Sì, credo anch'io che sia così, anche per lo strano modo di vivere le città del giorno d'oggi visto che la paura la fa da padrona e non si vive più con libertà la città nelle sue ore magiche e nei suoi meandri. va da sé che resterà luogo misterioso abitato da genti misteriose... la vita di paese è diversa, ma nemmeno tanto. Un saluto
noi siamo la città, caotica e meravigliosa per quanto sconosciuta. Ci vuole una vita per girarla tutta e sentirsene padroni, peccato che oramai è finita e si rimane come poveri coglioni.
Scusa Stanislao questa tua mi ha fatto venire fuori questo pensiero semiserio a commento del tuo lavoro pregevolissimo. Non me ne avere non era per mancare di rispetto. Un abbraccio
Grazie a tutti per i commenti.
Silvia, scherzi? non sono così fragile da vivere un commento come una mancanza di rispetto!
Giada, grazie della tua schiettezza. Qui io pensavo a Roma, con i suoi strati millenari, con le sue periferie tentacolari lontane anni-luce dai Palazzi del potere, con i colori e le culture di etnie che si mescolano ma anche si scontrano...
Corta e banale... la città è ambiente troppo concreto e restrittivo e al di sopra c'è l'infinità dell'universo... il collegamento non rende, sembra quasi qualcosa di paradossale...
Questa breve frase un po' enigmatica, perchè è difficile capire dove nasca e come si sviluppi, mi ricorda "Fervor de Buenos Aires" del giovane Borges, che mette in versi la sua città. La parola "infiniti" che Borges adoperava non di rado per evocare l'indeterminatezza del "tempo", anche in questo caso assolve al suo compito di evocare qualcosa che non è completamente raggiungibile con la ragione. Un saluto
Ne sono fermamente convinta... ho la certezza di non riuscire a "comprendere" la mia Roma come vorrei; non parlo di motivazioni solo spaziali e temporali. Vero è che la vita fugit ma solo perché ci "distraiamo" dall'essenziale.
Chiara