da arazzi di ogni fattura e provenienza. Rifiniti in decori dorati, rendevano l’ambiente luminoso e riposante.
Si sedette su un ampio divano ed accettò la bibita offerta, su un vassoio d’argento, dal maggiordomo.
Non poté astenersi dal dire:
Vi, micca male. Ti tratti bene.
Vi, sorridendole le disse:
Non per merito mio, i miei genitori hanno lasciato in eredità a me ed a mio fratello Roberto, oltre a questo castello, un enorme capitale. Siamo proprietari di due banche che gestisce completamente Robby. Praticamente lui si occupa delle entrate, io delle uscite. Nel senso che spendo quello che lui guadagna… Scherzo, il mio compito è di destinare il denaro di cui non abbiamo bisogno a finalità positive. Aiutare i senza tetto, i malati terminali, provvedere all’acquisto di macchinari per gli ospedali ecc…, ma non amo parlare di queste cose. Raccontami di te.
Lo guardò l’uomo. Era proprio un bell’uomo. Occhi verdi, viso regolare, di una dolcezza infinita, fisico non eccessivamente muscoloso, ma ben proporzionato. Sì avrebbe potuto innamorarsi di un uomo del genere.
Quindi, disse lui sorridendole, dove eravamo rimasti?
Lo, non fece in tempo a rispondere che il maggiordomo annunciò l’arrivo di altri due ospiti. Uscirono per accoglierli e videro che erano ancora chiusi nella rossa BMW, guardati a vista da Rhul.
Qu

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   0 commenti     di: cesare righi


Royal il guerriero

Royal era un abitante di un villaggio molto ricco ma che un giorno venne assaltato da zombie, scheletri armati di freccie e mostri verdi che esplodono chiamati crepeer.
Tutti morirono ma Royal riuscì a sopravvivere e giurò vendetta. Allora si armò di spada di diamante e cavallo. Così si dirisse verso il castello di Herobrine, il capo di tutti i mostri e dopo una battaglia a forze eguali, Herobrine venne sconfitto e da quel giorno regnò pace sulla terra, chiamata anche VITA

   1 commenti     di: vladimiro



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