In un linguaggio più che comune, dove i secoli si contano dalla morte di Cristo, al quale la maggior parte degli esseri nemmeno credono, dove la mediocrità non ha un abito connotativo ed è puramente volgare, dove la specie ha bisogno di sezionare ancora come pseudo chirurghi quattrocenteschi, dove lo spirito e il corpo non risiedono mai insieme nel concepimento di una idea, dove i sessi ancora non si conoscono e fanno gli stessi errori peccando senza peccare mai di umiltà, dove la stanchezza è sinonimo di insana e circostanziale coscienza d'esistere, in questo linguaggio sfugge il paradosso più ovvio, quello devastante l'inerzia di un vivere davvero e pienamente, quello di una follia brutale ai più, marchiati e catalogati, quello della capacità di sorridere senza motivo apparente, quello del dono di sé totalmente a se stessi.