Ricordo che ieri, 11 aprile, ricorreva il venticinquesimo anno dalla scomparsa di Primo Levi, intellettuale e scrittore italiano, ebreo torinese, che ci lasciò viva e drammatica testimonianza storica e personale in merito alla persecuzione e allo sterminio degli Ebrei nel campo di Auschwitz, dove egli fu lungamente internato.
L'importanza universalmente riconosciuta di Primo Levi è quella di aver non solo scritto e tramandato in maniera forte e testimoniale la sua esperienza nel " campo", ma di avervi accompagnato una profonda riflessione pubblica su quei fatti, nonché una elaborazione scritta sull'esperienza vissuta, con risvolti di prospettiva che ancora oggi coinvolgono e fanno riflettere le coscienze.
Levi rimane, nel panorama intellettuale italiano, una delle più importanti figure di scrittore civile, ricalcando la figura dell'intellettuale che svolge una funzione pubblica di denuncia e di lotta per i valori umani, a fronte della società in cui vive. Tipologia di intellettuale, quest'ultima, pressoché del tutto assente nell'Italia di oggi, ove molto si risente della mancanza di voci libere ed autorevoli, che possano essere uno stimolante riferimento nel confronto tra opinioni, in particolare etiche e politiche nel significato più alto.
In data 6 maggio prossimo, presso la sede della Comunità Ebraica di Torino, si terrà un importante convegno di studi mirante ad approfondire i legami tra Primo Levi le sue radici. Sarà di certo un'imperdibile occasione per riflettere sull'opera e sull'uomo e sul grande contributo da egli ha dato alla cultura e alla civiltà italiana del '900.