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Racconti surreale

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Il piscio dei vivi puzza di più della carne dei morti in putrefazione

E c'erano proprio tutti, tutti riuniti, c'erano anche Alberto, Walter, Raffaele e altri come noi - eravamo al centro D. E. A esprimendo cosa avevo in mente di essere e le mille inutili soluzioni che potevamo intraprendere per arrivarci - e Walter diceva la sua - e tutti dicevano la loro - altri annuivano - ed io, io restavo muto su una poltrona senza scarpe ad ascoltarli e a grattarmi i piedi.

Finita la serata mi incamminai moscio moscio lungo una strada lunga e ritta dove incontrai due cani, uno di taglia grande e uno di taglia piccola - il cane piccolo abbaiava e ringhiava in direzione del cane grande che restava muto ad ascoltarlo, più sono piccoli e più sono stronzi, pensai e infondo alla strada vidi un'insegna luminosa che mi indicava un locale dove potermi dissetare. Entrai.

Il pub era piccolo e sporco e puzzolente e una nuvola di fumo incombeva all'interno - dentro c'erano proprio tutti, tutti riuniti, c'erano anche il vecchio Hank, Miller, Kerouac, Ginsberg, e altri come loro, mentre Mozart cantava in live.

Mi misi seduto al bancone accanto a Hank - ordinai un Whiskey - lo sorseggiai mentre ascoltavo un po'di buona musica ma poi Hank mi chiamò:
"Ehi" mi disse
"Ehi" gli dissi
"Sai il piscio dei vivi puzza più della carne dei morti in putrefazione" concluse mentre mi indicò, con un suo dito, una tenda rossa, posta infondo al pub. Mi alzai dallo sgabello e andai in quella direzione. Mi girai un attimo e vidi Hank che ancora mi guardava e, sorridendo, mi strizzò un occhio. Entrai.

La stanza era ricca, completamente ricca e c'era un tavolo ricco e un tappeto ricco e gente ricca. C'erano proprio tutti, tutti riuniti, c'erano tutti i potenti e i ricchi artisti di ogni genere e di ogni arte di questi ultimi anni e, in mezzo a loro, c'era anche Lui - Lui, un mio vecchio, piccolo, occhialuto, amico traditore. Ci scambiammo degli sguardi. Lui ce l'aveva fatta, era dentro - chissà con quale persona aveva venduto il suo culo. Ebbi un istinto imp

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   7 commenti     di: STEFANO ROSSI


Royal il guerriero

Royal era un abitante di un villaggio molto ricco ma che un giorno venne assaltato da zombie, scheletri armati di freccie e mostri verdi che esplodono chiamati crepeer.
Tutti morirono ma Royal riuscì a sopravvivere e giurò vendetta. Allora si armò di spada di diamante e cavallo. Così si dirisse verso il castello di Herobrine, il capo di tutti i mostri e dopo una battaglia a forze eguali, Herobrine venne sconfitto e da quel giorno regnò pace sulla terra, chiamata anche VITA

   1 commenti     di: vladimiro


Vilia

-Ciao, ciao! Aspettatemi.
- Ancora un bacetto al papà.
Giulio raggiunse di corsa la figlia che si stava sporgendo dal finestrino del Suv in partenza. Baciò la sposa affettuosamente e allungò uno scappellotto bonario allo sposo.
Rimasto solo sull'ampio piazzale li seguì con lo sguardo fin che fu possibile.
Dopo aver salutato gli ultimi invitati, si avviò verso il lago per assaporare il tramonto in solitudine. Il sole rosso nel cielo violaceo stava incendiando le cime degli alberi.
Giulio era un uomo molto attraente. La figura atletica i lineamenti dolci quasi infantili, e due magnetici occhi grigio azzurri giocavano ancora a suo favore. Il tempo lo aveva appena sfiorato.
Arrivato, si sedette sul bordo di un tavolino di pietra mezzo consumato dal tempo, guardò il paesaggio che si rifletteva nel lago: solo qua e là guizzi di pesci a caccia di moscerini animavano lo specchio immobile. Il salice vicino mosse i lunghi rami. Non c'era alito di vento.
L'uomo accese una maledetta sigaretta, si volse a guardare la facciata severa dell'albergo ingentilita da affreschi e le montagne lievemente innevate.
Che ci faceva in quel posto?
Un senso di malessere lo colse.
Perché avesse acconsentito con entusiasmo alla decisione della figlia nella scelta di questo albergo se lo stava chiedendo ancora.
Capiva le esigenze della ragazza. Il luogo era stato la loro dimora per un lungo periodo. Lo scopo era stato di tenere una bimba lontana dall'assenza non voluta della madre. Ovviamente la bambina subì il fascino di un nuovo modo di vivere e quel che fece ora piegare l'ago della bilancia: conobbe il ragazzino che poche ore prima aveva sposato.
L'albergo allora fu anche protagonista di un altro incontro.
Giulio conobbe una donna che gli fece dimenticare in breve tempo la moglie. La loro fu una unione della carne e dello spirito e come le cose più belle ebbe una fine. Il ritorno a una vita normale e una lunga permanenza all'estero contribuiro

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   8 commenti     di: elisa sala


Il ragazzo dello specchio

La notte era infine trascorsa e l'aurora aveva iniziato il suo metodico lavoro di resa dei colori alle cose del mondo.

Giovanni aveva paura della notte, del sonno, dei sogni. Di quel sogno che lo tormentava da giorni.
Entrava nella sua camera, e vedeva di spalle un ragazzo seduto davanti allo specchio. Indossava i suoi stessi vestiti, aveva i capelli del suo colore e tagliati in egual modo. Lentamente cominciava a girarsi, e quando finiva quel movimento di rotazione, poteva finalmente vederne la faccia.
Era uguale a lui.
Forse era lui.
Con l'unica differenza che lui era mancino, mentre il ragazzo dello specchio era manodestro.
Il sogno finiva lasciandogli addosso una leggera inquietudine, nulla di più.
Una notte di pochi giorni prima, però, il ragazzo, l'altro sé stesso, aveva pronunciato delle parole.
" Sono stanco di guardarmi allo specchio. Vieni..."
Aveva sedici anni, Giovanni, ed era la prima volta che avvertiva quel particolare tipo di paura, quella che ti lascia la bocca secca facendoti ascoltare i battiti del tuo cuore come se venissero da fuori.
Entrò in cucina portandosi dietro la sua pena. Sua madre stava preparando la colazione e lo salutò senza guardarlo in faccia.
Si sedette a tavola in silenzio.
Solo dopo un po' di tempo, trascorso a guardare il suo piatto come se non riuscisse a capirne la funzione, notando gli sguardi sempre più preoccupati della madre, la tranquillizzò dicendole che aveva solo mal di pancia e per questo non mangiava.
Uscendo di casa avvertì il contatto con l'aria tiepida di quel mattino d'estate.
Decise che quel giorno non sarebbe andato a scuola.
Aspettò nascosto tra gli alberi del vicino parco che la madre uscisse per andare al lavoro e rientrò nell'abitazione. Raggiunse la sua camera e si mise a sedere davanti allo specchio, guardandosi il viso.
Se la sua teoria era valida, l'altro sarebbe comparso alle sue spalle.
Aveva voluto invertire i ruoli.
Si girò verso la porta, ma non c'era nes

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   3 commenti     di: alba radiosa


La macchina spargiodori

Questa storia ha:
1) un protagonista, l'aggiustatore
2) un'ambientazione, Palermo
3) un'idea motrice, l'auto spargiodori
4) uno sviluppo e un epilogo.
Iniziamo.
L'aggiustatore non proprio "aggiustava" ma piuttosto, scadute le canoniche ventiquattr'ore per il rilascio dei riscattati, in vero smontava i motorini rubati che da tutta la città confluivano a Porta di Castro.
Volle la mano normalmente avara di Dio che scintille di genio albergassero nel Nostro il quale, col sovrappiù, aggiungi oggi e sostituisci domani, confezionò un marchingegno che nelle sue idee doveva sostituire i rumori dei clacson cittadini con profumati olezzi dei più disparati: oltre al "lime dei Caraibi", fragranze di pizza, olio motore, caponata, finestra, spaghetti. L'automobilista clacsonato avvertito dall'effluvio non avrebbe dovuto far altro che: dissolversi (se imbottigliato in un ingorgo); darsi una mossa se imbranato; correre ad un corso specialistico se a guidare non era proprio cosa.
Il Consiglio comunale, a sua volta consigliato, fece "Ooh!" e passò il tempo di un'ordinanza del pregevole sindaco, d'una serie di articoli su Repubblica e Sicilia, di tre quattro inascoltate petizioni, perché l'aggeggio fosse pronto.
Per amore del brodo, per primi i consiglieri consigliati, gli assessori asessuati e il sindaco sindacabile vollero installare la maraviglia sulle loro autoblu. Sfortu-nata- mente.
Tanto entusiasmo mal si conciliò infatti con un'acconcia sperimentazione del prodotto; ci si accorse che il marchingegno tendeva ad adeguare gli odori rilasciati all'identità del guidatore: per dire, il falegname effondeva olezzo di colla e segatura, il farmacista d'aspirina, il pescivendolo di pesce, l'ingegnere di ingegno, la prostituta di...
Fu per questo che da allora i palermitani riconobbero i ladri dall'odore.

   0 commenti     di: sergio scaffidi


Morte e Vita

Questa è la storia dell'angelo Morte dalle nere ali e dell'umana Vita dalla rosea pelle...

Seduto sulla bianca acqua di cotone, Morte dalle nere ali osservava gli umani, immortali ma non grandi di spirito, quand'ecco che vide una donna dalla bionda chioma, gli occhi smeraldinii e ricoperta da un roseo candore, l'angel Morte rimase affascinato dalla stupenda bellezza, a quella d'un angelo pari. Quell'amore sia pur vero era proibito da una divina imposizione, Morte scese sulla terra e segui la dolce Vita, egli dai suoi occhi non poteva esser colto in quanto angelo dall'astratta essenza. La osservò, lei ignara suonò la sua dorata cetra, le dolci note scandirono il tempo, una dolce felicità ammaliò Morte dalle nere ali, tant'è che, ignorando il suo supremo padrone, si svelò a Vita dal roseo candore, agli occhi dell'umana si rivelò il più bello degli uomini, lungi capelli neri come la pece, un corpo dal marmoreo colore e un fisico possente. Il loro amore fu vero e passionale, Morte cinse la vita della sua amata con dolcezza e baciò la sua rosa bocca, la sua pelle era calda e morbida, i suoi capelli profumavano più delle rose, in quel momento si compì l'atto del supremo amore...

Felice Morte, dalle nere ali, tornò al cielo salutando la sua dolce amata, il supremo padrone avendo colto il peccato dell'angelo, lo chiamo a sè e gli disse:
-O Morte dalle nere ali, tu hai trasgredito alla mia legge, sarà la tua amata a pagare per il tuo insolente peccato, ella morirà
A quel punto crebbe l'ira dell'angelo - O no mio grande signore, pur a costo d'ammazzarvi con le mie stesse mani, voi non toccherete la dolce Vita
-Come osi - rispose il supremo padrone - rispondermi con tanta insolenza, dovresti perder la vita in questo stesso istante
-E strappatemela pur la vita, che senz'amor per me ha perso ogni senso, ma vi prego mio signore non punite la dolce Vita inconsapevole della suprema legge - Morte si inginocchiò e pianse lacrime amare davanti al suo signor

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   3 commenti     di: Marco Ambrosini


Pepito

Ciringhito era parecchio triste quella mattina, non vedeva da giorni quel topino che compartiva la casa con lui, nonostante cio' egli usci' di casa e si getto' nel traffico di Mexico City, raggiunse uno dei più esclusivi centri commerciali della capitale; una bellezza perche' c'erano un sacco di tope, e con la moda di oggi, con questi tacchi sembravano tutte altissime, passeggiando tra vetrine e zone fast food incontro' una sua amica, della societa' bene, vestita di tutto punto, pantaloni attillati e truccata con gusto, all'italiana come piacevano a lui, la invito' a prendere una rebanada de queso da Quesito's, un posto esclusivo, sempre dentro al centro commerciale e parecchio caro, una porzione piccola costa 120 pesos e una mediana 180 pesos, ma sulla qualita' niente da dire. Jessica accetto' volentieri l'invito e si accomodarono alla barra, perche' era tutto pieno, in attesa di un tavolino. Jessica noto' nello sguardo di Ciringhito un po' di tristezza e le domando' la ragione, lui gli spiego' che era qualche giorno che non vedeva il suo amico Pepito, siccome nel suo quartiere gira perecchi gattacci randagi, nutriva preoccupazioni seri sulla sorte del suo amico. Jessica le commento' che conosceva nel suo quartiere Felix un amico di famiglia, che poteva chiedere in giro per avere notizie di Pepito, nonostante fosse un gatto era anche un buon amico, ma all'improvviso Ciringhito vide Pepito abbraccetto con una topa non indifferente, sembrava un'attrice di Hollywood, sobbalzo' sulla sedia e anche Jessica rimase sbalordita esclamando, ecco Pepito!
El mesero dette loro un tavolo e si riunirono tutti e quattro a fare bisboccia, Tequila e queso a volonta'. Fu una bella giornata e Ciringhito contento di aver ritrovato il suo amico e penso', tira più un pelo di topa che quattro buoi in salita.

   0 commenti     di: Isaia Kwick



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