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Prima elegia
pagine: 123
Chi se io gridassi mi udirebbe mai
dalle schiere degli angeli ed anche
se uno di loro al cuore
mi prendesse, io verrei meno per la sua più forte
presenza. Perché il bello è solo
l'inizio del tremendo, che sopportiamo appena,
e il bello lo ammiriamo così perché incurante
disdegna di distruggerci. Ogni angelo è tremendo.
E così mi trattengo e il mio grido reprimo
di oscuro singhiozzo. Ah, da chi mai
siamo capaci di aver aiuto? Non d'angeli,
non da uomini, e gli astuti animali s'avvedono
che noi non siamo propriamente di casa
nel mondo interpretato. Rimane a noi forse
un qualche albero là sul versante,
per rivederlo ogni giorno, rimane la strada di ieri
e la viziata fedeltà ad una consuetudine che amava
stare con noi, così rimase e non se ne andò.
Oh, e la notte, la notte, quando il vento
pieno di spazio celeste il viso ci rode -, a chi
non rimarrebbe l'agognata mite delusiva,
che il singolo cuore attende a fatica.
È per gli amanti più lieve? Ah, essi
si coprono solo l'un l'altro la sorte.
Non lo sai ancora? Getta il vuoto
dalle braccia agli spazi che respiriamo;
ah, forse gli uccelli sentiranno l'aria
slargata con più intimo volo.
Sì, forse le primavere ti volevano.
Non poche stelle si attendevano che
tu le avvertissi. Un'onda sorgeva
nel tempo trascorso, oppure
quando passavi alla finestra aperta
un violino si dava. Tutto questo era compito.
Ma sei riuscito? Non eri tu sempre
distratto ancora dall'attesa, come se tutto
ti annunciasse un'amata? (Dove
vuoi tu ospitarla se i grandi
pensieri estranei vengono e vanno
da te e spesso rimangono di notte.)
Ma se ti strugge, canta allora quelli che amano;
il loro lodato affetto di gran lunga
non è ancora abbastanza immortale.
Coloro, quasi le invidi, le abbandonate, per te
tanto più ricche d'amore delle esaudite. Inizia
sempre di nuovo l'irraggiungibile canto di gloria;
pensa: l'eroe si tiene, persino la sua rovina
era per lui solo un pretesto a essere: la sua
ultima nascita. Ma quelli che amano
l'esausta natura in sé li riprende,
come se non ci fosse due volte la forza.
Hai pensato abbastanza la Gaspara Stampa, 2
così che una ragazza, lasciata dall'amato,
all'esaltato esempio di una tale amante
desiderasse: ah, se divenissi come lei?
Non possono più fertili diventare per noi
questi remoti dolori? Non è tempo che noi
amando ci liberiamo dell'amato e tremando
perduriamo: come la freccia perdura nella corda
per essere, concentrata nel lancio,
più di se stessa? Perché restare non ha dove.
Voci, voci. Ascolta, mio cuore, come prima
ascoltavano soltanto i santi: sì che l'enorme richiamo
li sollevasse da terra; ma loro, gli inconcepibili,
restavano sempre in ginocchio, senza curarsene:
così udivano. Non che tu possa di Dio
sopportare la voce, per nulla. Ma il soffio
ascolta, l'ininterrotta notizia, che da silenzio si forma.
Ora ti mormora di quei giovani morti.
Dovunque entravi, nelle chiese di Roma e di Napoli,
non si rivolgeva a te, calmo, il loro destino?
Oppure un'epigrafe si rilevava a te compito
come allora la lapide in Santa Maria Formosa. 3
Cosa mi vogliono? Cauto io dovrei togliere
l'ombra di torto che talvolta oscura
di poco il puro moto dei loro spiriti.
È certo strano non abitar più la terra,
usanze appena apprese non più praticare,
non dare alle rose e alla particolare
promessa di altre cose il senso
di un futuro umano; non essere
più ciò che si era in mani di ansia infinita,
e lasciar via persino il proprio nome
come un giocattolo spezzato. Strano
non più desiderare i desideri. Strano
vedere sbattere sfuso nell'aria tutto
ciò che aveva un legame. E l'essere morto
è faticoso e tanto vi è da riprendere
per avvertire gradualmente un senso
di eternità. - Ma i vivi fanno tutti
l'errore di troppo distinguere.
Gli angeli (si dice) spesso non sanno
se vanno tra vivi o tra morti. L'eterna corrente
trascina sempre con sé per i due regni
tutte le età e le copre col suono.
Infine non han più bisogno di noi
i trapassati da giovani; lievemente si perde
il senso della terra come ci si svezza
dai seni della madre. Ma noi, che abbiam bisogno
di sì grandi misteri, dal cui lutto sboccia
spesso un progresso felice -: potremmo
essere senza di loro? È invano la saga,
che una volta nel lamento per Lino4
la prima osante musica penetrò l'arida
rigidità; che solo nello spazio atterrito
da cui un adolescente quasi divino
uscì d'un tratto per sempre, il vuoto cadde
in quel vibrare, che ora
ci trascina e consola e soccorre.
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