Mio cuore paesano, non sono a casa finché Sesenne non canta,
una voce con dentro scorza di fumo e colombe, che cricchia
come creta su una strada tinta dalla stagione secca,
con il cuatros che mi tende le corde del cuore. Gli sciac-sciac
tintinnano come cicale sotto le ortiche dalle foglie pelose
dell'infanzia, un vecchio steccato a mezzogiorno, bel-air, quadrille,
la comette, mutamenti benigni, finché non sopraggiunge il piacere.
Una voce come di pioggia su una strada riarsa, odore d'erba tagliata,
la sua lingua sottile come quella del cedro e più dolce di qualsiasi
altra, ovunque sia stato, che rende la mia destra Ismaele,
mia guida il frangipani dalle dita stellate.
I nostri re e le regine marciano verso il suo regno floreale,
spade di legno della Rosa e della Margherita, il loro coro
le lance di canne piumate, scogliere ocra e lunghi frangenti,
e lucente come il pizzicato dei bangio la pioggia che viene
e la pioggia leggera che torna in Guinea, facendo frusciare
la gonna come in un ballo paesano. Ombre percorrono
la pianura di Vieuxfort con la sua voce. Piccoli branchi
di cavalli al pascolo brillano in una nuvola; li vedo franti
nella luce del sole, come cantanti che ricordano le parole
di una lingua che muore. Guardo i fili luccicanti seguire
il canto di Sesenne, luce del sole che scaccia la pioggia,
e i nomi di fiumi i cui ponti una volta mi erano noti.