secondo me è una condizione quasi necessaria, questa del tuo stesso rigetto, perché primo chi è convinto in toto di essere bravo a scrivere quasi sempre attribuisce fin troppo valore alle sue "opere"; secondo, è un po' diretta conseguenza di quel "vomitare artistico" - posso coniare una nuova espressione?? - che caratterizza la tua poetica... P. s. letto il brano vincendo la naturale repulsione che ho per il parto, unica cosa a farmi davvero rivoltare lo stomaco... strano a dirsi per una donna... sarà stato il ritmo serrato e ipnotico delle parole?
In effetti per certi tuoi scritti ci vuole uno stomaco forte. Però è importante essere se stessi anche nella scrittura. Invito Myatyc a leggere NONOSTANTE TUTTO ma di stare molto attenta nel caso fosse una persona facilmente impressionabile.
beh io sono sincero: credo di essere "bravo" però non ti nego che, molto spesso, leggendo io stesso i miei scritti mi venga da dire "ma come cazzo scrivi bestia?!"... credo di avere una specie di talento però, su questo devo essere sincero anche se, vi ripeto e ve lo posso giurare, che molto spesso quello che scrivo mi fa proprio schifo^^
Concordo pienamente come ho già fatto in altri miei commenti... quando il talento c'è si vede... ed è enorme il distacco fra lui e noi altri che ci dilettiamo a scrivere, che è diverso!!... e nn fare il modesto nel commento di risposta, è vero!!
Decisamente, soprattutto perché odio la pasta e fagioli...( , hai beccato proprio due cibi k nn c'entrano 'na mazza fra loro!!))... comunque, credo potremmo anadre avanti all'infinito con questa meravigliosa discussione... ma rimarremmo comunque sul vomito e le sibille!! - ehi nn ti offendere se ti ho dato della sibillA ... piccola appendice... riguardo al divino, è vero, l'uomo può ridursi a bassezze assurde, ma secondo me in lui è celato un piccolo frammento di divinità, quello che lo spinge ad amare e a prodigarsi per gli altri, che gli da la titanica forza di superare a volte ostacoli insormontabili... parlo così perché non è facile trovare queste persone... ma ho avuto il piacere e la fortuna di godere della loro presenza e dei loro insegnamenti...
la forma cambierebbe di sicuro ma il tuo vomito sia che sia di pasta e fagioli che di fette biscottate è e rimarrà sempre il "tuo vomito"(questo paragone me lo potevo evitare hihihi^^)
nel mio romanzo(non lo faccio per pubblicità eh... mmm forse un po' sì ehehe^^) comunque sia in molti miei scritti, addirittura nel tema di maturità dell'anno scorso, ho affrontato questa questione: secondo me, personalissimo e attacabilissima opinione che sia chiaro, nell'uomo non c'è niente di divino, in lui c'è solo la consapevolezza dell'esistenza del divino... in questo modo spiego anche la nostra impossibilità nell'arrivare a formulare concetti assoluti(pace, bene, amore ecc ecc)... se mai lo troverò mi farebbe piacere postare qui il mio tema di maturità... domanda che non c'entra niente, ma qualcuno sa come si fa per averlo dalla segreteria della scuola?
Credo di aver afferrato, ma la mia affermazione si riferisce in sé per sé all'atto pratico... appunto le storie hanno senz'altro parte di noi... ma è come se fossero nostre figlie, plasmate e intessute da noi... praticamente la tua storia non sarebbe la stessa se tu decidessi di descrivere il tuo "vomito" sotto un punto di vista piuttosto che un altro..
sapevo che si poteva interpretare anche così ma non è così... non voglio dire che siamo di fronte a "o dea del divino achille ispirami le gesta..." ma, per me, tutto quello che scriviamo non nasce dal nulla(e quindi creato), ma viene fuori da noi stessi(appunto vomitato) e non possiamo aggiungerci nulla che non sia propriamente nostro(sempre se vogliamo scrivere in modo sentito e vero)... ma, in ogni caso, non creiamo nulla, ci limitiamo a descrivere qualcosa che c'è già...
quindi... provo un'interpretazione... la tua idea è quella di storie e personaggi che si sviluppano autonomamente in te per poi essere appunto... vomitati sulla carta dalla tua mano... sei una sibilla che vaticina ispirata in questo caso dalle tue storie stesse...
mmm no perchè io non creo niente, "vomito" solo...è difficile da spiegare così su due piedi... ma vomitare non è creare... si crea dal nulla... e io on credo sia questo che facciamo quando scriviamo, tutto qui^^
Ma asserendo questo... non vai un po' a riconfermare quello che dicevamo all'inizio?? Cmq sono contentissima che si sia aperta una discussione così bella e accesa!!
mmm non volevo dire questo, in effetti non sono stato chiaro... voglio dire che tutto quello che scriviamo, nel bene o nel male, è "la descrizione interna delle nostre viscere, cuore, fegato, polmoni, reni" se mi passate la frase^^... non so se sono stato chiaro neanche in questo commento... in ogni caso penso sia così in ogni tipo di scrittura(che sia chiaro io parlo sempre di scrittura sentita e non di pedissequo manierismo o esercizio di forma)... da questo nasce tutto il mio sentire letterario... l'immagine che meglio potrebbe descriverlo potrebbe essere il vomito: vomitare fuori piccole o grandi parti di sè...
Credo che alcune cose scritte siano descrizioni, altre invece siano creazioni. Pensa ad esempio ai racconti di fantasia. E poi non è detto che alcune descrizioni non siano creazioni perchè ciò si descrive non è mai oggettivo.
beh il problema è che credo che, mentre scrivo, non sto creando un bel niente... in tutto quello che ho letto credo che, più che creare, chi scrive, incluso me, si limitasse a "descrivere"... non so se sono chiaro(forse no!!!^^)
Dio nel senso di creatore. A volte mi chiedo se non stiamo vivendo in un sistema di scatole cinesi nelle quali il nostro creatore non sia stato creato da un altro essere o da un'altra mente e così via fino ad arrivare al primo creatore. Anche le nostre creature a volte sono capaci di creare. Bella riflessione.
Ma la storia che ti aggredisce non è altro che una parte di te che torna al suo luogo d'origine. Tutto ciò che noi facciamo, tutto ciò che noi scriviamo, è comunque parte di noi. Non si può essere schiavo del proprio pensiero: sarebbe come dire che noi siamo schiavi di noi stessi (senza allegorie o simbolismi).
Ok devo dartene atto... a volte non sei tu a plasmare le storie, sono loro ad aggredirti urlando di voler essere scritte... ma comunque la mano che le... sì, partorisce credo sia il verbo più azzeccato...è la tua... hai presente quando si suole attribuire alla donna quell'infintesimale frammento di divinità nell'atto del dar vita a un nuovo essere?
Dio inteso come entità creatrice... quando scrivi e intessi le la trama delle tue storie non fai altro che decidere dei destini dei personaggi, facendoli muovere in un minuscolo universo, verosimile o fantastico che sia... Da qui il verbo giocare... Nel tuo piccolo cosmo di carta puoi piegare le leggi della natura a tuo piacimento ed essere pienamente padrone delle vite dei tuoi "figli".. Credo che sia proprio questo uno degli aspetti più affascinanti della scrittura e che creano quell'enorme divario con il mondo dei numeri...
Non solo scrivere, a mio parere. Fare in generale, è impersonarsi Dio (o Infinito, o Demiurgo, o che dir si voglia): e dato che l'uomo ricerca questa sensazione, per completarsi, si dà con tutta l'anima e il corpo a quei lavori che glielo permettono. Gli artisti, come gli artigiani con cui condividono la radice del proprio nome, è in questo che pongono il fondamento del loro lavoro, dopotutto: per quanto diversi, per quanto lontani nello stile e nelle idee, pur sempre cercano la riproduzione di sé stessi nel loro pensiero, nelle proprie parole o nelle proprie invenzioni. Credo anche che questa logica la si possa applicare anche a molte altre cose, come penso che, in fin dei conti, il vivere sociale e familiare siano espressioni di questa necessità. Si ha figli e si creano istituzioni per lo stesso motivo: per cercare un continuo della nostra identità al di la del tempo. L'affetto incondizionato per i bambini nati dalla nostra carne o per le idee partorite nel nostro animo, sono identici, sono amore di noi stessi fatto termine di confronto nella realtà, e dunque reso vivo e materiale, che è nostro desiderio da sempre. Perfino atti estremi come suicidio ed omicidio rispondono allo stesso, in fondo.
All'uomo piace essere Dio, è vero.